sabato 29 giugno 2013

A spasso per le Sporadi minori

Spòradi = gr. Sporàdes. Da speirò = spargo, sparpaglio, dissemino.
Il significato del nome di queste isole che costellano da ovest a est il nord egeo è appunto "sparpagliate", "irregolarmente disseminate". In antitesi alle ordinate Cicladi che vennero invece, appunto, sistemate in circolo (cyclos).
Amo le isole sparpagliate, ti dà l'impressione che una mattina potresti svegliarti e trovarcene una nuova, così, giusto perché Zeus ha scosso la saliera e ne sono scese ancora un po'. O magari queste isole le ha create la povera Era, per placare i suoi impeti di gelosia verso il fedifrago marito e le sue amanti, con un po' di sana attività fisica. Me la immagino, nei campi del cielo, con la gonna alzata a tenere le sementi, per spargerle sul mare e far nascere nuove isole. Magari dicendo "qui ci mando quella zoccola di Alcmena, lì invece Persefone….." e così via...
Siamo entrati in un regno in cui il meltemi sembra essere regolamentato. Lo dico a bassa voce, perché si sa, il ragazzo è dispettoso e abbiamo ancora parecchie miglia controvento da fare. Fatto sta che registriamo una veloce sfuriata di 24 ore e poi tutto si acquieta per 4 o 5 giorni. Il senza vento ha un suo perché per i velisti quando la tua rotta e proprio in faccia al vento dominante.
Ancoraggio a sud di Skyropoula
La nostra rotta da Skyros, prevede di salire ad Alonissos, deviare a ovest su Skopelos, poi tornare indietro verso est fino a Kyra Panaghia e da lì salire in Calcidica. 
Il viaggio tra le sparpagliate è ricco di soste. La prima per noi è a Skyropoula, piccolo satellite di Skyros 3 miglia a est. Vi è una sola baia sulla costa sud buona per l'ancoraggio. Fatta a forma di radice di molare, ha due piccole insenature. Quella a Ovest è occupata da una barca a motore, ci prendiamo l'altra. Acque turchesi, silenzio, rocce, qualche capra. Nient'altro. Skyropoula è una delle tante micro-isole greche in vendita. Questa però è sempre stata proprietà privata, dal 1800 fino al 2001 di una famiglia greca, gli Antoniades, con una significativa storia navale e militare. Nel 2001 fu venduta a un milionario cipriota che ora l'ha messa in vendita per 21 milioni di Euro. (Nel caso vi tormentaste con la domanda "Che ci faccio con tutti quei soldi se vinco il Superenalotto?"). 
Fermi in rada, niente campo telefonico, necessità di controllare il consumo energetico: ottime scuse per scrivere poco, leggere molto, nuotare in acque che, non a torto, sono rinomate per essere tra le più limpide dell'Egeo. Il giorno dopo tocchiamo il record di 4 isole in un solo giorno che ci imporrà poi di rallentare il ritmo e tornare slow sailors a tutti gli effetti. Sembra un'impresa, non lo fu. Il ritmo era già sufficientemente rallentato. Da Skyropoula in 20 miglia sei a Skantzoura e con altre 10 a Peristera e Alonissos. La sensazione immediata per noi, nuovi dell'Egeo del Nord, è di una sovrabbondanza di verde. La vegetazione di macchia mediterranea (lentischi, corbezzolo, mirto) e di fitte foreste di Pino d'Aleppo arriva fino al mare, lasciando solo una piccola striscia di roccia ora bianca, ora grigia ora di terra rossa. Registro in me una immediata sonnolenza, confermando la strana teoria che avevo sentito una volta sull'effetto soporifero che crea la montagna d'estate. Io detesto il colore verde, ma riconosco che è riposante, per gli occhi e persino per la gola. Perché senti che questa è terra che non ha mai sete, ha da bere a sufficienza per tutto l'anno.
Skantzoura - Ancoraggio a Sud Ovest
 Prova ne è che il cielo sopra le Sporadi ha sempre qualche nuvola che corre veloce, mentre nel resto dell'Egeo da Giugno a Settembre non ne conti una. Iniziano a cantare le cicale (e da una settimana non hanno mai smesso) e capisco che per le formiche di Esopo sia stato davvero eroico non compiere un brutale attentato ma limitarsi a dar loro una piccola lezione morale (odiosa lezione, peraltro, diciamocelo). 
In questa mia particolare atmosfera oziosa, aiutata da vele che gioco forza restano a riposare per mancanza di vento, dalla pigrizia che mi invade e di cui dò tutta la colpa al verde, mi soffermo a pensare ai messaggi che mi arrivano dal mondo produttivo. "Goditi la vacanza", "Sei già in vacanza?", "Ah che bella vacanza la tua". Cose così. Mi chiedo dove sia l'errore. Sono io che mi sono spiegata male o alcune persone hanno abbandonato l'abitudine di ascoltare il prossimo? Temo entrambe le cose.
Rimpiango di non avere il mio Devoto Oli con me, ma oggi con internet trovi tutto. 
VACANZA = Periodo di libertà dal lavoro o dagli obblighi scolastici in coincidenza con festività, turni di riposo o altre circostanze: andare in v.; prendersi una v.
Considerato che ormai da 3 anni, il "mio periodo di libertà" dura la metà di ogni anno, temo che chiamarlo vacanza sia un tantino inadeguato. Primo: bisognerebbe avere un lavoro o un obbligo scolastico da cui prendersi la cosiddetta vacanza. Secondo: bisognerebbe considerare il mio andar per mare come periodo di riposo dalle fatiche invernali. È vero esattamente il contrario. Sono in vacanza quando sono a Roma, dove vado a dormire la sera senza mai chiedermi se l'ancora terrà o meno e non preoccupandomi affatto di un eventuale giro di vento. Sono in vacanza in un Paese in cui trovare lavoro ti espone al rischio di pagare le tasse su un fatturato che non verrà mai pagato, quindi lì sono in vacanza per non fare guai. È metà della mia vita, non è la mia vacanza. Ed è solo metà della mia vita solo perché ci sono le stagioni e alcune di queste sono poco amiche dell'andare per mare. 
Intendiamoci, le ho fatte pure io le vacanze in passato, per oltre 20 anni. Così brevi da pensare che era meglio chiamarle semplicemente "Vac" tanto per risparmiare tempo. Tanto incerte nel loro inizio e fine, sempre spostate, spesso annullate, a volte persino revocate, da crearti un'ansia da vacanza che quando agosto passava ti sentivi assai meglio. 
io e P'acá y p'alla e il nostro "duro lavoro"
Poi ho fatto una scelta diversa e questa è la vita: il mare, la Grecia, il mondo intorno che avevo iniziato a non ascoltare più, la gente semplice, il tempo per leggere, scrivere, pensare, parlare con gli altri. Parlarci veramente, di cose semplici, guardandosi negli occhi e senza ruoli da interpretare. Questa è la vita per me, il resto deve riuscire a incastrarsi in mezzo.
Però continuano a chiamarmele vacanze. E a me sembra offensivo, pensando  a tutti quelli per cui la vacanza sono 15 giorni a cavallo di ferragosto, a tutti quelli che aspettano e lavorano sodo per potersi godere quella parola che è di diritto solo loro, non mia. Anche se sarebbe meglio si chiamasse "Vac", senz'altro. Una parola di stretto appannaggio di tutti coloro che hanno scelto di restare in un sistema organizzato, per obbligo (e questi li amo di più) o per semplice piacere. Loro, vanno in vacanza. Non io. Io sono semplicemente vacante, ma non in modo temporaneo.
Roccia giallorossa a Skantzoura
Ma che t'arrabbi? direte voi. Tutto per una semplice parola.
Sì, ma quella parola in molti casi nasconde una radicata convinzione, che sia vacanza tutto ciò che non è legato a un qualcosa di redditizio. Non può che essere uno stato temporaneo perché l'essere che non produce reddito è inutile e peccatore.
Bene, sapete che c'è? Che ci sono lavori secondo me, attività e successi che sono il modo migliore di essere in perenne vacanza. Da se stessi. 
Perdonate la divagazione, era un po' che covavo questo pensiero e Skantzoura l'ha portato alla luce.

Skantzoura è un'altra delle Sporadi disabitate. Marmo bianco, rocce gialle e rosse, vegetazione bassa, qualche uliveto e qualche vigna. E' il regno di alcune specie di uccelli come il falco di Eleonora. 
Ancoraggio a sud est di Peristera. Sullo sfondo gli isolotti di Dio Adhelfi.
Qui non troviamo nessuno, dove sta la folla delle Sporadi? Dove sono le flottiglie charter? Qui sembrano non arrivare, eppure siamo a 20 miglia da Alonissos, poco più da Skopelos. In una giornata con debole vento da nord e con mare calmissimo. Al centro dell'isola di Skantzoura c'è un monastero abbandonato, l'Evanghelistria, che non visitiamo per evitare le vipere di cui, pare l'isoletta abbondi. A Sud ovest c'è una baia riparata perfetta per l'ancoraggio, ma si può stare solo di giorno, perché anche Skantzoura fa parte del parco. Da lì, via, sempre a motore e in assenza di vento fino a Peristera, altra disabitata delle Sporadi. Antico covo di pirati, Peristera ha un paio di grandi insenature a sud est. La macchia si infittisce, crescono i Pini che vedremo poi esplodere ad Alònissos. Di barche se ne vedono ancora molto poche. Ma forse pure loro, si sparpagliano...

giovedì 27 giugno 2013

Skyros. Se fossi un'isola.

Se fossi un'isola sarei Skyros. Incoerente nella socialità, inquieta, lunatica. Volutamente lontana dalle rotte, per andarci devi volerci andare perché non è per caso che la incontri. È un'isola piena di sincerità e lontana dalle finzioni. Dà le spalle alle sorelle più famose Skiathos, Skopelos e Alonissos, le tiene a distanza, diffida di loro. Non ne soffre, certe isole preferiscono stare per conto proprio. Poi si lamentano della solitudine. Ma, appunto, è l'incoerenza. 
Chi da Atene va verso la Calcidica, sceglie di solito la via del canale di Halkida stretto tra l'Attica e l'Eubea, ben più facile anche se più lunga del passaggio allo stretto di Doro. 
Skyros è nascosta lì, dietro l'Eubea, quando superi il canale è già troppo lontana, troppo a sud per fare una deviazione. 
Viceversa, chi è alle Sporadi e, non avendo fretta di tornare, progetta di girovagare nell'Egeo, vuole perdere lentamente i gradi verso sud. Cerca di forzare la mano e andare a Est per scendere poi con il vento a favore. 
Ormos Glifadha, a sud di Sarakino.
Il nostro prologo di Skyros è Sarakino, poco più di uno scoglio di roccia a sud dell'isola. Abbiamo individuato una spaccatura nella roccia che nasconde una piccolissima baia. Ci avviciniamo seguiti dal perplesso Luciano che dice "sicuri che c'entriamo?"
Ci si entra giusto giusto in due, in questo fazzoletto di acquamarina perfetta incastonata tra gli scogli. 
Passiamo qui, con ancore e cime a terra, la nostra ultima sera insieme prima di separarci. Leggo negli occhi di Luciano quello stupore felice che noi avevamo nel primo viaggio. "È un paradiso" dice estasiato. 
Mi guardo intorno sentendomi in colpa e chiedendo silenziosamente scusa a quello che ormai considero il mio Paese. Siamo ormai talmente assuefatti a questa bellezza, a questi gioielli sparsi in Egeo che li diamo per scontati. Mentre scontati non sono. Mi diverte pensare a quanti altri paradisi vedrà Luciano su questa rotta, prima di allenare la sua vista a considerarli normali. Peccato separarsi, avrei voluto continuare a vedere il suo stupore in tutti i posti in cui mi sono stupita io. Ma conto di incontrarlo di nuovo. La strada è quella, il punto di ritorno pure. Basta che Luciano accetti che tornare in Italia prima dell'olio nuovo non s'ha da fare. Lo invidio un po', quante cose di cui meravigliarsi ha davanti a sé. Va bene, dai, anche noi siamo entrati nel nuovo, non sarà difficile continuare a stupirci.
Stavros e l'acchiappo della capra.
Non c'è nulla a Sarakino, tolte 2 capre e 5 pastori. "Non sono troppi 5 pastori per due sole capre?" si chiedono Luciano e Giovanni che vanno avanti pronosticando in chiave thriller un funesto proseguimento della serata. Per non lasciarmi prendere dal panico, visto che la chiave thriller concerne soprattutto il destino dell'unica donna presente, dò subito un nome ai due boss del team pastorizio: Spyros e Stavros. Ecco, dandogli un nome, come sempre, riesco a costruirci su un carattere e un'indole benigna. Una storia buona, insomma. Sono salva e dormo tranquilla. 
P'acá y p'allá a Sarakino
La mattina dopo, scopriamo che le capre non erano solo 2 ma un discreto numero e assistiamo a una cerimonia di spartizione del gregge in due squadre. Sembrano le selezioni di Rubabandiera, Spyros da una parte e Stavros dall'altra, scelgono una ad una le capre e le dividono in due gruppi.  Una prende la via dei monti, l'altra resta confinata e mestamente si avvia al recinto. 
È giorno di tosatura! Spyros, Stavros e compagnia bella afferrano una ad una le capre della squadra B per il collo con il bastone (ecco perché ha quella forma) e senza troppi complimenti procedono alla tosatura con forbicioni che per fortuna non abbiamo notato ieri sera. 
Mi tengo a distanza di sicurezza, mentre per Giovanni la curiosità ha la meglio. I pastori lo accolgono con grandi sorrisi, lo invitano a entrare, si propongono anche di fargli un taglio di capelli "à la chevre". Dalla spiaggia li vedo gesticolare, in un dialogo misto di greco e italiano in cui risuona diverse volte "una faccia, una razza", il segnale che sì, dai alla fine ci si intende. 
La costa nord orientale di Skyros, vicino a Achilli
Giovanni torna e mi dice che non ha capito nulla di quel che hanno detto, forse ci hanno segnalato uno scoglio pericoloso all'uscita della cala, o un pesce molto grande di stanza qui, o magari chissà, magari hanno solo detto in greco "una faccia, una razza". Partito Luciano, ci sentiamo un po' troppo soli qui e allora dirigiamo su Linaria, porticciolo a sud dell'isola" per consolarci del distacco dal nostro amico e trovare altre voci.
Il porticciolo di Linaria a Skyros
"A Skyros c'è chi viene una volta e torna per sempre. E chi, invece, la odia da subito e fugge via. È l'energia. C'è un accumulo fortissimo di energia che passa dalla terra all'uomo. La ami o la odi, a seconda di quanto la tua anima vuole energia", mi spiega Giorgos, addetto al wellcoming del porto e tante altre cose.
La sua anima, evidentemente voleva energia. Giorgos vive ad Atene ma da anni sta qui, nel porticciolo di Linaria,  per più di 6 mesi l'anno. "This is my card with my mobile number, please call me for everything you need, I want to know all about you, I'm not only wellcoming you, I'm taking care of you", dice, mentre sistema i nostri parabordi sulla fiancata dopo l'ormeggio all'inglese e ci allaccia alla colonnina per la corrente. "It's my job", spiega con una qualche fierezza.
Un cartello avvisa i diportisti che bisogna recarsi all'autorithy port per pagare il diritto di ormeggio ma che acqua, elettricità e wi fi access sono offerti gratuitamente dagli esercenti di Linaria. 
Dopo questa accoglienza, l'italiano sano, allenato alla diffidenza, immagina che il transit fee sia comparabile a un costo italiano, dove tra l'altro l'ormeggiatore è già tanto se tira stancamente la cima del corpo morto per permetterti di recuperarla, bofonchiando a stento un "je la fisso o je la ridò la cima di poppa?" e facendo poi quasi sempre il contrario di quello che gli viene risposto.
Limeniskos (porticciolo) di Molos
L'italiano sano Giovanni sorride perché è esattamente quello che sta pensando. Io no, sento che la spiegazione è un'altra. 8 euro il transito per notte, in un porto con soli 10 posti barca e dotato di corpi morti. Appunto, la spiegazione è un'altra. 
Se a Skyros non interessa essere benvoluta, ai suoi abitanti sì. Vogliono che tu scopra la loro terra, che tu torni lì, che tu ne parli bene. Vogliono che la loro isola abbia il suo meritato turismo, quello che gli dei, per una collocazione fausta e infausta allo stesso tempo, le hanno di fatto negato.
Agios Nicholaos nella baia di Achille
Quello di Giorgos, non è solo un gentile discorso di benvenuto ma un briefing approfondito, con tanto di test per monitorare le esigenze del cliente e un po' di sano marketing turistico sulle attività commerciali dell'isola. Ci indica subito dove affittare uno scooter, poi lo ritroveremo proprio lì perché è suo anche quel negozio. Giorgos è un multitasking, ha mille attività e, scoprirò poi, diverse società che gestisce anche a Atene. D'altra parte è figlio di un pubblicitario. Ha anche una bella idea di business da propormi, non fosse che sono ancora allergica al business sarebbe davvero valida. Ci penserò.
Cantiere per barche da pesca a Linaria
Intanto, invece di un giorno, decidiamo di raddoppiare la sosta. Well done, Giorgos, a dimostrazione che il marketing quando è trasparente funziona.
4 taverne, 2 bar, 3 minimarket, un piccolo cantiere nautico per pescherecci e un negozio di ceramiche. Questa è Linaria, dove i navigatori in transito convivono con i pescatori. Pacificamente. Anche i pescatori sembrano infatti coinvolti nella filosofia "filo-turistica" di Giorgos.
Dall'altra parte, sul versante nord dell'isola, che ha una forma a farfalla con un istmo che le impedisce di essere due isole, vi è un "Nuovo Marina", virgolettato non a caso.
"Nuova Marina" di Skyros
Non vi è assolutamente nulla in questa darsena quadrata: qualche bitta arruginita, un piazzale incolto. Solo due barche da pesca ormeggiate all'inglese ben distanti dal molo. Si intuisce che è soggetto a forte risacca. Il portolano dice che con più di Forza 4 è proibito uscire e entrare dal porto. Vale a dire, forse un paio di giorni l'anno il porto è usufruibile, non di più. Ovviamente non c'è alcun addetto del porto, alcun ufficio, alcun servizio. Non essendoci clienti non avrebbe gran senso. 
Chiediamo a Giorgos, nostro mentore ormai, che scuote la testa e dice che è un progetto sbagliato aggiungendo a quello che abbiamo già visto che, all'interno della darsena, alcune rocce riducono di molto il fondale e obbligano le barche con un pescaggio superiore al metro ad una ridicola gimkana.
Ci svela però un idea che attribuisce al direttore del porto ma che invece secondo me è sua (o forse è lui stesso anche il direttore del porto?) che mi sembra geniale: scavare un canale per la lunghezza dell'istmo (quasi 3 chilometri di pianura), largo 15 metri e profondo 5. Il canale sarebbe dragato naturalmente dalla corrente da nord e permetterebbe il passaggio da sud a nord in maniera molto agevole. Lungo il letto del canale si potrebbero costruire delle belle casette con posto barca annesso, oltre a aumentare notevolmente sia sul lato sud dell'isola che su quello nord i posti a disposizione delle barche in transito. Mi spiega che il costo dei lavori sarebbe ripagato in brevissimo tempo dalle attività che verrebbero messe in piedi e non dubito che abbia già buttato giù un business plan dettagliato.
Molos - vista dalla Chora
Ma la cosa che mi colpisce nel suo discorso non è tanto la fantasia ardita e l'astuzia dell'idea, mi sto abituando alla mente fertile di Giorgos, quanto una cosa che mi ha detto nel prologo del racconto. "C'è stata una riunione con il comune e l'autorità portuale per capire come riutilizzare quest'area del marina e non dispederdere gli investimenti fatti".  Cioè, in Grecia, quando si fa un errore, ci si siede a tavolino e si cerca di trovare una soluzione. Non di stilare le colpe, né di arrangiare qualcosa per nascondere lo sbaglio. Ma di trovare un'idea che capovolga l'errore in vantaggio. Per l'isola.
La Chora di Skyros
La Chora è silenziosa e sonnolenta. Il museo archeologico raccoglie una piccola collezione di ceramiche dell'epoca del Bronzo proveniente dagli scavi del sito preistorico di Palamari a nord dell'isola.  
Nella leggenda, Skyros fu piuttosto spietata con due eroi greci: Teseo  e Achille. Il primo fu oggetto di scambio tra regnanti, Licomede, re di Skyros lo buttò da una rupe per ingraziarsi Menesteo nuovo re di Atene. Poi il delitto venne fatto passare per incidente, allora si barava ancora con i fatti non potendo contare sulle lungaggini dei gradi di giudizio e sulle leggi ad personam. Il prode Achille invece, venne nascosto a Skyros dalla madre Teti per evitargli il servizio militare che era annunciato funesto. Travestito da ragazza, si faceva chiamare Pirra (rossa) per la sua capigliatura. Ma Ulisse lo smascherò con astuzia, lo prese per un'orecchio e lo trascino nella guerra di Troia. 
Statua di Rupert Brooke
In anni più recenti, il poeta inglese Rupert Brooke visse e morì a Skyros. Qui è la sua tomba e alla Chora negli anni 30 venne eretta statua del poeta.  Completamente nudo, cosa strana per un poeta, cosa davvero amena per gli anni '30. Pare che gli isolani non gradirono questo esagerato realismo ma la statua è ancora lì, senza un drappo addosso.   Forse è per questo che troviamo la piazza Rupert Brooke completamente vuota. Ma se allora il tentativo di boicottaggio non funzionò, altrettanto non mi sento di dire per la protesta che gli Skyrioti stanno portando avanti in questi anni contro un progetto di parco eolico di proporzioni gigantesche che Stato e Chiesa in accordo vorrebbero edificare nella parte meridionale dell'isola. Sarebbe il più grande parco eolico d'Europa, con pale alte oltre 150 metri che permetterebbe alla Grecia di rispettare i suoi impegni con l'Europa di coprire con le rinnovabili il 20% del fabbisogno totale. Ok, cosa buona ma….. tutte qui in questo fazzoletto di terra queste pale? E le specie protette?  
Stato e Chiesa dicevo. Sì la Chiesa ha un suo ruolo: il terreno del paventato parco eolico è del monastero Megisti Lavras e l'istituzione religiosa ha da tempo avviato la trattativa per cedere la terra all'Ente governativo per l'energia. Non so come mai, ma sento che stavolta vinceranno i cittadini. Loro e i pony di skyros a cui sono sicura delle rinnovabili non frega nulla. 
Ne conosciamo due di questi pony caratteristici, Afrodite e Psarou, la loro padrona ci corre incontro e ci invita a entrare, poi si offre di regalarci due uova, qualche pomodoro, almeno di venire a bere un caffè greco. Sono così gli isolani, pieni di energia, hanno voglia di farsi conoscere. 
Quest'isola è deserta, selvaggia, sembra essere irraggiungibile mentre non lo è affatto. Con 40 euro, voli andata e ritorno da Atene e ogni sera a Linaria arriva il traghetto dall'Eubea.
L'arrivo del traghetto a Linaria

Anche qui, l'arrivo del traghetto è un'esperienza da vivere, ma qui di più, qui diventa spettacolo: la perfezione della manovra, allenata a tutti i venti, la millimetrica precisione dell'approdo con lo scivolo di poppa che tocca il molo nel momento esatto. Il lancio delle cime coreografico e preciso. Il tutto sottolineato dalle note di "Così parlò Zarathustra" suonate ad alto volume. No, non è un'aggiunta della mia fantasia. Ogni sera, in perfetto sinc con l'arrivo del traghetto, il bar sul porto fa suonare questa musica. E sembra che la manovra sia a tempo perfetto. La marina e la musica in Grecia sono 2 arti che si incontrano. A noi, invece, toccano gli inchini di Schettino.

domenica 23 giugno 2013

Capo Sounion. Notti di luna piena sotto il tempio.

"No, mica penserete di passare da qui, voi due". Eccolo il benvenuto del Meltemi. "Ciao, bastardo! Mi sei mancato". Nel tragitto da Atene a Capo Sounio, questo vento - cui da piccolo devono avere davvero fatto del male - non smette un attimo di elencare validi motivi per farci prendere la via del sud. Se ne sta lì, seduto sul tempio di Poseidone con le sue guance gonfie, a sbraitare un 30 nodi e a enumerare, contandole sulle dita della mano, le ragioni per cui no, da qui non si passa. Altolà, stronzetti!
1) siamo al 21 giugno, è arrivata l'estate, io entro di ruolo ufficialmente e non mi smuovo fin quasi all'autunno.
2) ormai lo sapete che vi ho preso di mira
3) come al solito siete in ritardo, dove diavolo avete perso tempo finora?
4) Calcidica? Ma siete scemi? In Calcidica per questa via si va a aprile, non a luglio!
Poi sbuffa, sorride e ammette "Vabbé, mi siete mancati anche voi" e col tono più complice "Vediamo che se po' fa'…"
Alla fine ci accordiamo per una 3 giorni di purgatorio ancorati sotto il Tempio di Poseidone, proprio sotto la rupe da cui Egeo si gettò in mare quando vide la barca del figlio Teseo tornare con le vele nere e presagì funeste notizie. I primi due sono giorni obbligati con vento tra i 30 e i 35 nodi, il terzo invece un giorno di pigrizia con il vento che cala decisamente e noi che restiamo a oziare con la scusa di salire al tempio. Quelle cose che di solito poi paghi, penso…
La rada di Capo Sounion è un viavai di barche a vela (e qualche ferro da stiro). Una sala d'attesa ormai storica per tutti quelli che, venendo da Atene, si accingono a tuffarsi in Egeo (in un modo meno fatale del re da cui il mare prende il nome). Alcuni, pochi, doppiano Capo Sounion e risalgono il canale dell'Eubea diretti alle Sporadi o alla Calcidica. Quasi nessuno ha la pretesa in estate conclamata di proseguire passando lo stretto di Doro (Steno Kafireas), noto per essere la "stanza della rabbia" del Meltemi, quella in cui il bastardo si toglie le scarpe e si mette a saltare sui divani con la musica a palla, dicendo "Questa è casa mia, fo come mi pare!".
Luciano, Piazza Grande e Poseidone.
Quasi nessuno. Tranne noi e Luciano con Piazza Grande. Abbiamo buone motivazioni: noi non vogliamo perderci l'isola di Skyros, lui è diretto a Istanbul. Lo steno Kafireas è un braccio di mare che separa  la penisola montuosa dell'Eubea dall'isola di Andros. Si narra di burrasche forza 10 durate settimane, onde monumentali, correnti contrarie fino a 7 nodi. Ovvio che non ci cimenteremo in tali imprese. Per questo scegliamo volentieri il purgatorio e saliamo al tempio a rendere omaggio.
Nei due giorni di gran vento, contiamo in rada 12 -15 barche insieme a noi. La nostra bella ancora Delta da 20 kg, giace sotterrata sotto la sabbia, si vede uscire solo la catena di cui caliamo in abbondanza 50 metri. (quasi 10 volte il fondale).
Luciano viene a trovarci in barca con la faccia che dice "Ma dove mi avete portato?". Benvenuto in Egeo, Lulù. Si è scelto il percorso più duro ma ha una meta e se hai una meta il viaggio è più facile. Sono gli ultimi giorni insieme questi, poi noi proseguiremo verso nord, lui piegherà a Est per arrivare alla sua Istanbul e acquistare i Levis 501 alla bancarella come fece un bel po' di anni fa. Shhhhh, zitti, non gli dite che al mercato di Resina o di Via Sannio si trovano a meno perché un sogno è un sogno e guai a chi lo rovina!
La rada di Capo Sounion.
Luciano ci anticipa di un giorno, per andare a far nafta e cambusa e spezzare in due giorni le 85 miglia fino a Skyros. Noi restiamo a oziare e poi faremo tutto in un giorno.
Cala il vento a Capo Sounion e la rada si riempie di barche, dal tempio a fine giornata ne conterò 40. 
Bomby (il nostro tender) entra in servizio e ci scarrozza allegramente fino alla riva, dove sgomitando a destra e sinistra riesce a ricavarsi un pezzettino di bagnasciuga su cui riposare in attesa del nostro ritorno. Camminando sulla riva per raggiungere il viottolo, mi immergo in una immagine infernale che non ci appartiene: ombrelloni, lettini, castelli di sabbia, gente che gioca a racchettoni lanciandosi la palla con quella che mi sembra un'inaudita violenza e che, probabilmente, invece non lo è. È domenica, gli ateniesi si mischiano ai turisti, la taverna sulla spiaggia è gremita. 
Il tempio di Poseidone e, sullo sfondo, l'isoletta di Gaidarounisi.
I "perimene, perimene" ("aspetta, aspetta") strillati ai bambini si confondono con le battute nei vari dialetti italiani dei bulli da spiaggia. Forse lì sotto ci sono granelli di sabbia, ci vuole un'indagine più approfondita. Per quel che è dato vedere c'è una quantità di carne concentrata in poco spazio che erano secoli che non vedevo. Questi 100 metri di arenile mi sembrano il percorso più pericoloso del nostro viaggio. Riesco a giungere indenne all'imbocco del viottolo, avendo schivato una dozzina di palle da tennis ed essendo riuscita a non distruggere alcun castello di sabbia degli infanti spalmati sul bagnasciuga come fossero formiche su una scia di briciole di pane. 
Il tempio di Poseidone fu costruito dagli Ateniesi e preso dai macedoni, poi distrutto, riconquistato, ricostruito e poi di nuovo. Senza pace. Pochi passi e siamo al tempio che fu eretto in onore dell'accidioso dio del mare, fratello di Zeus e Ade. Si arrabbiava parecchio Poseidone, da noi noto come Nettuno, sbatteva in terra il suo tridente e faceva succedere cataclismi in terra e mare.  Oggi resta la struttura del tempio, le colonne soprattutto. Ma è la posizione che lo rende speciale. Il tramonto a Capo Sounion è una di quelle cose da fare nella vita. Un po' come "Vedi Napoli e poi muori". 
Egeo forse si buttò da qui.
Anche qui gran folla. Un numero spropositato di macchine fotografiche pronte a immortalare un tramonto che non sarà poi così memorabile a causa di una certa foschia all'orizzonte che fa pendànt con il calo di vento. 
Ma lo spettacolo è bello lo stesso. Due giapponesi seduti accanto su una pietra di marmo si riprendono con i loro i-Phone. Ognuno riprende se stesso, intendo. Che tristezza. Una famiglia italiana molto oversize chiede a un giapponese se può scattargli una foto e quello deve fare parecchi passi indietro per farli entrare tutti nell'inquadratura, non perché siano tanti ma per la larghezza impressionante dei loro 4 toraci. Arriva sul precipizio e rischia di fare la fine di Egeo, senza neanche potersi vantare nell'aldilà di un figlio che ha ucciso il minotauro. 
Turisti all'assalto del tramonto.
Nel momento in cui il sole rosso esce dalla nube per regalare un paio di minuti di spettacolo puro, vedo i personaggi di questa tragedia moderna trasformarsi in bestie da combattimento, pronte ad uccidere per conquistare il punto di ripresa migliore.  Il sole tramonta e torna la pace.
Noi riconquistiamo il nostro tender, torniamo a bordo e ci godiamo il tempio dal punto di vista che preferiamo: un po' più lontano, forse migliore per questo. 
Sorge la luna piena a cui dò la buonanotte. Domani si parte presto. Le previsioni sono buone, il Meltemi ha preso una giornata di ferie.

"Ma sbrigatevi" urla "perché vi ripiglio, eccome se vi ripiglio!"

giovedì 20 giugno 2013

Il Pireo e Atene. Tra calura e cultura.

Il fantino di Capo Artemisio (Museo nazionale archeologico di Atene)
Il nostro viaggio quest'anno sembra caratterizzato da un continuo stop and go. Il go è navigare diretti a una meta, lo stop è l'arrivare ed è un arrivare che dura stranamente 3 giorni. Uno strano effetto da falsa partenza che mi fa sentire strattonata in un ritmo un po' a singhiozzo. Ma credo sia solo parte di questo incipit di rotta, quello che sa di ritorni e che sceglie luoghi già visti. Quando, dopo Atene, entreremo nel nuovo gli stop e i go si fonderanno insieme in un unico e continuo navigare e fermarsi senza soluzione di continuità. 
Siamo nel golfo di Corinto quando mi arriva un messaggio da Monica, la mia cuginetta piccola che, pur avendo ora 35 anni, piccola resta perché uno più piccolo di te non diventa mai grande. "Dove siete? noi siamo arrivati ora a Atene"
Noi siamo - metaforicamente - con gli occhi puntati su Capo Sounion e sullo stretto di Doro (Kafireas Strait) il punto più difficile del nostro viaggio. Quello dove il meltemi soffia più forte, si incanala, si incattivisce, alza il mare e crea correnti ostinate da nord che possono arrivare, in burrasca, a 7 nodi verso sud. Vale a dire, 7 nodi contro. E, a favore, 7 nodi è la velocità che possiamo fare a motore. Restar fermi nello stretto di Doro, non credo sia come star fermi alla fermata d'autobus, dovrebbe essere decisamente meno gradevole. Siamo a fine giugno, il passaggio dello stretto di Doro rischia di essere proibitivo 6 giorni su 7. Qui anche un forza 4, avendo vento sul muso e onda formata, diventa difficile da affrontare. Ci vorrebbe una bella calma piatta. Per questa settimana - le previsioni parlano chiaro - non se ne parla, quindi, vale la pena fermarsi a Atene e controllare, da buona cugina maggiore, con chi è arrivata la cuginetta piccola.
Andreas è greco e lavora nella produzione cinematografica. Uno sguardo e merita tutta l'approvazione - confesso che il fatto che sia greco ha influito positivamente sul giudizio - ma per il resto, anche da tedesco, sarebbe risultata persona piacevole, simpatica e interessante. 
Rivedere Monica è bello dopo tanti anni e forse è l'incontro più lungo che abbiamo avuto da quando lei andava per casa a 4 zampe.
Sentire aria di famiglia quando sei lontana da casa ha un sapore bellissimo. E Monica che per lavoro si sposta da anni in tutta Europa questa sensazione deve conoscerla molto bene.
Il porto dove ci ormeggiamo è Zea Marina, facendo attenzione a chiedere stavolta un posto vicino ai servizi. Zea Marina è infatti un porto circolare con pontili distanti anche un paio di chilometri dagli uffici. Non che tu debba andarci spesso ma magari una doccia nei loro bagni ti va di farla. Senza possibilmente attraversare la città in accappatoio per tornare in barca. 
Detto, fatto. Siamo vicini ai servizi. Ma stritolati tra due 55 piedi. Il corpo morto di quello sottovento è parecchio sopravvento, ovvero attraversa decisamente la nostra via di uscita. Salpare con vento laterale sarà impossibile e il giorno della partenza sceglieremo saggiamente l'alba senza vento per compiere questa operazione. 
Museo archeologico del Pireo
Caldo. Anche quest'anno l'incontro con questa città enorme e dai confini a perdita d'occhio ha la parola caldo come sottofondo costante. Passiamo 2 ore dell'ultimo pomeriggio al Pireo dentro il Carrefour. Per fare rifornimenti di cambusa? No, già fatti, non abbiamo bisogno di altro. Certe volte la felicità è semplicemente un posto con l'aria condizionata. Peccato non si tratti di Ikea o Uno Più perché a quel punto ti porti un libro e fingi per due ore di provare un divano o una sedia a sdraio. In un supermercato non è così facile e, per quanto ci siano scaffali abbastanza grandi per  allestire una confortevole seduta, riesco ad astenermi dal tentare l'impresa. E poi, non esageriamo: fa caldo ma non poi così caldo.
Tutto il resto del tempo è cultura. 
A due passi dall'ormeggio, c'è il museo archeologico del Pireo. Reperti, soprattutto sculture e marmi tombali, rinvenuti nelle acque del Pireo e della costa Attica. Ma il tesoro più importante è il Kouros del Pireo, una statua in bronzo cavo di Apollo, realizzata con la fusione a cera persa.
Kouros-Apollo 520 AC
La statua, datata al 520 AC fu ritrovata nel 1959 durante i lavori di dragaggio del Pireo. Il parallelo con i bronzi di Riace è spontaneo, il periodo è lo stesso. Eppure la differenza in termini di pregio dell'opera appare netta anche a chi è digiuno di educazione all'arte come me. Come ci fossero secoli di civiltà in mezzo. Di civiltà e di studi anatomici. Intendiamoci, sono i bronzi di Riace che hanno dell'incredibile, nulla da togliere a questo Apollo. Chiudo gli occhi e immagino il Filosofo e il Giovane qui dentro, posizionati al centro di una delle sale di questo museo curato, semplice e ben illuminato. Starebbero benissimo, certo molto meglio che nel laboratorio allestito alla regione Calabria. 
Nessun Archistar ha progettato questo museo, nessun narcisismo strutturale ma solo semplici stanze perfettamente imbiancate, con grandi finestre schermate e poche, sapienti luci. Protagonista è l'opera d'arte, il resto deve semplicemente essergli funzionale.  Il rispetto della cultura nei greci è tangibile e non sembri cosa poi così ovvia.
Rimpiango di non aver rubato a Reggio i due magnifici bronzi e di non averli portati qui.
Proprio nel porto di Zea c'è un piccolo museo nautico che narra la storia marinara greca, una storia abbondante quella della flotta, ancor oggi, più importante del mondo. Modellini, mappe, strumenti, divise marinare. C'è una bella spiega della battaglia di Salamina ma è solo in greco, resta quindi immaginarla o studiarla altrove.
Ad Atene, visitiamo il museo archeologico nazionale. Splendido. Non a caso uno dei musei più importanti del mondo. Ti guardi intorno e ti accorgi di quanta ricchezza ha la Grecia, quanto prolifica fosse la sua arte fin dall'antichità. Cosa facevano i tedeschi 4 secoli prima di Cristo? Non so, ma nulla di così significativo, ne sono certa. Come mai? ...
Ci sono almeno 20 musei in questo museo. Anche qui, mi colpisce la semplicità e, al tempo stesso, la solennità dello spazio. 
Marmo e dal Naufragio di Antikythera
Al museo c'è l'esposizione "Il naufragio di Antikythera". Una delle tante navi commerciali che tra il IV e il I secolo AC trasportavano le opere ellenistiche vendute in Europa. Questa nave era diretta in Italia, a Pozzuoli. Il mare e il vento, complici tra loro e fin da allora lungimiranti, hanno deciso che questi tesori dovevano, invece, restare in patria. E bene hanno fatto con buona pace dei marinai a bordo e degli acquirenti di Pozzuoli rimasti a becco asciutto. Sculture di bronzo e di marmo, gioielli in oro, ceramiche, anfore: tanta roba su una fregata da 300 tonnellate. 

È impressionante il lavoro che l'acqua ha fatto sui marmi: nel punto dove erano poggiati o sepolti le statue sono perfettamente conservate e lisce. Dall'altra parte, dove il contatto era solo con l'acqua, sono corrose, rovinate, illeggibili. La terra conserva e preserva, l'acqua consuma e rovina: il contrario dell'effetto che fa a noi. Ma noi, non siamo di marmo. 

martedì 18 giugno 2013

Dallo Ionio all'Egeo più veloci che mai.

Golfo di Corinto
Per la terza volta in Grecia, il nuovo diventa sempre più raro e più lontano. Mentre scrivo, navighiamo verso il Porto di Zea Marina al Pireo. Un paio di giorni di sosta per vedere la mia cuginetta Monica e tornare alla Plaka. E per perdere tempo in attesa di una improbabile finestra di tentennamento del meltemi che ci permetta di passare Capo Sounion e lo stretto di Doro per raggiungere le Sporadi settentrionali, il nuovo appunto.
Ma come è bello scoprire è meraviglioso anche riscoprire. Argostoli a Cefalonia che è uno dei più facili porti d'ingresso è anche l'ultima illusione sui mercati greci che qui somigliano a quelli calabresi. Non troveremo più tanta varietà e qualità di frutta e verdura, lo sappiamo. La distribuzione in Egeo è complessa, i traghetti cercano di portare più persone che generi alimentari, le isole sono per lo più brulle, aride e ventose, non autosufficienti da questo punto di vista. Una visita al negozio Germanos e torniamo in contatto col mondo, rinnovando il credito della nostra chiavetta internet e del telefono greco. Di nuovo, la gentilezza di sempre, mi commuove. Passano gli anni, la vita per i Greci peggiora, pagano per tutti gli errori dell'Europa, eppure restano sereni. Tu sei la loro sola speranza di benessere e ti vogliono bene per questo. È così ovvio, così semplice e allo stesso tempo così raro trovare questa saggezza. Ritroviamo Leonardo, un italiano trapiantato qui che aiuta i naviganti in ogni esigenza, non ho ancora sentito un "non si può fare" da lui. Solerte, bravo, affidabile, amico. Ti fa piacere pagare un po' di più la laundry e la bombola del gas per fargli guadagnare qualcosa. Anche perché paghi comunque la metà di quanto pagheresti in Italia. All'authority port, ritrovo la stessa ragazza che l'anno scorso ci timbrò il Dekpa   (il transit log greco da far vidimare in ogni porto per l'entrata e l'uscita). Quest'anno non ne hanno di Dekpa, sembra non ve ne siano più in tutta la Grecia. Forse per la crisi non li hanno stampati, forse hanno deciso che non serve più ma non è ancora ufficiale. A chi arriva per la prima volta e chiede di farlo gli rispondono "Don't worry, maybe next port". Io sono felice di averlo, mi rimangono gli spazi per 28 porti, chissà se ce la faccio a farci stare tutta questa Grecia.
Simone e Giuliana su Mediterranea
A Argostoli incontriamo Simone con la sua Mediterranea e passiamo una bella serata a chiacchierare di vite che hanno deciso di andare altrove, di interrompere un percorso prestabilito per sceglierne un altro. Parliamo di Grecia, di mare, di barche. Un po' anche di lavoro, quel lavoro passato che fa parte di una vita che non è più. Lui mi dice che io ancora non l'ho rimossa del tutto quella vita. Ed è vero. Anche perché non c'è niente da rimuovere ma un bel ventennio di passione da ricordare. Sono quel che sono oggi, proprio grazie a ciò che ho vissuto e di cui oggi non ho più bisogno.
Ritroviamo Luciano, il nostro compagno di conserva, e con lui Thomas, nuovo sognatore di questo decennio. Glielo leggi negli occhi che è pronto a mollare tutto e partire. Ma vai piano Thom, perché poi non si torna più indietro. È un'Argostoli in compagnia quella di quest'anno: ecco il nostro nuovo nel già noto. 
in navigazione verso Port Oxia
Da Argostoli verso Oxia, una delle isole Echinades. Anche qui è un ritorno. La leggenda narra che 5 ninfe Naiadi dimenticarono di rendere omaggio al dio fluviale Acheloo il quale, permaloso assai come tutti gli dei, le rigettò con una piena improvvisa in mare e le trasformò in isole. Le Echinades, appunto, il cui nome  (echinus = riccio di mare) descrive bene la loro forma frastagliata. Oggi sono per lo più costellate di allevamenti ittici e la maggior parte delle baie è per questo inaccessibile. La navigazione nel canale tra Cefalonia e la costa è quasi del tutto priva di vento che però si intensifica a largo di Itaca e ci regala un bell'ultimo bordo di bolina con 20 nodi di vento e mare calmissimo. Ci ancoriamo a Porto Oxia, sulla costa in una cornice bellissima di isole e lingue di sabbia.  in rada piccole barchette di pescatori ai loro gavitelli. 
Tramonto a Port Oxia
Anche stavolta il tramonto è splendido.
Mi guardo intorno sapendo che tutto questo purtroppo non durerà. È notizia di quest'anno che l'Emiro del Qatar si è aggiudicato per poco più di 8 milioni di euro l'acquisto dell'intero arcipelago delle Echinades (9 piccole isole) dove verranno costruite ville per i vip hollywoodiani tra cui, si vocifera, anche Madonna. 
Un arcobaleno in cielo termina proprio sull'isola di Oxia, La pentola d'oro dell'Emiro, penso. 
L'isola di Oxia (Echinades)
Quando la crisi è grave, bisogna vendere quel che si ha in abbondanza. La Grecia ha 1.500 isole e molte più famiglie da far sopravvivere. È giusto così. Mi fa rabbia, però. Perché la Grecia ha già dato, non dovrebbe dare ancora. Un enorme patrimonio storico e artistico depredato e ospitato nei musei di tutto il mondo. Doveva bastare una legge per l'usufrutto di quelle opere o le royalties sui guadagni derivati. Dove sono gli dei in tutto questo? Forse interverranno in seguito. Oppure le ninfe magari si ribelleranno a un nuovo progetto di speculazione edilizia. 
P'acá y p'allá all'inglese a Trizonia
Continuiamo nella nostra marcia serrata verso l'Egeo e riviviamo il passaggio del Ponte di Patrasso, adoro parlare per radio con l'addetto alla torre di controllo. Non so se è lo stesso dello scorso anno, ma il suo inglese è perfetto. Mi ringrazia per lo spelling di P'acá y p'allá (figuriamoci, dovrò aspettare le Baleari per non aver bisogno di farlo…), ci dà il via libera e fa rallentare uno dei due traghetti per farci passare. 
Goletta affondata nel porticciolo di Trizonia
Ci fermiamo a Trizonia, una piccola isoletta di fronte alla costa nord del Golfo di Corinto, luogo di quiete assoluta nelle ore calde del pomeriggio. Un porto in abbandono ospita molti giramondo che sembrano stanziali e alcuni come noi che spezzano il viaggio diretti in Egeo. In mezzo al porto, emergono dall'acqua due alberi di una goletta affondata. Inquietanti. Il proprietario è sparito, nessuno si occupa del recupero. Gli abitanti fanno buon viso a cattivo gioco. Quella che era una splendida spiaggia con la cornice delle loro case a semicerchio è oggi un porto improduttivo e oltraggiato dall'abbandono della goletta semi sommersa. 
barchette locali sul lungomare di Trizonia
Due passi e sei nella parte viva di Trizonia, sul lungomare verso la costa. Si prepara un matrimonio greco. Mangiamo alla taverna di Poseidon per premiarla di essere l'unica con il wi fi libero. Le altre, ti danno la password se ti siedi lì a mangiare. Marketing. E io al marketing da un po' di  anni faccio la guerra, quindi si sceglie il generoso Poseidon.
O magari è quello di Poseidon il buon marketing, chissà.
La sposa arriva in barca, era scontato. scende al moletto e passa sotto l'arco addobbato a festa. 
La sposa arriva in barca, con tanto di effetti pirotecnici
Davanti alla chiesa tanti tavoli imbanditi e un'orchestra che si prepara. Sulla spiaggia, i fuochi d'artificio. È festa a Trizonia.
Il nostro primo bagno in Grecia è a Galaxidi, in un'atmosfera lievemente lacustre. Nulla a che vedere con l'Egeo ma è un bagno di preparazione, più che altro un modo di dire addio al lungo inverno che ci ha accompagnato fin qui. Un'altra notte quieta, stavolta in rada, per avere un po' più di aria e meno rumore e di buon mattino si salpa per Corinto. 
Delfini all'arrembaggio
Lungo la rotta veniamo intercettati da un esercito di delfini. Sono grandi, allegri, tantissimi, sotto effetto di qualche eccitante. Ci circondano e saltano a gruppi, facendo delle coreografie splendide e giocando con noi a sorprenderci, veloci, più veloci della macchina fotografica di Giovanni. Passiamo un'ora insieme, non si stancano mai. 
Con la Go-Pro li filmiamo sott'acqua, fermiamo il motore e dalle riprese si sente il loro dialogo fatto di fischi e suoni cupi, ritmati. Quanto chiacchierano i delfini. Lo avreste mai detto? Immagino siano lì a far battute tra loro, a sfidarsi a chi salta più alto, a chi resta di più attaccato alla prua. Dopo un'ora siamo noi a girare la prua e a andarcene, è surreale ma ci stanchiamo prima noi.
Questo probabilmente voleva un passaggio...
Il passaggio dello stretto di Corinto non mi aveva emozionato l'altr'anno che era la prima volta, quest'anno mi fa ancora meno effetto. Non so come mai, trovo emozione in ogni scorcio, in ogni colore di acqua, in ogni essere umano che incontro. Ma questo canale per me è come una strada percorsa milioni di volte, non mi suscita la grande meraviglia che raccontano tutti. Forse in un'altra vita ero un cavatore di pietra, uno di quelli che ha sudato 7 camicie per scavarlo questo canale. Se è così, ha un senso che la cosa non mi commuova. Luciano, che con Piazza Grande è  subito dietro di noi, è invece entusiasta. Riconosco in lui la meraviglia di tanti. E un po' la sua meraviglia mi contagia.
E siamo in Egeo! Finalmente! Questo sì che mi emoziona.
ma sì, ancora un delfino... tanto il canale di Corinto ve l'ho fatto vedere l'altr'anno (luglio 2012)