giovedì 4 ottobre 2012

Le Ionie. La nostra camera di decompressione.

Poverette, queste Ionie…. Da noi affrontate, per la 4a volta, in grande velocità. All’andata ci arriviamo sempre con la smania di raggiungere l’Egeo: la sete di mare è tanta e c’è la voglia di navigare veloci per  arrivare a quel traguardo che esiste sempre anche quando una meta non c’è.
Al ritorno, autunno ormai conclamato, le tappe sono veloci e dettate dal meteo. Se il tempo è buono si va veloci sulla lunga strada di ritorno a casa. Se il tempo è cattivo ci si ferma, si approfitta per riposare, fare programmi, aspettare ai blocchi di partenza. Magari si sta, ma non è più un "qui e ora", siamo proiettati in avanti.
Insomma, anche stavolta viviamo le Ionie come una camera di decompressione: un luogo dove metabolizzare l’idea del ritorno, assorbire l’inevitabile cambio di stagione, far sedimentare il viaggio, prepararsi al tornare urbani.

Eppure queste isole sono una Grecia a sé stante, bella sicuramente, variopinta e sfaccettata, con similitudini e differenze. Queste sette sorelle adagiate nel mar omonimo hanno sette caratteri diversi.
Una è la reietta, Kythera, tenuta lontana separata da tutti, è Ionia perché non sapeva cosa altro essere ma è come un napoletano emigrato in Australia non ancora maggiorenne: ha una nazionalità di cui non capisce bene il linguaggio, né usi e costumi.
Le altre 6, si tengono a braccetto. Strette tra loro quel tanto che basta per parlarsi sottovoce, senza farsi sentire dai naviganti. Corfù, Paxos, Lefkada, Cefalonia, Itaca e Zante. Ognuna con la sua piccola prole di isolette minori.

“Che fai? Te ne prendi qualcuno anche tu di questi gusci di noce? “Dice in tono provocatorio Itaca a Zante. “Mentre tu gioiosamente ti specchi nell’onda, io non riesco più a vedere il mio riflesso tanto l’affollamento sul mare impedisce alla luce di raggiungere l’acqua e restituirmi la mia immagine."
Zante ridacchia, non se ne cura. Sa di essere la più bella delle 7 sorelle. Quel braccio di mare che l’ha spinta più a sud delle altre, le fornisce una naturale protezione dal campo di regata che attira centinaia di barche a vela tra Itaca, Cefalonia e la costa.

“Zitta tu, che ne sai della folla? Vuoi sapere quanti piedi hanno calpestato la sabbia della mia spiaggia del Relitto? Sono anni che qui siamo sotto gli occhi del mondo, grazie a quel capostipite del genere Schettino che decise di arenarsi proprio da me…”
Finge di lamentarsi Zante, perché sa bene che quel relitto è un po' la sua fortuna. Lo scenario di Agios Giorgios  era già di per sé spettacolare con quelle falesie a picco che celavano una lingua di sabbia bianchissima esposta alla luce solare per poche ore al giorno. 

Ma il naufragio della MV Panaiotis nel 1980 fu davvero provvidenziale. Tanto è impaginato bene il relitto sulla spiaggia che i malpensanti credono sia stato un incidente organizzato ad hoc dal Ministro del turismo ellenico.
Il fatto che il Panaiotis fosse una nave di contrabbandieri turca, carica di sigarette destinate al mercato nero, aumenta il fascino della storia.
La spiaggia del Navaghio (naufragio) è dalle 10 alle 16 campo di battaglia dei barconi che vomitano turisti da tutto il mondo per un veloce bagno e l'esplorazione del Panaiotis. Ognuno dice il suo "io c'ero" con un graffiti sul relitto o lasciando il suo nome su un sasso. Dall'alto, sulla falesia, il monastero Sta Gremna sorveglia il traffico.

Quando il tempo è buono, è d'obbligo fermarsi all'ancora in questa baia cui si arriva solo da mare . Lo facciamo anche noi. Al calar del sole, che qui anticipa i tempi alle 4 del pomeriggio, i barconi smettono di arrivare e la baia si svuota. La spiaggia in ombra quando il sole è ancora alto è un dono raro in Grecia e noi naviganti rimasti ci troviamo a camminare sulla riva, increduli della quiete improvvisa. Va via anche una modernissima vela di 30 metri e restiamo in 3: noi, un 9 metri classico con due norvegesi a bordo e un'Hanse un po' più grande. Sorge la luna piena e illumina a giorno la falesia bianca che ci circonda. Era il 'film' che volevamo vedere ma sappiamo che durerà poco. L'assenza di vento non risparmia questa costa dall'onda di risacca che, a sera, inizia puntualmente a montare. Abbiamo messo una seconda ancora a poppa per tenere la prua verso fuori ed evitare il rollìo ma non è sufficiente e a notte fonda decidiamo di salpare diretti a Cefalonia. 20 miglia di navigazione sotto la luna che splende e in un mare nero interrotto soltanto dalle lucine delle barche da pesca. Si va piano, a motore a basso regime, perché il viaggio è breve e, si sa mai, magari tra un po' si alza il vento.
Mentre navighiamo, la voce di Zante si allontana e sentiamo Cefalonia riprendere il discorso tra Ionie. 

"La felicità, care mie, è nella giusta via di mezzo. Io i charteristi non li disdegno ma ho fatto in modo di non lasciar invadere tutte le mie acque. Sul mio lato Ovest non arriva mai nessuno, sanno che è una deviazione troppo lunga per chi sta solo un paio di settimane e deve riportare la barca a Lefkada o a Preveza. Certo il porticciolo di Fiskardo è ormai impraticabile, sembra di essere nel parcheggio dell'Ikea ma... contenti loro…. L'importante, con questi velisti settimanali, rumorosi e molesti, è saper alzare la mano e non farli andare oltre."
Già, il lato Ovest di Cefalonia. Dopo aver fatto sosta tecnica a Argostoli per uscire ufficialmente dalla Grecia e fare rifornimento, decidiamo di sfiorarlo costa costa e di entrare nel Myrtos Kolpos, un golfo stretto a U con due sponde di scogliere bianche e acqua turchese. 

Eleggiamo a uno dei 10 hot spot più belli della Grecia la selvaggia costa di Fteri, irraggiungibile via terra e troppo lontana dai circuiti delle barche charter. Facciamo incetta di sassi, rocce di calcare bianche che intrappolano quarzi.
Fiskardo è esattamente come dice Cefalonia, ultimo avamposto ionio di barche da crociera bisettimanale. Per curiosità andiamo a guardare e, al di là del fittissimo agglomerato di barche all'ormeggio e in rada con cima a terra, riusciamo a scorgere quel che un tempo doveva essere un piacevole paesino, oggi decisamente troppo addomesticato al suo ruolo di porto charter. Lontano dai nostri gusti, noi e altri naviganti di vita, ce ne allontaniamo infastiditi. Il vento aumenta e bisogna guadagnare miglia verso nord.
Il grande golfo di Vassiliki a Lefkada ci accoglie protettivo e se ne vanta con le sorelle. 

"Qui a Vassiliki abbiamo pochi posti nel porticciolo e i naviganti che arrivano tardi si fermano in rada. Ma ci guadagnano. La grande baia sormontata dalle montagne verdi e dalle scogliere è un porto naturale perfetto per chi non ha bisogno di scendere a terra ma solo di riposarsi un po' e poi riprendere a navigare. Io, care le mie sorelle, io sono amica dei naviganti. Voi la vivete come una professione, per me invece è una missione."
Ci sarebbe un'altra via per risalire Lefkada, ben più comoda, ma non l'abbiamo mai percorsa. È la strada dell'est, quella che sfiora Meganisi la verde e frastagliatissima isoletta dalle acque profonde e dalle grotte affascinanti e poi si inerpica su tra Lefkada e la costa greca. C'è un canale dragato per risalirla, largo 25 metri e sormontato da un ponte mobile che rende Lefkada raggiungibile via auto. Per quella via si risparmiano 15 miglia di mare scomposto e di vento quasi sempre contrario. Ma non è per noi: l'apertura del canale a nord è soggetta a pericolosi e mal segnalati insabbiamenti che, insieme al vento da nord che di solito rinforza in quel punto, la rendono un passaggio difficile che finora abbiamo preferito non fare.
La cosa migliore è allontanarsi un po' con un bordo che finge di voler andare direttamente a Siracusa e poi virare a 5 miglia dalla costa e fare rotta su Paxos. Restando in Grecia. Ancora per un po' che tanto fretta di tornare non c'è...