“Never sail south of Amorgòs. Never.” Il saggio Manolis,
prezioso meccanico del Pireo, aveva sentenziato. Premesso che, dopo la
dimostrazione di professionalità mai vista prima sul campo, io da Manolis,
oltre che a farmi operare di colecisti, mi sarei pure fatta dire quale abito
indossare a una Prima alla Scala, ovvio che su temi come questi non lo si potesse
che prendere sul serio. E giustamente lo si fa. Amorgòs, forse la mia preferita
delle Cicladi, ti accoglie sempre con grande ritrosia.
Sia l’altr’anno
giungendo da Est a settembre, sia ora arrivando da Kato Koufonisi, l’approccio
a Katapola è caratterizzato da vento medio ma mare molto formato e molto
scomodo. Quando arrivi però, ritrovi un posto dove è facile desiderare di fermarsi a vivere. Dal porto con il bus
saliamo alla Chora, che si erge nel centro dell’isola a 300 metri sul livello
del mare.
Bianca, splendida, silenziosa. Le case imbiancate a calce che
contrastano con gli infissi di colori brillanti, viuzze strette dove si
adattano e ne assumono la forma i dehors delle taverne. Immancabile, sui
tavolini, la scacchiera di backgammon e il bicchiere di ouzo. Il vento sale
rapido sulla montagna e diventa freddo. Ci affacciamo sul lato sud a sbirciare
il monastero e i mulini a vento. Siamo a picco sul mare, passeggiamo in un
piccolo cimitero di anime che hanno sicuramente trovato un posto in Paradiso,
qualunque peccato abbiano commesso in vita. Qui, dovresti ancorare a terra per
non essere strappato via dalle raffiche e portato in un batter d’occhio a
Santorini.
Ma, fino a questo punto è stato un ritorno, un omaggio a
luoghi già conosciuti e amati. Il giorno dopo, salpiamo e giriamo l’isola
andando verso Ovest. D’obbligo una sosta a Gramvousa, l’ancoraggio a nord-ovest
protetto dall’omonima isola che però non è assolutamente all’altezza dell’altra
Gramvousa, quella di Creta. Visto che il vento non è troppo cattivo, decidiamo
di proseguire e di percorrere il lato sud di Amorgòs, quello del “never sail
there” di Manolis. Vele ben strette, scorriamo la costa di ripide montagne che scendono a picco nel mare.
Splendido. Raffiche violente si abbattono sull’acqua, il
rumore del vento è incessante e particolarmente sonoro. Per quanto precario e
inquietante, impossibile non decidere di fermarsi per la notte all’ancora
proprio sotto il Monastero di Hozoviotissa, una incredibile opera verticale
imbiancata a calce che sta letteralmente aggrappata alla montagna di roccia
rossa. Si narra che un giorno, nel IX secolo, venne ritrovata una barchetta tra
gli scogli con a bordo una icona della Madonna. Questo segno venne interpretato
come una benedizione per i pescatori che trovarono in questa icona la loro
protettrice da venerare. Si stimò che l’opera provenisse da un piccolo villaggio
in Palestina chiamato Hozovo da cui l’icona divenne Vergine Maria Hozoviotissa.
Il Monastero venne eretto per onorarla e renderla imperitura. Vista dall’acqua Hozoviotissa
è impressionante. Immagino il monaco che abbiamo conosciuto l’anno scorso
ricevere gli ospiti. Il monaco indossa abiti borghesi, scarpe da tennis, ti
accompagna su per 8 piani di anguste e silenziose stanze, ricche di affreschi e
addobbi sacri e alla fine del giro ti offre acqua fresca, qualche loukoumades e
un bicchierino di raki.

Sorge la luna piena e rende ancora più imponente la bianca
facciata. Una lucina lieve, forse di candela, una sola, dietro una finestra. Il
monaco forse sta pregando per noi. Più probabilmente si sta bevendo in santa
pace un bicchierino del suo Raki. Spero solo non stia guardando le Olimpiadi in
televisione, questo sì che rovinerebbe la poesia.
Vi sembrerà un’esagerazione, ma lasciatemelo dire: bisogna
passare una notte in rada sotto il monastero di Hozoviotissa prima di morire.
Vi sembrero' sdolcinata..ma mi sono venute le lacrime agli occhi leggendo le vostre esperienze di attracco davanti al Moni!capisco perfettamente cosa volete dire....bisogna attraccare davanti al Monastero di Hosoviotissa prima di morire....!!!!!
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