lunedì 23 settembre 2013

Prua a Ovest. L'annuale, violento, inesorabile strappo.

Tramonto nel golfo di Corinto
Quando arriva la stagione del ritorno, un filo sottile di inquieta tristezza si dipana dentro di me. Parte da un nodo centrale e, come una ragnatela, si irradia fino a quella corteccia esterna che chiamiamo pelle e che qualcuno di noi non ha. Sono senza pelle, io. Tutto mi arriva dentro senza essere filtrato, mediato, senza difese immunitarie. 
Gli adolescenti sono senza pelle, poi crescono e le esperienze li aiutano a formarsi una corazza esterna. A me accade il contrario: il mare e questa vita contribuiscono a farmi restare - anzi, a farmi diventare sempre di più - una "senza pelle".
Ha pregi e difetti questa cosa. Fa male a volte, ma permette di cogliere sempre le cose nel loro vero e pieno significato, senza intermediazioni.
Ak Andromaki. Sullo sfondo il Peloponneso.
La mia tristezza quindi non si ferma al confine del corpo, diventa aria intorno, crea attrito con l'atmosfera. 
E la stagione si rompe. Intendiamoci, lo farebbe comunque, per i fatti suoi ma è pur sempre una strana coincidenza.
Da 3 anni a questa parte, la mia vita è completamente diversa da quella di prima. E quando la vita cambia, cambi tu, le tue opinioni, la tua considerazione del prossimo, il significato che dai alla felicità. Cambia il valore dell'amicizia, non conta più la vicinanza fisica ma solo quella dell'anima. Dove il pensare a qualcuno equivale ad averci parlato. Pochi lo capiscono e pochi restano in contatto. Ma sono quei pochi che avresti selezionato fin dall'inizio, se solo avessi avuto saggezza. 
Itaca e Cefalonia sotto i temporali dal Golfo di Patrasso.
Il mare oggi riempie la mia vita come fosse, allo stesso tempo, collante e separatore delle isole che altro non sono che cose e persone. Ormai è il mare che mi presenta agli altri e presenta gli altri a me. Ed è il mare che allontana ciò che, di fatto, è sempre stato lontano. Benedice i miei sentimenti e rafforza le mie emozioni. Alla fine, in quel dolce momento in cui il dubbio scioglie le sue nebbie e diventa una qualche ragionevole probabilità, sarà un caso, ma sto sempre guardando il mare.
Certezze non ne ho più, le certezze sono per i troppo giovani o per gli sciocchi perenni. Per gli ipocriti e i seguaci di qualunque credo ottuso. Le certezze sono per chi sarebbe nulla se non avesse almeno quelle. Il mare, a volte spietatamente, ti insegna definitivamente a farne a meno. 
Centrale eolica nei pressi di Galaxidi
Quando arriva la stagione del ritorno, il primo passo che compio e rifiutarne l'evidenza. È una battaglia, la mia, destinata ad essere perduta, ma è sempre un piacere combatterla. Siamo a Lavrion, è il 20 settembre, che si fa? Intanto, visto gli interventi fatti al motore, meglio restare in zona per qualche giorno, una sorta di rodaggio per assicurarsi che vada tutto bene, una convalescenza a portata di dottore, non si sa mai ci fosse una crisi di rigetto. Bighelloniamo quindi in una zona in cui forse non avremmo mai navigato: l'Eubea. E non è niente male l'Eubea. 
Megalo Petaloi, sullo sfondo la penisola dell'Eubea.
Almeno la parte delle isole Petaloi, un bel labirinto di 6 o 7 pezzi di terra che si incastrano tra loro in uno specchio d'acqua tranquilla. Mi aspettavo un ambiente lacustre, con acqua poco limpida e verde. Mi sbagliavo. Acqua limpida, turchese, grandi ritagli di piscina incastonati nelle anse di terra.
Ci fermiamo alla fonda all'isola di Xero, nella baia a Nord ovest. In rada troviamo "La città del sole", l'Oceanis 311 che avevamo visto a Skopelos ai primi di luglio e i cui armatori avevamo incontrato al ristorante Agnanti. Ci accade sempre più spesso di ritrovare compagni di viaggio già incontrati ed è bellissimo raccontarsi - in un minuto, da barca a barca e con poche parole - la rotta che ognuno ha percorso. Loro se la sono presa comoda, dopo le Sporadi, un bel giro calmo dell'Eubea, qualche Ciclade lì vicina e ora, lentamente, tornano su per il canale fino a Oropos dove lasceranno la barca per l'inverno.
Instabilità in cielo.
"Abbiamo l'aereo il 3 ottobre. Voi?" ci urlano. 
Niente aereo per noi, si va a casa in barca, la strada ancora è lunga. Ci guardano con quello strano mix di invidia e felicità che non sia il loro domani che abbiamo già visto su tante facce. C'è del bello e c'è del brutto nel navigare fino a casa, lo so.
È l'annosa questione: lasciassimo la barca qui, potremmo goderci questo mare fino all'ultimo, fino a fine ottobre e poi, in poco più di un'ora essere a casa grazie a quell'oggetto esageratamente veloce che si chiama aereo. 
Il tornare via mare, invece, prevede programmazione, cautela, capacità di cogliere i segnali che il cielo e il mare ti danno. E soprattutto richiede quell'umiltà di cui spesso siamo carenti. Una colpa di cui paghiamo tutte le conseguenze. Quasi tutte. Gli dei greci, sospetto, hanno un debole per noi.
Cieli greci d'autunno
È tra le Petaloi e Makronisi, la lunga sottile isola che protegge Lavrion, che ci rendiamo conto che siamo a un bivio e che oggi bisogna scegliere. Oggi, nel primo giorno di autunno di un anno in cui l'autunno arriva puntuale e viene a svegliarti presto mettendoti addosso un golf. 
Il più ragionevole dei due a bordo, che per fortuna della barca è il comandante, a un certo punto  prende un foglio di carta scrive in colonna i giorni davanti e a fianco le tappe possibili. La sentenza appare chiara fin dal gesto di fare programmi.
Isola di Arsidha nel golfo di Saronico
Ci sono due vie possibili. 
La prima è il sud : Hydra - Monemvassia - Elafonissi - Peloponneso occidentale a salire - Ionie. 
Io addirittura azzardo a condire la via del sud con un po' di sud-est: Kithnos - Serifos - Sifnos - Milos - Kythera - Peloponneso occidentale - Ionie
Questa soluzione irrazionale, viene scartata senza neanche essere scritta su carta. 
La seconda via è l'odiosa prua ad ovest: Corinto - Patrasso - Ionie. 
160 miglia in meno della prima rotta per arrivare al punto di incontro di Itaca. Sulla carta, sgradevolmente vincente. 
Tento la strada del portafoglio: "il passaggio del Canale di Corinto ha una tassa di 227,12 euro" (in certi casi anche i centesimi possono aiutare…)
La risposta di Giovanni è un mezzo sorriso, ho bisogno di tempo, lo sa.
In aiuto al comandante e alla via della ragione, ci si mettono la mamma con un sincero "adesso basta, è parecchio che stai lontana, quando torni?" e l'Egeo che comincia a diventare inospitale. I venti persistono da nord, non allegri come quelli estivi, ma leggeri, sibilanti e freddi come si conviene a quelli invernali e convivono con un'onda lunga da sud, segnale di perturbazione sui mari di Creta e lo Ionio meridionale. Tutto questo vuol dire: pochi ripari, ridossi risaccati, giornate brevi.
Navi in sosta davanti alle raffinerie del golfo di Saronico.
Alla fine, capitolo e celebro la mia silenziosa liturgia funebre sui posti e le persone con cui mancherò all'appuntamento. Mentre ci avviciniamo a Capo Sounion, nella mia testa scorrono le immagini di Milthos, ormeggiatore di Milos e della nostra colazione al bar condita di considerazioni sul mondo e sul mare, di Kythera e delle marmellate di arance di Stavros, della Monemvassia mai toccata e da vedere, del farmacista di Pylos e dei tramonti nel golfo di Navarino, del castello incantato di Methoni….
Guardo a sud, mentre ci dirigiamo ad Ovest. Poseidone, dall'alto del tempio a Capo Sounion, comprende e benedice la scelta. Ripenso a Monica e ad Andreas e alla nostra giornata insieme quando il viaggio era ancora davanti.
Davanti al Pireo, due aliscafi diretti a Egina, uno da nord e, subito dopo uno da sud, si divertono a spaventarci. Una chiara deviazione di rotta all'ultimo secondo da parte di due bestioni a 30 nodi di velocità. Brutto gesto di scarsa sensibilità marinara, strano segno di ostilità da parte dei greci.
Il piccolo borgo di Galaxidi nel golfo di Corinto.
All'altezza dell'isola di Salamina, negozio la mia resa ottenendo in cambio la promessa di una via delle Ionie diversa, tesa a scoprire le Echinades, Kalamos, Kastos e Meganisi, sempre ignorate nei nostri ritorni veloci. 
L'addetto al canale di Corinto è antipatico, poco greco, non sorride. Si limita a fare il prezzo e non accenna ad alcuna conversazione di commiato. "Sto dicendo attraverso te il mio arrivederci all'Egeo, razza di insensibile!". Quando ci danno il via a passare, il dado è tratto, la rotta è scelta, non si torna più indietro. 
Forse i bestioni alati e il portuale sgradevole me li hanno mandati gli dei, per farmi sentire meno lo strappo, per rendere meno doloroso il mio arrivederci.
La costa nord del golfo di Corinto.
Ci corre dietro anche il Meltemi e si muove a compassione, segno che dopo tanto tempo ormai ci vuole un mondo di bene. O forse ci caccia via, chissà. Ci regala un bell'Est pieno, solidale e gentile per accompagnarci alla porta dell'ovest attraverso i due golfi di Corinto e Patrasso, con un bel bordo di lasco e poppa che ci convince a fare una sola tappa a Galaxidi.
Condizioni improbabili in questo tratto di mare e in questa stagione, regalo da non sottovalutare, anche gli sciocchi lo sanno.
Galaxidi
Siamo già in una Grecia diversa: la bella cittadina di Galaxidi col suo turismo internazionale e locale. Ci ormeggiamo in banchina e ceniamo a terra da un souvlakista stile prima maniera. 
C'è chi naviga l'intera stagione in questo grande lago, senza bisogno di mare aperto, di orizzonti infiniti, di isole dimenticate. Io qui mi sento stretta in un'anticamera, senza la possibilità di guardare quell'infinito al di là del visibile, senza l'altrove a portata di mano. 
Faccio pace con il popolo ellenico grazie alla gentile ragazza dell'autorità portuale di Galaxidi. Si faccia mandare a Corinto, per favore, è quello il punto di mare in cui più ho bisogno di comprensione, è quella la porta che si chiude dietro di te, tutte le altre possono riaprirsi.
Il ponte di Patrasso
Ripartiamo all'alba con rotta sul ponte di Patrasso.
"Rion Traffick, Rion Traffick, Rion Traffick, here is sailing yacht P'acá y p'allá coming from East and asking permission to pass"…… "Yes, I can spell it for you: PAPA ALFA CHARLIE ALFA YORK PAPA ALFA LIMA LIMA ALFA". 
La prossima barca si chiamerà Ciro, giuro. Il nostro nome è bello e originale, ma impossibile da comprendere in radio per greci e italiani. Paquita avrà soddisfazione solo nel regno ispanico e oltre le colonne d'Ercole.
Subito dopo, in radio sento "Rion Traffic, here is Deep Blue….." Banale ma nessuno gli chiede di fare lo spelling.
"Pakaballa, channel is clear for you, one pillar right e three pillare left". Sempre qui ci fanno passare, ho provato a barare sull'altezza dell'albero, stavolta, inventandomi due metri in più, tanto per capire che margine c'è sopra, perché sembra sempre che si stia per sfiorarlo e viene voglia di abbassare la testa.
In navigazione nel golfo di Patrasso.
Amo il passaggio sotto il ponte di Patrasso molto di più di quello del Canale di Corinto. C'è più aria, sei più libero, e anche lo scenario è, secondo me, più suggestivo. Questa volta, il passaggio è più emozionante del solito, siamo in fil di ruota con le vele a farfalla e andiamo a 9 nodi di velocità. 
Arrivederci Egeo, ripeto ancora una volta mentre davanti l'occidente si avvicina inesorabile.

Nella frenesia di volare e di raggiungere il nuovo mare, compiamo un errore. Non ci fermiamo a Mesolongi e decidiamo di proseguire fino alla rada di fronte all'isoletta di Oxia. 
Arrivo nello Ionio.
Le ultime due ore sono di notte, nuvole nere coprono il cielo, il vento gira e sud ovest e rinforza e navighiamo in mezzo a fulmini che illuminano a giorno il cielo. A 10 miglia dall'arrivo, la distanza temporale tra lampo e tuono scende sotto i dieci secondi. Iniziano violenti temporali, impossibile scapolarli. Le due ore di viaggio ne valgono 10, si accende il radar per individuare gli scrosci temporaleschi ma è giusto per saperlo, non hai via di scampo. 
Mani lontane da alluminio e ferro, stacco tutto ciò che è in carica sottocoperta. Vengono riesumate le cerate. Il cielo ha colori stupendi, terrorizzanti ma irripetibili. Anche questo è navigare. 
Scivoliamo veloci tra le fish farm che costellano l'isoletta di Oxia e ci dirigiamo verso la baia continentale antistante che conosciamo già. Un ancoraggio sicuro, forse affetto da un po' di risacca. Grazie a un fulmine, individuo un enorme gavitello a mezzo metro e facciamo a tempo ad evitarlo. 
Son quei momenti in cui, quando cali l'ancora e ti accerti che ha preso bene, ti sembra di aver vinto una lotteria.
L'alba a Ormos Oxia, passati i temporali.
Nulla più ha importanza, la tua barca è al sicuro. Scendi sottocoperta, prepari una cena, e il mondo sembra essersi calmato. Fuori la perturbazione ci dà il suo particolare benvenuto nello Ionio. Strilla e strepita, illumina in modo sinistro la baia. Ma l'ancora tiene, un'altra barca in rada è alla giusta distanza, la risacca è leggera. Si dormirà. Come sempre si dorme in mare, di un sonno leggero e vigile che fa comunque sognare. E nel sogno, la mia prua volge di nuovo verso est.

giovedì 19 settembre 2013

La cura di Lavrion. Per la barca e per il cuore.

P'acá y p'allá mette piede su terra ellenica
per mano di Nikos
"Questa barca ha un buon karma" sentenzia Manolis all'una di notte mentre, seduto in pozzetto, assapora con una lentezza tutta ellenica quel caffè fatto con la moka che noi buttiamo giù in meno di un minuto. 
Ci stiamo per lasciare e questo momento ricorda quelle separazioni dolorose di chi si è trovato bene insieme, addolcito soltanto dal sapere che un filo, sottile ma resistentissimo, terrà per sempre legati.
Ci spiega con estrema solennità che ci sono tanti tipi di connubio barca/armatore: ci sono barche che non hanno un buon karma, nascono male o soffrono troppo nei primi anni di età e non riescono a riprendersi; ce ne sono altre con un buon karma ma un pessimo armatore, soffrono le pene dell'inferno e invecchiano presto per risorgere poi, miracolosamente, quando la barca cambia proprietà. E ci sono connubi come il nostro: una barca con un buon karma e armatori che le somigliano. "Sì, voi somigliate a P'acá y p'allá,  potrebbe tranquillamente essere vostra figlia. Siete fatti per lei e lei è fatta per voi, un'armonia che nessuno potrà mai infrangere". 
Spiros alla guida del crane che ala Volvy
I nostri 3 giorni pieni con Manolis, terminati sempre a notte fonda, sono un training di vita, una seduta di psicanalisi reciproca e una full immersion nell'inglese migliore che io abbia mai sentito da un non-madre lingua. 
Sale a bordo lunedì mattina e ci abbraccia con la gioia di chi ti stava aspettando. Ricorda tutto di noi,  il nostro viaggio,  la barca, il motore o meglio, la macchina. Perché per Manolis è femminile. "Le avete detto buongiorno, sì?" Ci dice appena torna in barca il martedì mattina. Imbarazzati, rispondiamo che no, non ci abbiamo pensato. In effetti era lì a vista, dopo che abbiamo smontato la scala, salutarla era minimo sindacale. Da allora, ogni giorno su P'acá y p'allá comincia con un "Buongiorno Volvy", diretto a quel motore di cui, vuoi perché è un oggetto inquietante, vuoi perché è di un verde inaccettabile a bordo, non ci siamo mai particolarmente curati di conservare il buonumore.
Vola, colomba verde vola...
Dico a Manolis come prima cosa che, nell'inconveniente di questa avaria, siamo ben felici di vivere quest'avventura con lui e vorremmo approfittarne facendo una bella revisione e apportando le eventuali modifiche che lui ritiene opportune. Più o meno esplicitamente gli comunico che non vorrei che nessun altro meccanico mettesse il piede su Paquita finché sarà in vita. Un gesto di fiducia che nessuno di noi si sognerebbe di adottare in Italia. Una fiducia che qui è, invece, estremamente ben riposta.
Volvy torna in barca sotto lo sguardo di Manolis
Insieme a Manolis, arriva Spiros, proprietario del crane che dovrà alare il motore. Mi preoccupa il fatto che Spiros sia già qui, fin da subito: ci vorranno ore per smontare tutti gli attacchi del motore e per disallestire la scala. Penso al tassametro del crane che in Italia è un jet di lusso di cui paghi ogni singolo minuto. Qui non funziona così, il costo è sempre lo stesso, anche se le cose si complicano e si perde più tempo. Quando appoggio un paiolo al tavolo di carteggio, Spiros accorre con uno straccio che appoggia tra le parti per evitare graffi. Avrei dovuto pensarci io, mi colpisce la delicatezza di quest'uomo, l'attenzione che mette in ogni movimento. Chiedo loro se dovrei in qualche modo proteggere con cartone o teli le pareti ai lati del tambuccio, considerato che da lì dovrà passare il motore con un margine di 5 cm per lato. Manolis mi dice che non ce n'è bisogno e capisco che nulla sarà lasciato al caso, neanche quei 5 cm.
Le amorevoli cure di Manolis
Manolis non ha fretta. Guarda con attenzione e meticolosità ogni particolare, smonta ogni pezzo. Ogni tanto si ferma e spiega a Giovanni che farebbe una piccola modifica se lui è d'accordo. Giovanni annuisce, comprendendo il senso ma, soprattutto, sulla base di quella fiducia che non puoi spiegare a parole perché viene dall'istinto. Ma il nostro uomo vuole che capisca bene tutto. Io sono al computer e ogni tanto vengo richiamata da  un "Francesca, please, traslate!" che mi mette in seria difficoltà, alla prova dell'interpretare questioni di ingegneria meccanica e trasporle in qualcosa che in italiano abbia un senso. Giovanni e Manolis si comprendono così attraverso un'interprete che ascolta e traduce senza capire realmente di cosa si stia parlando. Riusciamo a risolvere con l'ausilio di molte metafore e Manolis mi spiega il mondo dei motori come si fa con un bambino.
Manolis nel suo laboratorio
"Questo collettore di scarico non è stato mai cambiato, vero?" Per fortuna, Manolis fa tutte domande a cui ha già una risposta. Noi non l'abbiamo cambiato, prima chissà. No, è sempre lui, quello di fabbrica. Lo smonta, guardiamo questo ammasso di ruggine e corrosione, ci dice che sarebbe meglio sostituirlo. Lo autorizziamo e mentalmente conteggiamo 400 euro del costo di questo pezzo. Il giorno dopo invece arriverà con il nostro collettore salvato. Ci perde 3 ore di tempo per passarlo nell'acido e poi manualmente eliminare una ad una ogni incrostazione. Può fare ancora un anno, ci dice, forse 2. Di solito si cambia dopo 6/7 anni ma voi questa barca la fate viaggiare ed è questo il segreto della sua longevità. E' un lavoro in più, di cui non chiederà alcun prezzo, una fatica che poteva risparmiarsi con la semplice e onerosa sostituzione del pezzo. "Ma non si deve cambiare ciò che ha ancora vita davanti" dice Manolis che è un saggio cultore dell'eutanasia moderata.
Vassilis e la gru del terrore
Assistiamo, con uno strano mix di terrore e fiducia, all'alaggio del nostro motore. È incredibile come qualcosa che all'interno del suo vano appare enorme, diventi minuscolo quando sospeso in aria tra cielo e mare. Volvy viene adagiato sul pianale del crane con una delicatezza che avrei voluto avessero i portantini che mi caricarono sull'ambulanza la notte di 7 anni fa, in cui mi ruppi tutti i legamenti del ginocchio sinistro. 
Il silenzio scende sulla camera operatoria. Manolis sembra un orologiaio, ha la stessa pazienza e la stessa precisione. Svita, pulisce, sostituisce, riavvita, controlla. Dalle sue mani vedi l'amore che esce e diventa cura. E mentre opera, continua a parlare, a spiegare, ma lo fa sottovoce per non infastidire il "paziente". 
A tarda sera, il motore torna a bordo, ci vorrà tutto il giorno dopo per riattaccarlo alle sue appendici vitali. 
A guardia di P'acá y p'allá,  trattenendo il respiro
Ma qui arriva un'altra cattiva notizia: abbiamo acqua emulsionata nel sail drive. Quel liquido che all'ultimo controllo due settimane fa era limpido come una pipì di infante ha ora l'aspetto di un dressing francese per insalate a base di maionese. Chi potrebbe mai pensare che un sottilissimo filo da pesca possa far tanti danni? Si avvolge nell'elica e, se è molto sottile, penetra all'interno dell'asse e rovina gli anelli che fungono da paraoli. L'acqua di mare entra nel sail drive e in breve tempo i danni possono essere irreversibili.
Il sail drive, per chi non lo sapesse, è quel sistema che collega l'elica propulsiva al motore. Inutile spiegare invece che questo marchingegno è  immerso diversi centimetri sott'acqua, posizionato sotto la carena della barca. 
E, no, non è possibile operare in acqua a meno di non voler affondare la barca in tempi estremamente rapidi. Dopo aver alato il motore, occorre quindi alare l'intera barca.
Il porto di Lavrion, la darsena da pesca
"Se volete potete farlo in Italia, ma mi raccomando, appena tornate e tornate il prima possibile", dice quello che ormai è il miglior amico di Paquita
Farlo in Italia? Il terrore mi attanaglia e sento la barca rabbrividire. Tengo fede al mio impegno con Paquita e dico a Manolis di pensarci lui. Detto fatto: finito con il motore, aliamo la barca.
"It is very old, but very very strong" mi sussurra Nikos, con un dolce sorriso, intuendo l'ansia con cui guardo il suo mastodontico crane che sta agguantando la mia delicatissima barca. 
P'acá y p'allá è abituata a essere tirata in secca da un solido travel lift, mai l'abbiamo sottoposta a un alaggio con gru nel sacrosanto timore di una pressione troppo forte sullo scafo da parte delle fasce. Questa gru poi, non ha neanche il bilancino che serve a tenere separate le fasce e limitare tale pressione. Ce la puoi fare, Paquita le dico con la forza del pensiero.
"It is very old, but very very strong"
Nikos lo abbiamo conosciuto al nostro arrivo a Lavrion, domenica. Ha sostituito Manolis nel riceverci, interrompendo un pranzo familiare a Capo Sounion. A nulla valse dirgli di non disturbarsi, che non avevamo bisogno di nulla, potevamo usare il motore e non necessitavamo di assistenza all'ormeggio. "I know, but I'm here to say you wellcome", ci disse. 
Nikos è albanese, emigrato in Grecia con la moglie ucraina una decina di anni fa. Qui ha messo su una società di Yacht Services: qualche barca a noleggio e la gestione di un piazzale per lo stazionamento della barca a terra. È felice, fa un lavoro che gli piace, si vede.
"A piede nudo"
Non è solo nella gru la differenza. Abituati ad alaggi che prevedono una decina di addetti intorno alla tua barca, qui è tutto molto più semplice: Vassilis alla guida del vecchio ma solido crane, Nikos alla cima di prua per orientare la barca.
Giovanni sta facendo foto in giro, con quella indifferenza e tranquillità che lo caratterizza quando inforca la macchina fotografica. Io vengo incaricata di tenere la cima di poppa. Mi sento come una madre che passa i ferri al chirurgo mentre operano suo figlio. 
È bella questa cosa, si lavora tutti insieme, armatore e addetti, nessuno ti dice di stare lontano dal crane, nessuna legge vieta nulla, probabilmente nessuna assicurazione copre eventuali incidenti.
Rimorchiatore al molo di Lavrion
La cura con cui Nikos protegge la nostra barca si vede nei gesti, la precisione con cui Vassilis muove l'argano fa pensare a una coreografia precisa ripetuta con serietà e senza tante messinscene. 
C'è ruggine e amore, uno strano mix, in cui la mano dell'uomo batte le macchine e in cui le macchine hanno qualcosa di umano. 
Un bel copertone sgonfio sotto il bulbo e Paquita viene delicatamente poggiata su di esso. Il crane la terrà sospesa per tutto il pomeriggio, abbracciandola con delicatezza. 
Alaggio e varo costano 200 euro a viaggio qui a Lavrion ma Nikos, senza che glielo chiediamo, ci fa pagare la metà. "State alando perché avete un problema, ragazzi, mi sembra giusto così". Paghiamo 200 euro quello che nel mio porto invernale in Italia costa 1.200 euro. E in Italia nessuno mi ha mai detto "Se hai un problema, ti vengo incontro". That's Greece, qui il marinaio è un marinaio, non un armatore.
"Ogni cosa ha un suo posto nel mondo" dice Manolis
È il momento di Manolis e della sua incredibile sporta di attrezzi, una specie di borsa di Mary Poppins perfettamente ordinata da cui tira fuori tutto e in cui non manca mai nulla.
Anche Manolis lavora da solo e si fa dare una mano da noi, tanto dobbiamo star lì perché vuole spiegarci tutto. 
Smonta tutti i pezzi  e poi ci porta nel suo laboratorio, un container nel piazzale deserto poco distante. Sembra una lezione di applicazioni tecniche. Resto affascinata dal bidone con acido solforico in cui passa velocemente i pezzi, mentre mi spiega che un corpo umano, dopo pochi minuti, si dissolverebbe del tutto. Penso ai delitti mafiosi e mi passa la voglia di immergerci la mano. 
Giardini sul porto di Lavrion
Prima di smontare le pale dell'elica aveva segnato ognuna di esse e il loro alloggiamento con i numeri 1, 2 e 3. 
"Perché?" gli ho chiesto. 
"Perché ogni cosa deve andare al suo posto."  
"Ma non sono uguali, fatte dallo stesso stampo?"  
"Nulla è identico, ogni cosa ha un suo solo e unico posto nel mondo." 
Anche le pale dell'elica hanno un'anima.
Siamo nel suo regno. Il suo ufficio, la sua cuccia, il suo nido. In 10 metri quadri, ecco il mondo di Manolis. Ed è come la sua borsa degli attrezzi, tutto rigorosamente al suo posto. Giovanni lo fotografa mentre lavora, ogni tanto Manolis gli ordina "Don't take a picture of this, please, it's my exclusive licence". Un suo brevetto, una sua idea originale di cui è geloso. Si è costruito l'attrezzatura migliore con oggetti semplici, casalinghi, riadattati con creatività e ingegno allo scopo. È un laboratorio nato sull'esperienza il suo. 
Paquita torna in acqua.
Manolis, meccanico figlio d'arte, che ha lavorato in Svezia e che doveva far parte di un team educativo in Rhodesia per crescere meccanici africani e insegnargli un mestiere. Poi la Rhodesia disse "no, grazie". Non volevano che il loro popolo passasse del tempo con degli uomini liberi.
Torniamo in acqua e quando P'acá y p'allá tocca di nuovo la sua superficie preferita, mi accorgo che avevo trattenuto il respiro per tutte queste ore. 
Facciamo due chiacchiere a bordo con Nikos e Manolis, lì fermi sotto il grande avvoltoio di ruggine cui abbiamo affidato la nostra vita, perché la nostra barca è la nostra vita. Non hanno fretta, noi nemmeno.
Cala il sole, sorge la luna piena e salutiamo Nikos con un "ci vediamo l'anno prossimo" perché ormai lo so che, se posso,  nessun altro meccanico oltre Manolis metterà piede in barca. E se dobbiamo sottoporci ancora alla prova "crane vecchio ma solido", lo faremo.
Manolis salta in macchina e ci dice "ci vediamo all'ormeggio, devo finire". Torna a bordo, incurante del fatto che sono le 9 di sera, non ha fretta. Deve controllare tutto, rimontare il filtro dell'aria, esser sicuro che sia tutto perfetto. E deve spiegarci ancora tante cose perché "quando state in mare, ragazzi, siete soli e io voglio che possiate stare tranquilli, sapendo il più possibile dove mettere le mani."
...
Luna piena tra le navi a Lavrion
"Questa barca ha un buon karma e voi le somigliate" conclude all'una di notte di un giorno qualsiasi ma, allo stesso tempo, speciale. Abbiamo parlato di tutto: dei motori, del mare, della vela, della crisi, della Grecia e dell'Italia; abbiamo parlato della gente, di quella bella e di quella brutta, abbiamo parlato delle barche amate e delle barche maltrattate. Gli ho detto grazie un milione di volte e per un milione di motivi. Lui mi ha risposto "Grazie a voi per la vostra amicizia e la vostra semplicità"
Quando si passa a parlare del pagamento, io e Giovanni ci guardiamo e ci capiamo senza parlare. Chiedo a Manolis di alzare il preventivo iniziale: ha fatto molte più cose del previsto,  lavorato 30 ore e crediamo che la sua richiesta sia davvero troppo bassa. Non siamo né pazzi, né ricchi, ma siamo in grado di capire il valore delle cose e un prezzo esageratamente amichevole. 
Lui mi guarda, ci pensa e poi dice "No ragazzi, io sono contento, voi siete contenti. Questo è l'importante, i soldi non servono a molto".

Ciao Manolis, grazie di averci fatto pensare che il mondo può essere ancora infinitamente bello e vero.

domenica 15 settembre 2013

Alla ricerca di Manolis (2a parte)

L'ex carcere sull'isola di Gyaros
Il portolano di Rod Heikell liquida Gyaros come "uno sperone roccioso, brullo, disabitato e privo di ancoraggi". Non è certo la prima volta che una terra greca smentisce un portolano. Sul lato est dell'isola c'è la baia del carcere, forse impraticabile in regime di meltemi ma qualcosa di buono la bonaccia dovrà pure avere, no?.  Ci arriviamo a mezzanotte e, mentre cerco la chiazza di sabbia su cui gettare l'àncora, la mia torcia illumina l'enorme edificio carcerario ora abbandonato. 
La sensazione è di essere in un luogo sinistro e spettrale, una magia lievemente inquietante ma pur sempre una magia. Per chi ci arriva poi dopo giorni di navigazione senza vento e con la preoccupazione di un motore che necessita di riparazione, questo strano luogo di interdizione assume i connotati di un porto sicuro, di una casa, di una terraferma amica. Sorge il sole e il contesto appare ancor più magnifico e sinistro di come la notte lo aveva fatto immaginare. 
Una lapide all'ingresso dell'edificio carcerario recita in greco moderno qualcosa tipo "Qui spaccarono pietre sotto il sole uomini che, lottando per i loro ideali, volarono molto in alto". I dissidenti del regime venivano confinati qui. Cartelli consumati dal tempo dicono che la struttura è fatiscente, pericolosa, meglio non accedervi. In effetti, enormi scale in pietra sono sovrastate da solai crollati, quintali di cemento trattenuti solo dalla rete di ferro rotta in più parti. Ma il richiamo è troppo forte. 
P'acá y p'allá all'ancora a Gyaros
Forse, con il vento di sempre, non avrei avuto il coraggio di entrare, di salire i tre piani e di addentrarmi in stanze dove pavimenti e soffitti lasciano intravedere il sopra e il sotto. In questa calma inconsueta e irreale hai però la sensazione che nulla possa muoversi di un millimetro, cominci a entrare e poi, affascinata dal luogo, non hai più voglia di uscire. È come se fosse stato abbandonato secoli fa ed è come se fosse stato lasciato ieri. Immagini la vita all'interno: l'angusto cortile dove i detenuti approfittavano dell'ora d'aria, le grandi stanze con i ferri che tenevano le brande, le docce, i bagni alla turca, gli alloggi ufficiali. Senti quasi il rumore del grande portone in ferro a maglie incrociate, ora sempre aperto, allora sempre chiuso. Qui il mare, quasi perennemente in burrasca, non lascia speranze di fuga.
Tramonto a Ormos Kastri (Kea)
Ripartiamo da Gyaros, sollevati dalla possibilità all'occorrenza di poter usare il motore a bassi regimi. Vuol dire procedere, non importa quanto piano, vuol dire poter andare avanti e stimare un tempo massimo di viaggio. Rinfrancati da questo, ci godiamo il periplo di Gyaros, un bel bagno sulla costa meridionale e un veloce avvistamento di una foca monaca che approfitta dell'abbandono dell'isola per farne casa sua. Poi, via  verso Kea, Tzia in greco,  la prima della Cicladi in cui non eravamo mai stati. Il vento, ora che non è più indispensabile, riempie il nostro gennaker e ci spinge a una velocità ormai dimenticata di oltre 9 nodi, permettendoci di raggiungere in breve tempo Ormos Kastri, una baia a Nord Est dell'isola, uno specchio di acqua blu sotto un grande monastero. Ci fermiamo per la notte, rimandando la scesa al porto di Kea al giorno dopo. 
Alla conquista di un branco di ricciole a O. Kastri
È ancora venerdì, abbiamo due giorni prima di poter entrare a Lavrion e vogliamo goderceli. All'alba ci svegliamo con un vento fresco da nord, il meltemi era stufo di giocare a nascondino e, visto che abbiamo imparato a cavarcela, ha deciso di venirci a prendere. 
Come al solito, le sue sono maniere un po' rudi. Ti tira via il lenzuolo e ti catapulta fuori dal letto. La rada tranquilla si trasforma in un bacino esposto all'onda e non c'è niente di più convincente. 
L'approdo di Korissia a Kea
Nella grande baia protetta di Ag. Nikolaos c'è il porto di Kea. Due possibilità di ormeggio: la prima a Korissia, vicina allo scalo dei traghetti, la seconda a Vourkari, nella parte a nord est della baia, che ha però pochi posti per barche con pescaggio importante. Ci ancoriamo davanti a Korissia e scendiamo in tender per verificare la profondità a ridosso del molo. È un'azione che facciamo spesso, quando approcciamo posti nuovi e quando non ci fidiamo di ciò che dicono i portolani. P'acá y p'allá non ha solo una deriva che pesca 2,40 mt, ha anche  una pala del timone molto arretrata che arriva due metri sotto la superficie dell'acqua. Tutto a posto, Korissia è perfettamente adatta alle nostre propaggini immerse. 
Siamo in uno dei tanti e tipici porticcioli greci, ben attrezzati con colonnine d'acqua e corrente usufruibili con la chiavetta ricaricabile da 2 euro che acquisti al bar Papa Doble, proprio davanti alla barca. Dal bar hai anche l'accesso wi fi a internet e hai completato il piccolo rosario delle esigenze di un marinaio. Te ne andrai perché vuoi continuare il viaggio ma sai che se resti lì, non ti mancherà nulla. 
Ioulida, la Chora di Kea
Verificato il buon ormeggio della barca e capito con le solite domande finto-disinteressate che i vicini di ormeggio non hanno intenzione di salpare, è l'occasione ancora una volta di prendere un motorino in affitto e girare quest'isola, nuova scoperta che non pensavamo di fare.
La prima cosa che noto è l'architettura dell'isola. A partire da Ioulida, l'antica Chora, sembra di essere lontani dalle Cicladi, in questa prima Ciclade. Niente bianco a calce e angoli smussati, niente cupole azzurre. Ma tetti di tegola e tanti colori. 
sulla via del cimitero con l'acqua per i fiori
Bella ma diversa. Kea è  luogo di seconda casa per ricchi e si vede. Le ville, sparse in tutta l'isola e tutte costruite da un architetto che si chiama Xristos, sono di grande gusto moderno, essenziale ma ricercato, con una particolare voglia di simmetria e di integrazione con la terra. Case in pietra con belle piscine, terrazze con vista e grandi finestrature a filo, senza infissi. Il giardino è un trionfo di bouganville, di piante mediterranee e di prati verdi all'inglese. Siamo lontanissimi dalla Grecia insulare che conosciamo, povera e semplice. Siamo più vicini a Atene e alla ricchezza. Siamo in un  luogo dove le case le fanno gli architetti non i geometri o i proprietari stessi. 
Una delle tante ville di Kea
È un bell'effetto di prosperità e gusto che, se qualcosa toglie alla spontaneità del luogo, glielo restituisce come estetica.
Da Ioulida, un labirinto di viuzze interamente chiuso al traffico, percorriamo la stradina in pietra che porta al cimitero e al Leone di Kea, una statua di ardesia del VI secolo AC che raffigura un leone adagiato su un fianco. Ci si chiede come sapessero dell'esistenza dei leoni, i greci del VI Secolo AC, una risposta ci sarà ma non credo che la presenza di leoni in Europa a quell'epoca sia quella giusta.
Il leone di Ardesia di Kea
Kea, che il mito narra come isola in cui l'eroe civilizzatore Aristeo accorse per scongiurare i cattivi auspici di disgrazia e siccità provocati dalla vicina Siros,  è oggi un mix di vallate e campi di frutteti, oliveti e grandi piante di mandorli e fichi. La strada curva e svela di volta in volta panorami spettacolari sulle Isole Cicladi disposte a raggiera. La costa di Kea è tra le meno accoglienti: la forma dell'isola a goccia capovolta offre pochi ridossi e il vento dominante le scorre intorno creando particolare risacca.
Il cimitero di Ioulida
Il turismo qui è prevalentemente locale, chiaramente destinato a un target benestante. Una sorta di Portofino dell'Egeo, mutatis mutandis. La baia del porto ha un suo fascino bipolare con la zona di Korissia dedicata allo scalo dei traghetti e dei rifornimenti e la parte di Vourkari più tranquilla, orlata da bar alla moda, ristoranti e negozi di artigianato. Nel grande golfo, qualcuno lascia la barca in inverno ferma a un gavitello. Ma non esiste nessun luogo tranquillo per una barca lontana dal suo Capitano. Lo scafo ferito di una barca a vela spiaggiata cui il mare, il tempo e l'abbandono stanno decretando una triste fine, rafforza in me la voglia di portarmi dietro Paquita, come mio unico mezzo di trasporto, sempre e comunque vicina a me. 
La costa orientale di Kea
Una antica tradizione locale, anzi, una vera e propria legge ben spiegata da Strabone e di cui si trovano cenni anche nei poemi di Pascoli, prevedeva che Kea non fosse un paese per vecchi. All'insegna del postulato "Non deve vivere male chi non può vivere bene", la legge prescriveva a chi superava l'età di sessant'anni di togliersi la vita bevendo una pozione di cicuta affinché ci fosse sempre cibo a sufficienza per tutti gli abitanti. Largo ai giovani, all'isola di Kea.
Pur essendo noi ancora lontani da quel traguardo, pensiamo sia meglio levare la nostra ancora ben in tempo. 

Lavrion è a 13 miglia, Manolis ci aspetta.

giovedì 12 settembre 2013

Inversione di rotta, alla ricerca di Manolis (1a parte)

La nostra è una imbarcazione a vela con motore ausiliario. Questa definizione connota la sua caratteristica fondante: una superficie velica in metri quadrati superiore al 50% della potenza del motore espressa in cavalli. E la distingue dai cosiddetti motorsailer.
Ausiliario= che è di aiuto. Dicesi di cose, non indispensabili, che possono fornire un valido supplemento all'azione che si intende compiere.
Ora però, è facile riconoscere - anche per Paquita - l'ausiliarità del motore in condizioni normali. Quando cioè la materia prima, il vento, non manca, quando manca ma si sta fermi e non si deve andare da nessuna parte e - soprattutto - quando quell'ausiliario funziona.
Ti accorgi del motore della tua barca, quando qualcosa non va. Da un po' di giorni vediamo una perdita d'olio dalla guarnizione della coppa che non ci piace per niente. Talmente poco ci piace che tentiamo di contenerla. Sappiamo che non si deve fare ma la tentazione di stringere di poco il bullone da cui perde è troppo forte. Come scritto sui manuali, la guarnizione finisce di rompersi e fuoriesce prepotentemente dalla coppa dell'olio.
"Abbiamo-bisogno-di-Manolis" sentenzia Giovanni a Naxos. Manolis altri non è che il signore di cui a a questo link potete farvi un idea del perché noi lo chiamiamo King Manolis. Incontrato al Pireo l'anno scorso, non non abbiamo più potuto permettere ad altri di mettere mano al nostro motore. Questo "Abbiamo-bisogno-di-Manolis" sarebbe stato enunciato anche se ci fossimo trovati in Italia, in Spagna, in Tunisia, insomma almeno nell'intero Mediterraneo. Per fortuna, King Manolis è semplicemente a Lavrion, 90 miglia a nord di dove siamo noi.
Lo chiamo, si ricorda di noi, ci aspetta. "Ma fate con calma, qui dal venerdì alla domenica è un delirio di barche charter e io non ho un attimo di tempo, oltre al fatto che non trovereste un buco per ormeggiare. L'ideale è che arriviate domenica"
E' martedì, abbiamo 90 miglia da fare in 5 giorni. Bazzeccole, ozieremo un bel po', penso, in questo regno di mare fatato e costellato di isolette. 
Pensiamo di usare il motore solo in caso l'angolo diventi troppo critico e la bolina, obbligatoria in questa rotta egea, sembri impossibile.
Appena lasciata Naxos, controlliamo la reale perdita di olio. Era abbastanza esigua prima del nostro sapiente intervento, sufficiente a navigare anche a motore a bassi giri, rabboccando ogni giorno quanto perso. Basta poco per capire che la situazione è inesorabilmente cambiata: perdiamo circa 3 litri l'ora. Un rapido calcolo ci porta a considerare che abbiamo 6/7 litri nella coppa dell'olio e altri 6 di riserva. Cambia la prospettiva: il motore non può assolutamente essere usato, quel poco di autonomia che abbiamo va riservata ad ancoraggi e ormeggi, meglio ancora solo agli ormeggi. Cambia anche la strategia: se l'angolo è critico si bordeggia, se il vento latita si va piano. 

Mentre penso queste ultime parole, sento l'impulso di smembrarle in lettere e metterle in ordine sparso, tanto da rendere il concetto incomprensibile a chi sa leggere nel pensiero.
Troppo tardi. Il meltemi la percepisce e decide di divertirsi un po'. 
E così comincia la nostra anomala avventura di fine estate nel bel centro dell'Egeo. 90 miglia verso nord con un vento la cui direzione è indefinibile visto che la velocità si attesta su una media di 1-2 nodi.
Siamo in quel fazzoletto di mare adagiato tra Capo Sounion, Andros, Tinos, Mykonos, Kea, Siros e Paros. Poco più di un mese fa ci entrammo dalla porta tra Tinos e Mykonos con un forza 9, chiedendoci se mai da queste parti il vento mollasse un po'. 
Ecco, ora ha mollato, direi.  E' il 10 di settembre ed è calma piatta. Lo resterà per 5 lunghissimi giorni.
La vita e la percezione della vita a bordo, cambiano drasticamente rispetto al solito. Un lieve refolo che spinge la barca a 2 nodi di velocità fa esultare e disperare non appena cala. 15 miglia avanti sulla nostra prua, visibile fin dalla partenza con la crudeltà delle giornate limpide, la bella Rinia. L'acqua è un'enorme - immensa e infinita, penserò alla fine della giornata -  tavolozza liscia.
Confidiamo in qualche lieve increspatura sapendo che non possiamo far nulla per raggiungerla, solo sperare che si allarghi fino a noi o che, venendo da dietro, sia più veloce di noi e ci trascini con lei. Ogni gesto in barca è misurato, sono bandite azioni che possano interrompere l'abbrivio, fosse anche solo mettere una mano in acqua. 
Si riscopre il gusto delle virate di precisione, cosa assolutamente poco importante per un navigatore non regalante. Noi che allo scendere del log sotto i 5 nodi, iniziavamo a sbuffare, rendiamo grazie agli dei per un quarto d'ora di gloria a 3,5 nodi con il gennaker a riva. E quel quarto d'ora merita tutta la fatica di tirarlo fuori dalla cabina dove dorme da mesi, sistemare le manovre, issarlo, soffiarci sopra.
Incontriamo una mezza dozzina di barche a vela sulla nostra rotta. Tutte rigorosamente navigano a motore. So cosa pensano e immagino i loro dialoghi a bordo: "Vedi Caterina? Quello è lo spirito della vela! Tu ti lamenti sempre che non arriviamo mai. Non è la meta la cosa importante, è il navigare!". Qualcun altro invece dirà "E accendilo quel motore, che ce l'hai a fare…. Che sciocchi fanatici". Nessuno avrà pensato a un'avaria, altrimenti qualcuno avrebbe offerto aiuto. Oppure no. Chissà.
Io intanto penso a Ios, Sikinos, Folègandros e Milos e rivolgo loro un triste saluto. Le conosco tutte e avrei voluto ritornarci. Sarà per la prossima volta mi, sa. La strana rotta di quest'anno somiglia sempre meno a un disegno e sempre di più al caos. Ma diceva Shopenhauer "Bisogna avere il caos dentro di sé per generare una stella danzante". Anche questo viaggio, a suo modo, è una stella danzante.
È incredibile come ci si abitui al cambiamento e si modifichino le priorità. La velocità perde importanza e lascia il podio al semplice procedere. 1 o 2 miglia l'ora, non importa, l'importante è andare avanti; non serve mordere il mare, consumarlo, serve solo l'abbrivio di proseguire. 
Meno piacevole è quando ogni bava di vento cala del tutto e il tuo log inizia a segnare valori molto vicini allo zero. Lì hai la sensazione di non avere direzione, di essere alla deriva, con il timore di andare indietro e perdere quel miglio tanto faticosamente percorso. Ma basta il ritorno di quel refolo leggero, basta non sentire più le vele sbattere e piangere le lacrime dell'inutilità che ritrovi subito il senso del tutto.
È l'ultimo miglio, la prova peggiore. Quando il tuo ancoraggio è lì a portata di mano e allo stesso tempo così irraggiungibile. La brezza del sottocosta è finita, siamo entrati nella grande baia a ovest di Rinia e l'anemometro segna 0,6= 1 km l'ora. Ti viene voglia di tuffarti e trascinarti dietro la barca per questo ultimo pezzo. 
Poi la bellezza dell'ancorare a vela. Via il fiocco, si lasca tutta la randa, si sceglie la chiazza di sabbia e si butta l'àncora a mano. E sì, perché in assenza del motore, risparmiare energia diventa vitale e l'uso del verricello elettrico, indispensabile per alare l'àncora con la sua catena, assume una connotazione di superfluo nel calarla. Superfluo... a patto che non si rischi di amputarsi di netto una mano, come faccio io. Le forze in gioco son diverse dalle barche precedenti, Francesca. Non me lo ricordo mai….
Le previsioni meteo continuano a raccontarci, con i colori del blu e del celeste, una prospettiva di Forza 1-2 per i prossimi giorni. Forza 0 per l'indomani. Tempo ne abbiamo, decidiamo di passare la giornata a Rinia, pronti a partire al primo segno di vento.
Mai avremmo pensato di percorrere questa rotta Nord in Egeo e dover desiderare ardentemente il vento. Ma è così. E c'è del bello anche in questo. 
Manolis ci tiene d'occhio via SMS e ci incoraggia. Sembra un filo sottile ma resistente che porta a casa. Ha ordinato la guarnizione, tra due giorni gli arriva. Ha prenotato il crane per l'alaggio del motore lunedì. Gli chiedo se vuole un anticipo via internet banking, in fondo ci ha visti una sola volta in vita sua e ora siamo solo un numero di telefono greco, nulla di più. La risposta arriva dopo nemmeno un secondo: "Keep on sailing, guys, don't worry about money, this is not the problem"
Approfittiamo della sosta per tentare di contenere la perdita di olio. Abbiamo acquistato a Naxos, prima di partire, un tubetto di Loctite 596 Rossa, specifica per questi usi. Operiamo con meticolosità ma pochissima speranza. A questo punto, la perdita di olio ha portato il livello al di sotto della giuntura della coppa. Puliamo bene la fessura della guarnizione e tutto intorno con l'acetone, lasciamo asciugare e mettiamo un dito di loctite  sulla giuntura tra la coppa dell'olio e la base del motore. Il vano motore, assurdamente angusto - perché i progettisti non pensano mai che qualcosa possa rompersi e si debba operare lì dentro - richiede capacità da contorsionista e arti lunghi e sottili. La porzione da cauterizzare è piuttosto abbondante, tutto il lato frontale inclusi i due angoli. Lo facciamo ma non riponiamo in questa azione nessuna aspettativa. E intanto ci godiamo una bella giornata regalata d'estate piena. 
Ottimizziamo la produzione energetica rendendo orientabili i nostri pannelli solari, risparmiamo luci e utilizzo del computer. In questa atmosfera da Robinson Crusoe, Giovanni prende una cernia di dimensioni adatte alla cena, io mi limito a lunghe nuotate e alla consueta scelta del sasso. 
La sensazione di lentezza mi arriva sotto pelle e mi ricorda che non c'è mai fretta: nessun luogo è lontano, nessun giorno è l'unico domani del mondo. Ma soprattutto, Manolis si occuperà di noi e questo mi fa sentire bene. L'ansia per il lavoro da fare, sciocco lavoro ma che necessita di alaggio del motore, è come sempre principalmente una preoccupazione economica. Sappiamo però di essere in ottime mani, le mani di una persona onesta che conosce il suo mestiere. 
A 12 ore dal problema, questa avventura mi appare come un'opportunità. L'intervento di Manolis ci consentirà di fare una revisione del motore, seria e accurata. Evitando di ricorrere a manodopera italiana una volta rientrati in patria. La sola idea di saltare questo passaggio mi entusiasma. E poi, davanti a noi ci sono Syros, Gyaros e Kea, tre isole fuori dalla nostra rotta originale, sconosciute per noi, che abbiamo la possibilità di toccare. E Poseidone da tornare a omaggiare a Capo Sounion. E non basta. C'è questa esperienza da avere addosso che ti insegna qualcosa in più sulla tua barca, su te stessa e sul viaggio. E sullo spirito del viaggiatore. 
La mattina dopo ripartiamo con la prima illusione di vento. Una brezzolina leggera che ci accompagna fino alla porta di Rinia e poi ci lascia lì. Ancora una volta, a velocità di un nodo. 
14 miglia in 10 ore, avremmo voluto proseguire ma, verso le 6 di pomeriggio, il vento che cala a 0 lasciandoci sballottare dalle onde dei traghetti e la vicinanza della baia di Ak Kalogero a Syros fungono da sirena e ci dicono di fermarci. Una nuotata, una messa a punto dell'ancora a mano sott'acqua, un sasso in ricordo di Syros. Domani il vento soffierà più forte, me lo sento. 
Mentre lo penso e mi chiedo cosa preparare per cena, comincia a salire una brezza decisa di ben 6 nodi. Facciamo finta di niente, sappiamo che è l'illusione creata dall'attrito del sole che si tuffa in acqua, quel differenziale di temperatura tra la terra e il mare che crea la brezza serale. Non durerà. Ma dopo mezz'ora dura ancora e, foss'anche per poco, è un poco che ti fa far miglia. Nel buio e nel silenzio alziamo l'ancora, le vele e facciamo rotta su Gyaros, 12 miglia a nord ovest. 
Ci attestiamo su un dignitosissimo 4,5 nodi di velocità, bordo buono, siamo esaltati. In meno di 3 ore ci siamo, pensiamo. E ovviamente non avremmo dovuto pensarlo. Il vento torna a 0 e ci toglie ogni speranza. 
La notte è notte, appena rischiarata da una consolante mezza luna. Siamo una sorta di boa ferma in mezzo al mare. Le vele, impietose, sbattono a ricordarci che non sono queste le condizioni per cui sono state pensate. A darci il senso del nostro essere immobili, 2 immense navi della Blue Star, compaiono ora da Est, ora da Ovest e rapidamente si allontanano con le loro luci accese e il richiamo di vita che contengono. Rifacciamo i conti: ammesso che questo nodo di velocità che facciamo sia dato dalla corrente e non dall'abbrivio, prima dell'alba non saremo a Gyaros. 
Poi ci ricordiamo della Loctite. Talmente scarsa era la fiducia che riponevamo nel prodotto e nel nostro intervento che non li abbiamo ancora messi alla prova. Quale momento migliore? 
Come spesso accade, quando non pensi di aver fatto un buon lavoro, la vita ti premia. L'effetto Loctite dà infatti risultati esaltanti: la perdita è quasi interamente contenuta da quella striscia coraggiosa di gommina rossa che pare resistente al calore, alle vibrazioni, all'olio bollente che prepotentemente cerca di uscire. Da 3 litri l'ora, passiamo a 1 cucchiaio l'ora. Un solo punto, quello da cui perdeva all'inizio, continua a fare qualche goccia. Procediamo a 1.200 giri con l'allegra velocità di 5 nodi. L'isola di Gyaros ci corre incontro...