mercoledì 20 aprile 2016

Immagini che valgono più delle parole con cui ci confondiamo le idee.

Persone in arrivo all'isola greca di Lesbos (ph. Sergey Ponomarev, premio Pulitzer 2016)
Mi perdonerà, il mio Comandante, per aver postato qui una foto non sua. Mi perdonerà, perché ne sa meglio di me il valore, ne riconosce il talento e la sensibilità, ne condivide l'emozione.
Migranti, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, extracomunitari, clandestini. Ogni giorno sfogliamo le pagine elettroniche che fanno da texture delle nostre giornate e da seconda pelle alla nostra vita e leggiamo tante parole diverse usate più o meno a sproposito per descrivere delle persone.
Queste sono, persone.
E questo è oggi il grande potere della fotografia, o dell'arte visiva in genere: mostrarti le cose e ricordarti che hanno un nome che le rappresenta, uno solo è quello giusto, tutti gli altri sono facce di un caleidoscopio, descrivono solo in parte.
Te lo ricordano, non te lo suggeriscono. Perché sono gentili le foto, silenti e suggestive.
Le fotografie ti guardano in faccia e ti dicono "E tu, cosa ci vedi?"
Da sempre, da quando ci conosciamo, io e Giovanni ci dividiamo l'occhio e la parola, lui il primo, io la seconda. In questa nostra nuova vita il suo occhio e la mia parola collaborano, si sfidano, litigano e si ritrovano in sintonia, perché è difficile non essere in sintonia dopo 30 anni vissuti insieme.
Sintesi e analisi, dettagli e visione di insieme. A turno ci spostiamo nei 4 angoli dell'interpretazione.
Vuoi per vocazione, vuoi per pigrizia visiva, ho sempre preferito la parola all'immagine, ma mi accorgo che il silenzio dietro una bella foto racconta un vocabolario di parole unico al mondo, quelle di chi guarda. Oggi più che mai, sento che quella domanda muta di Sergey "E tu, cosa ci vedi?" riesce a farmi pensare molto di più di una domanda esplicita.
E allora gli rispondo a Sergey. E so che gli importa.
In una parola, Sergey, ci vedo fiducia.
Quella fiducia che è un passo più avanti della speranza che hanno messo in valigia, perché alle spalle c'è già tanta vita vissuta, tanta storia personale, tanto dolore e un po' di mare che, se anche è poco, minaccia sempre di essere troppo. 

Fiducia, perché la vita - pensano - non potrà essere peggiore di quel che è stata. Fiducia, nelle loro braccia tese, nella terra vicina, nell'Europa a un passo, quell'Europa che a noi sembra cadere in pezzi ma per loro è un Eldorado tanto sognato. Forse lo sanno già che quest'Europa non li vuole, ma non si offendono, non possono, non hanno alternative. Fiducia, perché essere pessimisti è roba da privilegiati.
Chissà se l'uomo in acqua che tira la barca è uno di loro o un abitante di Lesbos corso a tender loro una mano, tu lo sai Sergey? Sarebbe bello fosse questa seconda ipotesi la risposta. Sarebbe bello ed è probabile. Li ho visti, io, i greci a tender le mani.
Quel ragazzo lì a prua, ecco, solo lui, non mi racconta fiducia ma paura, diffidenza, cautela. Sta guardando te, il tuo obiettivo puntato, non sa come vuoi raccontare la sua storia, cosa ci farai con questa immagine, quali parole l'accompagneranno. Ma, forse, un attimo dopo, lo hai salutato, gli hai sorriso e lui ha capito. Forse qualche fotogramma più in là, anche il ragazzo a prua avrebbe detto "Fiducia".
Ecco, ci vedo questo, dietro questa immagine: l'incredibile e magico momento in cui la speranza lascia il passo alla fiducia. Ora sta a noi non deluderla. 

mercoledì 13 aprile 2016

Coazione a ripetere

In navigazione verso Kastelorizo, 2014
"Ma non sei stufa di tornare in Egeo?”
Questa è la domanda che mi sento rivolgere spesso negli ultimi tempi. Sono passati 5 anni da quando, in un momento che era perfettamente equidistante tra l’inizio dell’attività lavorativa e quello che avrebbe dovuto essere l’inizio dell’età pensionabile, ho deciso di dire addio a una vita incentrata sul lavoro, di spingere il tasto “prossima fermata” e prendere il mare per lunghi periodi.
Da allora, ogni anno, P’acá y p’allá salpa dall’Argentario sempre diretta nello stesso punto: quel magico pezzo di mare costellato di isole che si chiama Egeo.
Quest'anno lo farà per la sesta volta.
I veri navigatori, o sedicenti navigatori, mi guardano con sospetto. Sembra che un viaggiatore che si rispetti si muova sempre verso l’ignoto, abbia fame di conoscere tutto e di circumnavigare il globo. Per questo, la sua meta è sempre un po’ più distante da casa e mai e poi mai tornerebbe dove ha già fatto scivolare la chiglia. Oppure ci tornerebbe, ma c'è già stato e allora, che racconta? Quasi come se per un viaggiatore l'importante fosse mettere la propria bandiera su un sasso. Fatto, si può dire "Io ci sono stato". E poi? C'è un premio?
Il problema è che io amo l’ignoto ma poi mi ci affeziono. Il mio viaggiare è in fondo un costante e continuo cercare casa. E la trovo sempre, ogni anno e in ogni isola, e la casa, si sa, si fa fatica a lasciarla. Ci riesci solo se prometti a te stesso che vi farai ritorno. A questo punto ho centinaia di “case” sparse in Egeo, sono le isole che ho visitato, piccoli autentici paradisi mediterranei.
Certo, è una casa che ti somiglia. Vicina, con le tue stesse radici, con una Storia in cui ti è facile riconoscerti. Perché viaggiare non significa necessariamente andare dall'altra parte del mondo e nemmeno lontano se non hai l'obbligo di dover raccontare al mondo un'impresa. E io le imprese non le ho mai amate.
Quando prendi la tua vita, la butti all’aria e prendi il mare cambiando tutte le tue regole e le tue abitudini, sei decisamente in cerca di un altrove. Non mi sarei fermata finché non l’avessi trovato. Fortuna ha voluto che il mio altrove era davvero vicino.
L’Egeo è l’ultimo paradiso navigabile del Mediterraneo. Qualche migliaio tra isole abitate e scogli selvaggi seminati in un mare blu, spazzato da un vento imperioso. Un popolo splendido, simile a noi ma diverso da noi: accogliente, ospitale, generoso, soprattutto con chi arriva dal mare. Più sofferente di noi in questi tempi difficili, eppure meno sofferente di noi grazie alla sua indole.
L’Egeo è il mare dove navighi sereno: la vita ha un costo davvero basso, i porti sono sempre accessibili e la sosta, quando costa, costa un’inezia. Tante isole, tutte vicine, è un mare da traversate giornaliere, impegnative anche, ma con tante terre emerse che ti offrono sempre un punto di arrivo, per lo più solitario perché lo spazio è tanto e c’è posto per tutti.
Poi c’è lui, il Meltemi, quel vento un po’ bastardo che quando arriva non smette mai, neanche di notte ed è talmente vivace da diventare, di fatto, un ospite a bordo. Anche a lui mi sono affezionata e non potrei più farne a meno. Ci vuole tempo ma a un certo punto capisci che è il Meltemi a far bello l'Egeo.
Ho smesso di scrivere questo blog un po' prima di finire le isole abitate, l'altr'anno ne mancavano tre, Thasos, Samotracia e Lesbo, di cui su questo blog non v'è traccia. Il silenzio è sceso in me prima di completare quell'inconsapevole e quasi casuale marcatura del territorio. Oddio, a suo modo un'impresa, bleah! Non diamole importanza, così si può continuare a ritornare. 
E il resto del pianeta? E la circumnavigazione del globo?
C’è tempo e poi chi l’ha detto che abbiamo una sola vita?