martedì 1 novembre 2016

Back home.


Ogni anno è allo stesso tempo più naturale e più contro natura. Il lungo viaggio che mi riporta a casa aiuta come sempre a stemperare il distacco, ormai una dolce via crucis di piccoli appuntamenti consolatori. 
Saltata la mia tappa preferita, Crotone, per meteo infausto nello Ionio, abbiamo ripercorso la lunga via dei tre tirreni facendo sosta in luoghi amici, da Vibo Marina con il caldo abbraccio del marina del Carmelo a Gaeta, poi una breve sosta notturna in quel porto mai costruito a Fiumicino e su, molto tranquillamente fino a casa. Miglia dopo miglia, guadagnando cellule epiteliali difensive per un ritorno che, ogni anno di più, è strano e faticoso. Ma è colpa mia, non del mondo. Quando scegli di chiamarti fuori poi sei effettivamente fuori.
Un ritorno prudente e fortunato, con un po' di vela leggera e anche parecchio motore, scegliendo di fermarsi nei giorni cattivi perché il tempo e l'essere liberi da un bisogno idiota di eroismo ti insegnano ad aver più cura della tua barca che dell'avventura. Ché le avventure lasciamole ai grandi, sia in mare che a terra, impariamo a riconoscere gli eroi in chi fa qualcosa di davvero importante, possibilmente non per se stesso ma per gli altri. 

E non siamo noi. E non ne vedo in giro.
Questo sarebbe il momento dei numeri, miglia trascorse, giorni passati in mare, nodi di vento, isole toccate.... Ma non ho voglia di contare, né mi appunto cose che fanno numero.
Suono confusa, lo so, è normale. Sono realmente confusa ogni volta che rimetto piede a terra e riprendo contatto con essa. Abbiate pazienza. Si apre davanti a me la stagione in cui restituire. Tentare di essere figlia, amica, zia.
Tentare di essere all'altezza e non è facile. Mediare tra il bisogno di fuga e di solitudine e il dovere. Confrontarsi coi sensi di colpa. 
E cercare con disciplina e umiltà di produrre qualcosa. Scrivere, ma forse non di mare. Lo fanno già in troppi ormai e quel che leggo, sinceramente non mi piace, mi atterrisce il pensiero di produrre qualcosa di simile senza neanche rendermene conto.
Scrivere è vita per me, da quando ho imparato a farlo, la miglior terapia del mondo per chi non sa tenere un pennello in mano.
E fare elenchi. E ascoltare. E, soprattutto, trattenere il fiato e aspettare. Guardando il mare che per fortuna mi tengo sempre addosso. 
Buon vento a tutti. In mare, a terra, ovunque viviate.

lunedì 24 ottobre 2016

A Vibo Marina a far scorrere i giorni.


414. In tanti ne sono arrivati l'altro giorno portati da una nave soccorso della Croce Rossa. Il più piccolo ha 4 giorni soltanto. 
È il quarto sbarco di quest'anno a Vibo Marina, vengono portati qui quando l'affluenza nei punti più vicini al recupero, in Sicilia o in Calabria ionica,  è arrivata alla massima saturazione. 
Nel sabato del villaggio di uno strano ottobre molto estivo, cittadini, forze dell'ordine e emigranti si mescolano senza mescolarsi sul lungomare di Vibo. Divisi da un cordone di transenne e strisce di plastica bianca e rossa, improvvisato velocemente. Eppure tutto, nella sua infinita tristezza, sembra a noi di passaggio, così naturale da far pensare che sia un fenomeno assai più frequente.
Vengono dall'Africa, vari paesi, sono uomini, donne e bambini. Sono tanti, apparentemente in buono stato fisico. Alcuni vengono accompagnati dai volontari in delle tende tirate su velocemente, forse per fare un controllo medico. Dalle transenne i vecchi del luogo chiedono "sta bene?", "e il bambino?" 
C'è un'unità di decontaminazione, ma non sembra se ne faccia uso. 
Mi fermo a guardare da oltre quelle transenne che mi posizionano di fatto nella parte del mondo dei fortunati. Come sempre. Non per meriti ma per casualità di nascita.
Devo ricordarmelo, ogni giorno. 
Mi colpisce la loro quiete, forse figlia della stanchezza o del lungo viaggio. O della rassegnazione. 
Da lontano sembra una scolaresca di bambini, seduti a terra, in fila ordinata, con un foglio in mano. Assumono tutti la stessa posizione, seduti con le gambe piegate davanti, qualcuno ha la testa poggiata sulle ginocchia, forse cerca di dormire, ma i più guardano avanti, seduti tutti alla stessa maniera. Fermi, composti, guardano avanti a loro senza forse guardare nulla, senza parlare tra loro. 
A gruppi di una decina si alzano a chiamata, si mettono in fila. Ricevono un paio di pantaloni e una giacca a vento grigi, quasi tutti indossano questi abiti supplementari, forniti per dare loro semplicemente il conforto di qualcosa di più caldo di ciò che hanno addosso ma fa impressione vederli lì in fila ordinata, in divisa, salire sui pullman che li porteranno altrove. Fa impressione a me, perché alla mente questa scena richiama brutte immagini del passato che letteratura e cinematografia ci hanno insegnato a chiamare deportazione. Ma è solo un collegamento istintivo. 
Ho visto tutt'altro. Ho visto uomini collaborare per salvare delle vite, ho visto mani che toccavano altre mani, sorrisi che rassicuravano, braccia che accompagnavano. Ho visto ciò che è naturale vedere che combatteva ciò che è mostruoso vedere. 
Ho visto l'accoglienza. Nei fatti invece che nelle parole. Ed era così chiaro che non c'è altra forma possibile, solo questa. 
Ho visto organizzazione, efficienza. Quella che in Grecia non hanno, non possono avere e alla cui mancanza sopperiscono con la sola umanità. 
Ma il risultato, seppur diverso, è lo stesso: l'uomo dà una mano all'uomo, senza chiedere perché. Ed è bello.

domenica 16 ottobre 2016

L'attesa.

Questa parte del viaggio è fatta di attesa. Arrivi al lembo occidentale di questo ionio greco e aspetti le condizioni ideali per passare dall'altra parte di questo piccolo mare che per me è come l'oceano. 
Ci sono spesso arrivata in corsa, coi minuti contati per volare di là. E il tempo di attesa era troppo breve. 
Stavolta no. Arrivo ai blocchi di partenza e aspetto il tempo giusto. La finestra buona sembrava quella del 13 e 14 ottobre ma la forte instabilità ci ha convinto a rimandare, sperando di non sbagliare. Perché anche ad aspettare si può sbagliare. Si può sbagliare sempre e questo ti mette - no diciamo che mi mette - un filo di ansia addosso. 
Da una settimana la meteo ci dà costantemente una buona finestra per lunedì, non ha mai cambiato idea in tutta la settimana, speriamo non lo faccia ora. 
Nel frattempo, casa è stata Itaca, un'Itaca vivace nelle ionie di ottobre rese alta stagione dal charter nautico low cost di ottobre tanto caro ai nord europei. Vantaggi e svantaggi di un po' di affollamento, quello a cui noi non siamo abituati. Ma in questo periodo fa piacere vedere barche per mare, quindi il saldo è a favore dei vantaggi. 
Poi c'è sempre il sabato, giorno in cui i charter sono fermi per pulizia barche, e a terra senti di nuovo parlare greco, in banchina solo gente che come te ha scelto il mare come vita, ci si sorride, ci si chiede dove si è diretti. E stamattina a sorpresa troviamo Kosta in banchina, il re di Galaxidi dove ha uno shipchandler incredibilmente fornito, un albergo, un forno e chissà cos'altro. Sta trasferendo un Beneteau 54 con sua figlia e ci offre un caffè.
Kosta ci racconta di trombe d'aria intorno a noi nei giorni scorsi, una a Mesolonghi, una a Zante, negli occhi ho quella di Genova e di Napoli di ieri. 
Si tende il filo di ansia, leggera leggera, ma sempre lì, a ricordarmi che tutto è un equilibrio precario. L'ho scelto io, non mi lamento, ma in un'epoca in cui la paura si rifiuta io me la tengo stretta addosso e quando poi mi sento di nuovo al sicuro sento che la paura è una bella coperta di lana, ti ricorda costantemente che la vita è bella e non è un compito da poco.
340 miglia davanti fino alla prossima sosta, per alcuni sono nulla, roba da fare ad occhi chiusi e con la mano sinistra. Per me sono sempre la tratta più lunga che faccio, quindi il mio personale oceano. 
La voglia di arrivare, sanerà la nostalgia crescente di questo Paese che ho nel cuore, compenserà il rimpianto in un gioco ormai noto di equilibri della mia bilancia di vita. 
Auguratemi buon vento e soffiate piano, nella giusta direzione.

lunedì 10 ottobre 2016

Itaca, Vathi. E i déjà-vu

C'è qualcosa che ti porta a tornare sempre negli stessi luoghi, a un certo punto del viaggio. Eppure pianifichi di non farlo, perché del poco che resta di non fatto, hai quasi bisogno. Meganisi, l'isola sempre sfiorata, toccata una volta per una breve sosta, ma per lo più lasciata sfilare ora a dritta ora a sinistra era l'isola in cui volevamo fermarci oggi. 
Il molo dotato di corrente, come confermato dagli amici, era un'attrazione in più in giornate come queste in cui i pannelli solari restano a dormire. E poi la bottiglia di bianco messa in frigo da Filippo che ci aspettava lì con il suo Morgana, il suo amico chef che preparava manicaretti per noi. 
E invece no. 
Alla fine, quando non decide il vento, decide il cielo, anzi direi che il cielo è in certi casi più autoritario del vento. Verso nord, all'improvviso un muro nero, lampi educati ma decisi rischiaravano a tratti un'orizzonte comunque privo di visibilità. A ovest su Itaca, un chiarore maggiore, qualche sprazzo di azzurro in cielo. Come un richiamo. Lo sappiamo che arriverà pure lì, ma in queste situazioni e in questo tratto di mare staccarsi dal continente regala più possibilità. 
Ma non è nemmeno questo il vero motivo. Torni nei luoghi che conosci più facilmente di quanto vai a trovarne di nuovi, in questa stagione. Torni nei luoghi che son già stati base della traversata di ritorno, come un ticket da prendere, come un commiato necessario. È rassicurante, consolatorio e confortante. Come una tazza di tè caldo tra le mani in un autunno che, contrariamente a quanto mi ostino a pensare non ha affatto deciso di rinunciare al suo ruolo. 
Ovviamente, appena cambiata la rotta ha diluviato, lampeggiato e tuonato sopra di noi, davanti a noi e fino al nostro arrivo. Ma poi ha smesso, dispettoso cielo, e ci ha restituito i colori. 
Chissà, magari domani torna l'estate, me la porta l'arcobaleno.

sabato 8 ottobre 2016

Corinto con ansia.

L'ottavo passaggio nel canale di Corinto l'ho amato meno degli altri 7. Cioè no, non l'ho amato per niente. 
Arrivati al molo, l'addetto alla riscossione del pedaggio si scusa e mi avvisa che dovremo aspettare un'ora/un'ora e mezzo per passare: la grande nave cargo che abbiamo appena visto entrare sta dentro il canale come quando dimagrisci mezzo chilo e i vestiti ti stanno un filo più larghi. Mezzo chilo, non 3 chili. Insomma qualche centimetro a destra e qualche a sinistra, procede molto molto lentamente. 
Dopo solo 40 minuti ci danno il via a passare. La nave è ancora lì nel canale davanti a noi, un puntino. Ma è un puntino che aumenta di dimensione ogni secondo che passa. Va indietro? No, ovviamente siamo noi che procediamo. Ora, una barca a vela non ha un freno a mano, ma soprattutto in un canale stretto e con un bel venticello allegro, ha bisogno di una certa propulsione per mantenere il governo. Oltre al fatto che un motore ai minimi giri per 3 lunghe, lunghissime miglia, non ti fa stare tranquillissimo. A quanto andrà quella maledetta carretta? Non posso saperlo ma sembra ferma e diventa parecchio più vicina ogni secondo (appurato che non aumenta di dimensioni). 
A bordo, il carattere dei singoli esce fuori: il comandante procede a 4 nodi sulla base della filosofia "poi si vedrà", io suggerisco di mantenere una velocità che permetta di assistere ad una crescita della nave più naturale e meno "time lapse", meno effetto kojanisqaatsi per intenderci. 
Come al solito, il compromesso vince: poco sotto i 3 nodi procediamo chiedendo al nostro motore di essere comprensivo e clemente. La maledetta continua a crescere ma più lentamente. Non voglio pensare a cosa succede se il suo incedere di precisione sbaglia di qualche centimetro, fare manovra è impossibile, tenere il governo in retro mi sembra peggio. 
Dietro di noi, la motonave turistica si tiene parecchio distante. Furba lei, con due motori...
Ma alla fine va tutto bene, la nave non si incastra, la distanza resta giusta e il canale di Corinto più lungo della mia vita finisce. Dall'altra parte 36 barche in attesa di passare... 36, mai viste più di 5 o 6 in questa stagione.

venerdì 7 ottobre 2016

Eccomi, sono lì sotto.


Ogni stagione ha i suoi luoghi, ogni perturbazione i suoi rifugi. 
Un giorno, qui, ci passerò un intero inverno. Il borghetto di Galaxidi ti accoglie con quelle cose che per chi vive a terra son magari nulla, per chi sta per mare sono casa. 
Un moletto dove l'ormeggio non si paga, una colonnina di acqua e corrente offerta gratuitamente dal comune, il bar davanti alla barca con un Wi-Fi e Andreas. Andreas è l'uomo del diesel, non serve chiamarlo perché a una certa ora lui arriva con la sua piccola autobotte. Ci riconosce, ci saluta con affetto, capisce che siamo sulla via del ritorno e dice "tornate il prossimo anno, sì?" Perché anche lui ha le sue certezze da rassicurare. 
Facciamo il pieno: 137 litri per 155 euro (1,13 euro al litro) e forse capisce che siamo arrivati col serbatoio a meno di metà per far rifornimento da lui. È felice, non sa l'inglese Andreas, uno dei rari casi in Grecia, ma ci si capisce lo stesso. Però, nel dubbio che non abbiamo compreso la sua gioia di vederci, fa un salto in pasticceria e torna con un chilo di dolci di cui ci fa omaggio. 
Poi mi chiedono perché questo è il Paese più bello del mondo. 
Per la gente, prima di tutto, e poi per i luoghi, specchio fedele della loro anima immutabile. E la pioggia, seppur copiosa, non ci bagna neanche un po'.

lunedì 3 ottobre 2016

Gente di mare.


Ogni tanto mi sento anche io "gente di mare", mi monto la testa perché sto su una cosa che naviga e me ne vado bighellonando per acqua salata per la maggior parte della mia vita. 
Mi sento gente di mare perché respiro salsedine, poi però se si guasta il dissalatore divento nevrotica come Sally se le si rompe l'arricciaboccoli. 
Mi sento gente di mare perché mi capita di prendere burrasche ma non sono obbligata a farlo e se lo so in anticipo posso evitarla.
Poi passeggio su un molo in un pomeriggio d'autunno e rimetto i piedi per terra. Perché vedo gente di mare, quella vera, quella che il mare non lo ha scelto, le è capitato e se lo tiene. 
Estate e inverno, giorno ma soprattutto notte. E delle burrasche che prende non ha tempo di scriverne. Gente che esce in mare per prendere pesce e qualche volta va bene, ma più spesso va male. 
E anche quando va male, mentre è lì a riparare la sua rete gialla e a sperare che stanotte sia la notte buona, vede una barca a vela entrare in porto con bighellonatori che si sentono gente di mare, molla il suo lavoro e viene a prenderti le cime. 
Che il cielo ti protegga, pescatore. 
E gli dei dell'Olimpo siano con te, anche stanotte.

sabato 1 ottobre 2016

Le solite incertezze.

Dove si passa, quest'anno, di grazia?
Al solito, balliamo tra una rotta e l'altra. Decidere se sia meglio fare capo Maleas e lo ionio a salire o costeggiare il Peloponneso orientale e passare Corinto, è l'attività principale di questa fase del viaggio. 
Neanche le distanze aiutano: da Milos a Itaca, una via e l'altra si differenziano per poche miglia. 
Le previsioni meteo che quest'anno si sono evidentemente dedicate all'astrologia, si divertono a prenderci in giro, facendoci capire che, forse, saranno rispettate nelle 24 ore, oltre questo limite conviene chiamare casa e sentire se alla mamma fanno male le ginocchia. Il nuovo posizionamento dei siti meteo sembra concentrarsi su un unica promessa: vivi alla giornata, del domani non v'è certezza.
E così facciamo. Per oggi, per ora, va di lusso: 10 nodi di vento, bolina larga, prua su Monemvassia.

mercoledì 28 settembre 2016

a Poliegos, a litigare col Meltemi.

Vento bastardo, io con te non ci parlo più.
Quest'anno volevo un settembre settembre. Con te che fai le valigie e vai a dormire, che con un ultimo assolo esaltato fai l'uscita di scena trionfale dicendomi "ti ripiglio, tanto ti ripiglio" e dandomi appuntamento al prossimo anno.
Quest'anno, dopo una rotta difficile, volevo un settembre di calma. Oddio, lo voglio sempre un settembre di calma ma quest'anno lo volevo di più. E sai che c'è? Me lo meritavo! 
Ma tu la meritocrazia non sai che è, te ne freghi tu del curriculum vitae et stagionis. Volevo quel mare a specchio e quella terra che si trattiene il calore addosso, quell'aria immobile e quelle giornate miti con il cielo ritagliato nel cartone e quelle nuvole basse a ricordarti che comunque è settembre, non luglio, ma a ricordartelo in modo materno, gentile. 
Volevo l'acqua calda del mare di settembre che ha accumulato il sole nei mesi estivi e lo rilascia lentamente con la delicatezza di una musica lieve. Volevo l'aria frizzantina, sì, quella che ti fa dire "certo si sente che è settembre", non l'aria artica che chissà dove hai preso e mi stai portando a casa. 
Volevo lasciare l'Egeo con rimpianto, come sempre, non tentare vanamente di fuggirne via. 
E ora siamo così, io qui, tu dall'altra parte del monte, senza guardarci in faccia, senza parlarci. E aspettiamo. O meglio, io aspetto, tu non lo so che fai.
Stiamo litigati, Meltemi.
L'anno prossimo mica lo so se ti saluto quando arrivo. Anzi facciamo una cosa, non salutarmi neanche tu. E comunque, se proprio devi dirmi qualcosa, dimmela alle spalle.

sabato 24 settembre 2016

Orizzonti a Paros.

"Lo vedi l'orizzonte?" Ha detto una volta un amico mio.
E mentre lo diceva ha indicato con la mano l'azzurro del mare che si stagliava lontano mischiandosi col cielo.
"Lo vedo, e allora?"
"E allora, a guardarlo da qua, pare che là in fondo ci sta la fine di ogni cosa. Però poi, quando ci arrivi, ti accorgi che non era la fine ma solo l'inizio di un altro orizzonte."
"E vabbuò" ho detto io "ma questo è un fatto che lo sanno tutti".
"Sissignore, 'o ssanno tutti, ma poi nisciuno s' 'o ricorda".


(Andrej Longo)

giovedì 22 settembre 2016

Shelter, rifugio.

Ormos Panormos, Naxos.
Quando il meteo ti avvisa in anticipo di una botta di vento significativa, ti metti lì, carta e memoria alla mano a sceglierti un rifugio. Un luogo dove far passare la sfuriata, che tanto poi sarà meno cattiva e ti muoverai comunque, ma quando lo scegli ti immagini lì per diverse giornate, perché enfatizzi le previsioni, di solito già enfatizzate di loro. 
E allora ci sono rifugi e rifugi. 
I rifugi classici, quelli frequentati, citati dal portolano, chissà perché visti come una garanzia, quelli a portata di civiltà, con paesino-taverna-bar-minimarket a portata di tender si sa mai nel frattempo scoppiasse la guerra. 
Poi ci sono i porti che per me sono l'antitesi del rifugio, luoghi dove fare sosta quando il tempo è stabile e il vento in collusione col cielo non promette sorprese. Perché è vero che puoi ormeggiare in anticipo, dar fondo bene con l'ancora, controllarla, aggiungerne una seconda più corta se serve, controllarne la tenuta e garantirti una buona presa anche col vento al traverso di 30 nodi e passa. Ma è altrettanto vero che non hai la patria potestà su quello che deciderà di ormeggiarsi accanto a te quando le condizioni son diventate cattive, che sopravvaluterà la sua capacità di manovra e sottovaluterà la forza del vento al traverso.
Altro che rifugi, quando il meteo è cattivo, il porto può diventare una trappola e chi vive per mare sa che non è il mare il nemico ma la terra.
E poi ci sono i miei rifugi, quelli dove è più probabile non vada nessuno. Il portolano di solito non li cita o li descrive come "buon riparo dal vento dominante ma ambiente desolato e nessun servizio a terra."
Ed eccomi qui. Noi, qualche pescatore, 3 papere, una chiesetta e un bar stagionale ormai stanco.
E se scoppia la guerra, pazienza. Forse qui non me ne accorgo neppure.

mercoledì 21 settembre 2016

I giorni buoni.

Quando la stagione volge al termine, l'Egeo ti regala qualche giorno buono. Pochi, contati, sparpagliati tra un canto del cigno del meltemi e una perturbazione autunnale. 
Vento a favore o non vento, sono i giorni in cui navighi e fai miglia su miglia. Se poi la tua rotta non è solo ovest ma anche guadagnare gradi verso nord, allora sei quasi felice di sperperare un po' del tuo gasolio senza avere vento contrario. 
Si, qui si naviga anche a motore. E persino senza provare vergogna alcuna. Ho sentito naviganti ripromettersi di non fare rifornimento per l'intera stagione, o vantarsi di un motore superfluo a bordo della loro barca. 
Il mio invece è ausiliario, quando serve si accende. E aiuta. Gli voglio bene come a un fratello, mi ha salvato più volte. 
D'altra parte, nei giorni in cui sono generosa con me stessa, non penso mai a me come a una velista ma come a una marinaia. 
I giorni buoni come quello di oggi, ti regalano una navigazione diversa, rilassata e piacevole, mentre il dissalatore lavora e tu usi un po' di quell'acqua prodotta per lavare la barca. Una speciale limpidezza, tipicamente settembrina ci ha regalato tante isole da traguardare oggi. Da Astipalea, da cui siamo partiti, ho potuto distinguere Anafi, Santorini, Ios, Amorgos, Iraklia, Skinousa,Naxos, Levitha, Kinaros, Donoussa, Keros e Antikeros, kato e pano Koufonissi, scivolando accanto ad alcune di loro e per ognuna di loro ricordando qualcosa dei precedenti passaggi. 
Oggi ho consumato tanto Egeo e ho rimpianto, come sempre, ogni miglio lasciato alle spalle. 
Ma dopo ogni giorno buono, c'è un treno di giorni cattivi, quelli in cui il vento ti ferma ed è tuo complice nel rallentare di nuovo. 
Alla fine, ti dice sempre bene, basta volerla vedere così.

lunedì 19 settembre 2016

Il viaggio dei ritorni.

La novità di quest'anno è quella di toccare più volte le stesse isole. Vederle così, a distanza di tempo, iniziare a rilassarsi nel ritmo sonnolento del calo di stagione. E, allo stesso tempo, percepire nella stessa location la differenza dell'atmosfera. 
A distanza di un mese, Astipalea è più ferma, più autentica, più silenziosa. 
Chi arriva in porto si ferma, il rumore dei verricelli che calano l'ancora è molto più sporadico di prima. Niente più barche charter, in rada nessuno. Sulle barche nessun gruppo, solo coppie o solitari. Gentilezze e cordialità tra compagni di banchina.
L'isola nel frattempo si prepara all'inverno, di domenica i negozi restano chiusi dopo 3 mesi di lavoro 7 giorni su 7. 
Le vecchie tornano fuori dalle case a filare la lana, i bambini non si vedono, forse sono già a scuola. E a me torna la voglia di un viaggio diverso, nella Grecia d'inverno delle piccole isole. Un viaggio via mare ma da fare in traghetto, con gli acrobatici ormeggi di quegli eroi di cui non si parla che sono i comandanti greci. Un viaggio alla ricerca della vera anima di questo arcipelago che forse è meno sorridente di quello a cui sono abituata ma, ne sono certa, altrettanto accogliente. 
Un qualcosa su cui mi verrà voglia di scriverci su.

sabato 17 settembre 2016

L'ospite tanto atteso.

A lei non piace farsi fotografare, proprio come non piace a me.
Ha un sorriso grande come l'orizzonte e gli occhi belli, liquidi, pieni di sincerità. È mia nipote, Lisa, 23 anni, una laurea in architettura e una specializzazione da fare. Ha visto più mondo di quanto io ne vedrò mai ed è venuta con noi per una decina di giorni, con il suo zaino in spalla e quell'aspetto da bambina che ti fa credere impossibile possa muoversi così, da sola, senza essere affidata alla tutela di qualcuno.
Ho visto il mio mare coi suoi occhi e gli ho detto grazie di essere così magnifico. Ho visto i miei luoghi del cuore ritrovando attraverso lei lo stupore che avevo 6 anni fa e che oggi non ho più.
Alla bellezza si fa l'abitudine, è una gran triste verità. Ho toccato con mano la gioia, la meraviglia, l'incontro con la natura attraverso Lisa e il suo vivere la Grecia. L'ho vista parlare con la gente con la mia stessa semplicità, l'ho sentita ancora una volta, una di più, la mia stella.
Grazie, Lisa, fagottino del mio cuore.

venerdì 9 settembre 2016

Prua a ovest. (L'est era finito.)

Mentre mi rendo conto che in qualche maniera è iniziato il ritorno, dentro di me fa capolino la sensazione che, quest'anno, potrei continuare all'infinito a considerare ogni isola il giro di boa. 
Con la voglia di acciuffare l'estate per la coda sono arrivata a Kastelorizo, ultimo piccolo scampolo di terra greca in atmosfera mediorientale. E che estate: brezze termiche, cielo terso e un sole accecante che qui è dipinto per almeno 250 giorni l'anno, forse di più, sicuramente di più. Acqua del mare a 28 gradi, con le tartarughe che nuotano beate indifferenti alla nostra presenza. 
L'altra sera, nel silenzio settembrino della rada di Agios Georgios, nel pozzetto di una barca amica a vedere "Mediterraneo", avevo tanta di quella filosofia greca moderna sulla pelle da sentirmi a casa, senza più voglia di muovermi ma consapevole di quelle 1.200 miglia ancora da fare, che poi diventeranno 1.500, 2.000, chi lo sa, se non la smettiamo di fare zig zag.
A questa sensazione bella ma inquieta e confusa di un viaggio senza rotta, senza programmazione e senza soluzione di continuità, oppone una materna resistenza il creare appuntamenti. Con Paolo e Sonia a Kastelorizo, con Lisa che arriva a Rodi e si ferma dieci giorni con noi - o meglio, si muove con noi - con Alessandra e Domenico da incontrare da qualche parte in questo mese in cui la Grecia è per pochi. Socialità che restituisce normalità e in qualche modo regala quiete, uno scambio di brevi parole e sussurrate risate prima del lungo e solitario viaggio di ritorno. 
Avevo detto che era già cominciato il ritorno? L'ho detto tante volte e chissà quante altre ancora. 
Intanto si viaggia, si naviga, si vive.

domenica 28 agosto 2016

Astipalea, isolette di Koutsomiti e Thigani.


A volte vorrei essere come lui, questo piccolo oggetto volante telecomandato che sale su e guarda le cose dall'alto. 
Quasi non bastasse la mia asocialità e volessi andare oltre. Ma non è solo questo, è il cambio di orizzonte, è vedere più terra di quanto sei abituato a fare. 
Dopo 3 mesi a livello 0 sulla superficie del mare, salire in alto per un attimo è volare, capovolgere il mondo, respirare diverso. Ma è un attimo, poi vorrei tornare giù, perché il mare mi è necessario e la terra è più bella vista da qui. E i rumori tornano, e sanno di casa.

lunedì 22 agosto 2016

Lipsi, Xerokambos.

E poi, i posti del cuore. 
Dove sei sbarcata per caso a 18 anni e dove non manchi mai di passare in questa nuova vita. 
Lipsi è un giro di boa, l'inizio della seconda parte del viaggio. Sempre, ogni anno, ogni rotta trova il modo di passare da qui. 
Come un appuntamento con te stessa, un luogo dove, se fossi tipo da fare bilanci, faresti un bilancio. 
Ma non serve. Sono qui, dietro le spalle tante cose, davanti l'ignoto.
Ed è bello così.
Nel frattempo, dopo l'intervento di Panaiotis, il verricello dell'ancora ha ripreso a cantare intonato.
La vita in mare è segnata non dal tempo ma dalle cose che si ammalano e poi guariscono.
E ora, dove si va?

venerdì 19 agosto 2016

In abbondante compagnia.

Prima rada affollata di quest'anno. 
Prima o poi doveva capitare e in effetti è capitato abbastanza poi. 
Mi colpisce comunque il silenzio, data la densità.
O i miei ricordi di folla sono enfatizzati drammaticamente o chi va per mare è diventato più silenzioso. Ricordo questa rada, incastonata tra Leros e Arcangelos 5 anni fa, quando la taverna era solo in costruzione e qui in pieno agosto non c'era nessuno. Ora è una tappa fissa per chi naviga da queste parti, inclusi noi. In ogni caso, basta volare un po' e tutto torna solenne.

giovedì 18 agosto 2016

Consumi

La rotta impegnativa si vede dalle bandiere.
Quest'anno avevo fatto la scelta saggia di adottare le bandiere greche in nylon. Soluzione pensata da chi col meltemi ci convive, maniere dure contro un vento bastardo. Comprate a Galaxidi, questo è il loro stato dopo solo due mesi. E dire che fino alla botta da 55 nodi a Creta Sud avevano retto benissimo.
Si cambia, l'italiana sulla crocetta di sinistra l'avrei pure lasciata così, ma quella greca di cortesia no, quella dev'essere in forma. Ci tengono loro, ci tengo pure io.

mercoledì 17 agosto 2016

Tra Giali e Nisiros, una sera come tante.

Certe volte mi piace particolarmente guardare la mia vita da lassù, con l'aiuto del drone.
Ci vedo noi due, ci vedo me, la mia scelta. È l'immagine del bilancio della mia vita, è la mia vita.
La mia barca, da sola, tra un'isola e un'altra, nel tempo immobile di uno spazio infinito.
Vedo me stessa, la strada che ho fatto, la vita che ho lasciato dietro le spalle e quello a cui ho rinunciato. 

Vedo la sintesi estrema di una scelta, la sua semplicità. Il suo poco e il suo tanto. Il suo pieno e il suo vuoto.
Vedo quello che volevo, quello che ho, quello che ho perso e quello che non sarò mai.
E ogni giorno di più mi rallegro di averlo fatto.

martedì 16 agosto 2016

L'isola del ferragosto.

Si ha sempre un'isola nel cuore mentre si viaggia di isola in isola. 
Qualcosa che ti dia il contrario di ciò in cui hai ecceduto, ma anche un luogo che garantisca le tue esigenze persino quando la zona e il periodo dovrebbero ostacolarle. 
Quest'anno il dodecaneso mi spaventava più del solito. Due mesi e mezzo nel remoto più assoluto, con solo il mare intorno e pochi contatti con gli esseri umani, esclusivamente del luogo, mi facevano vivere con terrore l'approdo agostano in un arcipelago "civilizzato", paradiso del charter ormai da anni, quotidianamente saccheggiato da invasioni turche. 
Tilos speravo fosse la risposta e ne ho avuto conferma. 
Non capisco perché ma il mare ha sempre le sue zone franche, luoghi dove non va nessuno o dove chi passa lo fa solo velocemente, senza fermarsi, senza indugiare. 
Tilos è anche quest'anno, dimenticata dai più. I pochi che si fermano vanno alla rada del porto, scendono a terra per una cena in taverna e poi via, veloci verso Simi o verso Rodi e le sue isolette satellite. Tutta la costa occidentale è ignorata, fa perdere tempo, è esposta al mare e c'è rischio di risacca. Il mio rifugio ideale. Qui non è agosto, è ancora la mia stagione. 
Garantito il bisogno di silenzio e solitudine che è ormai una necessità congenita, Tilos ci viene incontro anche per contrasto. Venti leggeri anche quando il meltemi urla, ancoraggi sicuri e riposanti, facilità di scendere a terra e fare provviste. 
A Tilos il mio navigare fino a ieri impegnativo, emozionante e a tratti inquietante, diventa villeggiatura galleggiante. Un posto dove aspettare che l'Egeo "sferragosti" e pianificare, in modo rigorosamente approssimativo, la nuova stagione del viaggio. 


venerdì 12 agosto 2016

Ormos Tristomo, Karpathos, laddove il mare diventa lago.

Ce ne sono diversi, in Grecia, di posti così: angoli di mare circondati da terra, con uno stretto passaggio per l'acqua e per la tua barca. 
Sono rifugi ma possono anche essere trappole. Entrarci è inquietante quasi sempre (posso scommettere sul pensiero comune a ogni marinaio: "e se il motore si spegne....?"), uscirne a volte è impossibile. 
Se fuori c'è burrasca, dentro sai che non arriverà, ma sai anche che per uscire dovrai chiederle il permesso. 
Senso di protezione e claustrofobia mischiati insieme. Sicurezza soddisfatta e libertà frustrata. Ventre materno e perdita di orizzonte.
Ormos Tristomo, per il portolano è "closed in summer season", Captain Elias deve aver ritenuto il termine "sconsigliato" poco efficace. 
Due scogli ingombrano l'apertura del profondo golfo, lasciando tre angusti passaggi, di cui solo uno praticabile serenamente per pescaggio. Certo con mare formato, meglio considerarlo chiuso e anche con vento e onda media fa un po' impressione ma non più di tanti ingressi portuali. 
In fondo al golfo, un mulino e un insediamento di una decina di edifici di cui la metà in rovina e l'altra metà perfettamente ristrutturati di fresco. Ad abitarlo solo 3 gatti, qualche capra e rigogliosi alberi di fico. Nessun essere umano. Sulle rive i tanti rifiuti portati dal mare che entrano dal canale stretto e più non possono uscire. 
Oltre a legni, scarpe, taniche rotte, pezzi di rete e grippiali raccontano infinite storie di mare che ognuno legge a modo suo.

venerdì 5 agosto 2016

Un'altra barca!

Karpathos, Pigadhia.
È veramente strano dopo più di un mese, sentire quel rumore conosciuto di catena che scivola giù dal verricello. 
Salti fuori di corsa quasi pensando che sia la tua ancora che voglia prendere le distanze da te e..... "Oh, una barca"
Dopo un mese di solitudine, vuoi quasi bene al tuo vicino di rada, soprattutto se si ancora alla giusta distanza.

giovedì 4 agosto 2016

I segnali che non colsi.

Pivelli. 
Dopo 6 anni di Egeo e 3 passaggi nell'inferno del mare tra Creta e Rodi, ci siamo comportati da sciocchi. L'esperienza un po' aiuta, fa aumentare i timori, fa capire i fenomeni. 
Ma a volte l'esperienza, unita a una overdose di vento prolungata ti annebbia i sensi. E ti fa credere che quelle 12 ore di tregua in cui il vento cala a 10 nodi e ti riporta l'estate addosso siano il suo capitolare di fronte alla tua tenacia. Pensi, ok, ora finalmente tocca a me, è la mia mano. E confidi che democraticamente il tuo avversario ti lascerà uno spazio per muoverti simile a quello che si è preso lui. O anche 10 volte più breve, ma non solo quelle subdole 12 ore. 
Avremmo dovuto capire che quelle 12 ore erano un forte e chiaro segnale. Vattene via, fai più miglia possibile, allontanati da questo inferno. E invece noi siamo rimasti a godercela, come cicale ubriache che contano un po' troppo sulla propria fortuna. 
Alle 19 di ieri sera, tutto è cambiato. Non solo il vento, ma le raffiche violente da ogni direzione che già avevamo sperimentato.
Per inciso, tali raffiche che chiamavo catabatiche, ho scoperto che il buon Captain Elias, autore del miglior portolano della Grecia, definisce specificatamente a Kasos sud come whirlwinds, venti turbinanti, con tanto di disegnino grafico a tromba d'aria che chissà perché non avevo visto prima. 
La notte passa insonne ma tranquilla, l'abbiamo già vissuta la notte prima, nulla di diverso.
Stamattina cambia tutto. I turbinanti provenienti da tutte le direzioni si riuniscono in conclave e decidono di usare come portavoce quelli che vengono dalle direzioni per noi peggiori. Questi hanno un sacco di cose da dire e urlano per 15 secondi con una pausa di 5 in mezzo. L'ancora sarà ormai al centro della terra tanto è affondata, ma la scogliera è a 100metri. La barca si sdraia sull'acqua ora a dritta ora a sinistra. 
"E se spedasse?", ci chiediamo l'un altro senza chiedercelo. Non posso misurare le raffiche che mi arrivano addosso, ma l'acqua che mi colpisce fa male, brucia. Non riesco a tenere aperti gli occhi e se non mi aggrappo con tutte le mie forze volo via. Riusciamo a salvare il bimini con i pannelli solari prima che una raffica lo sradichi del tutto. 
È pericoloso salpare, per tirare su 50 metri di catena ci vogliono almeno 2 minuti e mezzo al netto delle pause per raffica, cioè ho 5 secondi buoni ogni 20.
Ma è assai più pericoloso restare...
Ti senti in trappola e allora capisci, torni in te. Devi agire, si salpa.
Quello che mi preoccupa chiaramente sono gli ultimi 20 metri di catena, oltre a tirarla sul musone. 
Qui torna in gioco quello che ieri aveva mandato il segnale, che regala una buona dose di fortuna e aiuta a compiere senza danni l'impresa, tenendomi per di più a bordo. 
Via verso Karpathos. Dio, che bello il mare aperto, con i suoi onesti 40 nodi che a questo punto sembrano 10, con la sua onda lunga, il soffiare del vento steso. 
Via verso un'altro ancoraggio, quello dove siamo ora, con lo stesso vento ma senza catabatici e turbinanti. Sogno un'isola senza vento, a un certo punto ci arriverò.
Anche se oggi non so se me lo merito.

Guarda il filmato del giorno del giorno del giudizio a kasos. Roba che spero di non farti vedere mai più.

mercoledì 3 agosto 2016

costa sud di Kasos

Continua il canto del vento. Qui però è un vento inventato, di base non ce ne sarebbe, non ce n'è, torna domani quello vero. Qui il vento è un dialogo tra la montagna e il mare, tra la terra calda e il mare più freddo. La barca, facendo perno sulla sua ancora sepolta sotto un metro di sabbia, compie escursioni in tutte le direzioni, talvolta resta persino ferma mentre due violente raffiche contrarie la investono contemporaneamente. Di notte ha compiuto un ballo nervoso, accompagnato dal fischio petulante del vento, anzi no, della montagna che si finge vento, e dai suoi più prosaici rumori di ferro e cordame quando l'ancora andava in tensione. Andando a prua per regolare quel tanto da eliminare i suoi lamenti, sentivo l'acqua polverizzata sulla pelle e la netta sensazione che in testa d'albero fosse invece una notte tranquilla. 
Ci sono posti in cui è protagonista la superficie del mare che, come un libro scritto bene toglie attenzione a tutto il resto.

sabato 30 luglio 2016

La tregua

A Koufonisi, isoletta che segna la punta sud est di Creta, ci viene regalata una intera giornata di brezza leggera tra 10 e 20 nodi. Si potrebbe mettere il tendalino ma resisto, non voglio abituarmi a certe comodità che il vento dell'ultimo mese ha decisamente proibito. 
Koufonisi è ancor più bella di 5 anni fa, la roccia bianca contrasta con l'acqua turchese, lo scenario è africano sulla grande doppia baia a sud ovest e ha invece suggestioni da grandi deserti americani, in quella a sud est. È il nostro commiato con il mar libico e già mi manca. 
Già la navigazione mi sembra stata meno difficile, già ho dimenticato quel rumore del vento, quell'urlo del mare arrabbiato, quegli schiaffi dei frangenti. 
Le emozioni restano, le paure si dimenticano. 
Non credo capiti solo a me, ma forse capita solo in mare. Pochi giorni, un calo di vento e dimentichi. Forse è per questo che il vento oggi ha ripreso a cantare a squarciagola, togliendo ogni illusione su una costa orientale più benigna. 
Tornerò lo stesso. Anzi, la prossima volta faccio un doppio giro. Ho ritrovato un'altra Grecia dentro la Grecia ed è bello sapere che non ho abbastanza tempo da vivere per vederla contaminata dall'uomo.

mercoledì 27 luglio 2016

Tutta colpa di una farfalla.

Ogni volta che penso di aver capito qualcosa della meteo di Creta sud, la realtà contraddice le mie deduzioni. 
Le previsioni non le guardiamo nemmeno più, è inutile, al momento ci servono solo a capire lo status quo nel mare aperto, più precisamente nel canale tra Creta e Karpathos per individuare il giorno giusto per traversarlo. Ma qui, su questa costa sud di Creta, i siti meteo non ci prendono proprio. Non è una critica, temo sia impossibile far rientrare nei modelli matematici questo intricato coacervo di microfenomeni locali. 
Forza 1 indicavano per oggi sul tratto di costa tra capo Kefalos e Tsoutsouros, forza 9 quello rilevato dal vero stamattina. Sulla nostra testa d'albero. ( il segnavento che ormai ho sulla pelle mi dice che 18 metri più in basso erano parecchi di più dei 53 nodi che segnava l'anemometro). Facevo affidamento sulle nuvole, però, credevo che il vento catabatico fosse necessariamente annunciato da nuvole a cappello sui monti di Creta. Oggi invece neanche una nuvola. Credevo anche che un vento della stessa intensità e della stessa direzione avesse su un medesimo luogo sempre lo stesso effetto. E invece no. Oggi bonaccia, domani buriana. 
Stamattina abbiamo fatto 20 miglia così, con le vele ben chiuse e serrate, esterrefatti dalla violenza del vento e del mare che ci frangeva addosso. Una foto non rende l'idea, un video un po' di più, ma è sempre poca cosa rispetto alle tue sensazioni. 
Ora basta, ci rinuncio a capire come funziona qui., non c'è statistica che tenga, forse solo l'esperienza dei pescatori che vivono qui da sempre.
Edward Norton Lorenz, matematico e meteorologo, diceva che è sufficiente un battito d'ali di una farfalla per provocare un uragano dall'altra parte del mondo. 
E allora chetati, farfallina, sii gentile.

Guarda il filmato vento catabatico a Creta Sud

martedì 26 luglio 2016

C'è molta buona energia.

Juliano è albanese ma da 12 anni vive qui a Creta. 
D'inverno studia economia a Rethimno, d'estate vive e lavora qui a Lentas, Creta, nella taverna che abbiamo scelto per cena. "Non ci sono molte barche qui vero?", gli chiedo. 
Lui, guardando estasiato la nostra, dice "no, ne passano due o tre... L'anno". 
Siamo nel mondo magico della semplicità, dell'accoglienza, del calore. A Juliano piace Creta perché "c'è molta buona energia". È vero, ha ragione. C'è l'energia di un luogo autonomo e indipendente dal mondo. C'è un'orizzonte infinto, sconfinato che ti fa immaginare terre lontane sentendoti però fortemente radicato sulla Storia. 
Siamo tornati a sud di Creta, ritorneremo. Non ne avrò mai abbastanza di questo angolo di mediterraneo. Perché qui c'è l'origine di tutto il mondo.

domenica 24 luglio 2016

Creta sud: da 0 a 50.

Rispetto a 5 anni fa, stavolta capisco meglio cosa significhi navigare a sud di Creta, in questo mare che grandi navigatori hanno definito come il più difficile al mondo per la vela. 
Da un miglio all'altro passi da 0 a 50 nodi, e quei 50 ti cadono in testa, dall'alto, ti schiacciano. 
Lasciare Gavdos con rotta nord era un'impresa. Mentre eri in calma piatta vedevi il mare lontano colorarsi di una decina di tasselli bianchi, poi un centinaio, poi migliaia. Frangenti, ma li definirei cavalloni, onde corte e ripide fino a 3 metri ci correvano incontro con violenza inaudita dalla direzione in cui volevamo andare. O meglio, dovevamo andare, visto che nelle altre direzioni c'erano il mar rosso, Israele, la Libia, la Sicilia. Abbiamo rimandato di giorno in giorno. Le previsioni meteo non c'erano d'aiuto, fenomeni locali non rilevati. Poi siamo partiti, in calma piatta con due mani di terzaroli alla randa, perché non hai il tempo di ridurre le vele, questa era l'unica cosa chiara. 
E ora siamo qui, su questa costa meravigliosa e selvaggia che fa pensare un po' all'Africa, un po' ai grandi parchi americani, giocando a rimpiattino con un vento che non conosce le mezze misure: ora urla come di rado, ora tace di un silenzio assoluto. 
E continuiamo a non incontrare nessuno.

giovedì 21 luglio 2016

Ai confini.

Gavdos, porto di Karave. L'ormeggio qui devi dividertelo col traghetto, nel senso che quando arriva lui, tu te ne devi andare. Ma è estremamente gentile, arriva alle 13,30 e alle 14,30 se ne va. Acqua e corrente a disposizione sul molo. L'autobus invece parte solo quando arriva il traghetto, quindi tu non lo prenderai mai. 
In porto c'è solo Litsa, perennemente seduta a un tavolino della sua taverna, sempre aperta per nessuno perché nessuno c'è. E allora ci vai, ti sembra giusto: da mangiare c'è quello che mangiano lei e suo marito. 
Una promettente insegna minimarket ti fa pensare che ci sia più vita, entri ma non c'è nessuno, Litsa si alza dal tavolino e viene a servirti. Il suo sorriso sornione, qualche parola in greco ti fanno capire che è contenta di vederti, bello avere compagnia. Sei troppo poco per essere considerata business. Qui non c'è marketing, c'è solo voglia di compagnia. 
L'autista dell'autobus è il figlio di Litsa. Arriva, sale, scende, riparte ma l'autobus resta lì. Fa una corsa al giorno.
Null'altro a Karave, l'altro bar è chiuso da tempo, chissà se riaprirà mai. Luoghi ai confini del mondo, il tempo si perde in attimi infiniti di silenzio.

domenica 17 luglio 2016

Gavdos, in the middle of nowhere.

I gravi fatti degli ultimi giorni arrivano qui a frammenti, attutiti da miglia e miglia di distanza fatta di acqua di mare capace di alleggerire ogni inquietudine. 
Dopo il golpe fallito in Turchia, puntuale arriva la telefonata del mio papà. "Ma voi siete al sicuro lì?".
Si è trattenuto, lo so, avrebbe voluto farmi la stessa domanda dopo la tragedia di Nizza, ma in questo caso può fingere un minimo di perdonabile confusione geografica. 
Mi guardo intorno prima di rispondergli. Chi può dirsi al sicuro, oggi? Per mare non sei mai al sicuro ma allo stesso tempo elimini dalla tua vita quei rischi più frequenti che fanno poca paura solo perché siamo loro statisticamente abituati. 
Mi rendo conto di essere ai confini su quest'isola che è lontana dall'Europa, lontana dall'Africa, a cui gli ultimi rilevamenti attribuivano una trentina di abitanti in questa stagione rafforzati forse da una dozzina di turisti, camminatori per lo più. Ai confini non del mondo o dei conflitti, ai confini della tua stessa anima. 
Ciò che vivresti con ansia e partecipazione, piena di stupide certezze sul bene e sul male derivate dalla difesa ottusa in discussioni continue e sostanzialmente inutili, ora lo leggi solo con tristezza e umana pietà, comprendendo che non vi sono ricette per il mondo se non quelle individuali del fermarsi e chiedersi cosa c'è di sbagliato e cosa si può cambiare. 
"Sì papà, non c'è posto al mondo più sicuro di questo"

giovedì 14 luglio 2016

Ak. Tripiti, il punto più meridionale d'Europa.

Più a sud di così non andremo. Siamo ai confini dell'Europa, ritrovo quest'isola dopo 5 anni uguale a come l'ho lasciata e riesco a vederla più bella ancora. Non è nemmeno Grecia, è terra di mezzo, un centinaio di miglia più a sud c'è la Libia e il relitto di un barcone spiaggiato mi ricorda il dramma di questo braccio di mare. 
Respiro, nei posti dove l'orizzonte aumenta, dove il silenzio regna. Mi accorgo che la bellezza è fatta di spazio vuoto, di assenza di rumori inutili, di trionfo dei colori. 
Bellezza è dove il mare parla. E qui, a Gavdos, parla.

martedì 12 luglio 2016

sosta a Paleochora. E siamo nel mar libico.

In tanti mi hanno chiesto "com'è navigare a vela a sud di Creta?"
Diciamo che è poco saggio perché si passa da 0 a 50 nodi di vento in un attimo. Che non è un problema perché quando hai calma piatta sei a motore e se ti arriva d'improvviso una raffica a 50 nodi non hai niente da ridurre in tempi che non sarebbero sufficienti a ridurre.
Il vero guaio è quando hai quel bel venticello a 15 nodi che ti farebbe venir voglia di aprire tutte le vele, perché prendere due mani di terzaroli con 15 nodi di vento a favore suona troppo strano. E lì, la raffica ti arriva ugualmente e ugualmente cattiva, e non sai da dove, devi chiederlo alla montagna che incombe su di te. 
Il benvenuto nel mar libico oggi ce lo hanno dato 4 aerei supersonici che hanno sfrecciato a pochi centimetri - ok, diciamo metri ma sembravano centimetri - dal nostro albero. Barche, neanche una, neanche stavolta.