giovedì 29 agosto 2013

Kalimnos e l'impatto turco.

Pothia,  città principale e porto di Kalimnos, all'alba.
Avrei dovuto aspettarmelo. 
Come avevo già detto, Astipalea è una falsa entrata nel Dodecaneso perché, nell'anima, è l'ultima delle Cicladi sbandata un po' a Est. Conosciamo bene questo arcipelago di 12 isole per averlo navigato più volte in questi 3 anni e per averlo scelto come terra di scoperte quando io ne avevo meno di 20. Eppure, ogni volta ci casco. E quest'anno, l'atterraggio a Kalimnos lo rende ancora più evidente. 
Tou Sari islet, Platì, Pserimos e sullo sfondo la costa Turca.
La Turchia. Qui, a un passo, a meno di un passo. Tanto vicina, troppo vicina, con il suo impatto abitativo sovradimensionato, con la sua terra violentata da tonnellate di cemento. Con la sua voce del muezzin che non riuscivo a sopportare, come nulla che porti un essere umano a inginocchiarsi per rivolgersi a un altro che non si sa nemmeno se lo ascolta. 
E il caldo della Turchia - non percepibile da qui sulla pelle, ma visibile come nebbiolina leggera - un caldo che neanche il meltemi riesce a celare alla vista. Giro le spalle, guardo Kalimnos, comunque greca. Cerco colori, odori, sapori che mi ricordino che sono a casa mia e non in terra straniera. 
Le case di Pothia
Devo rieducare, così, lo sguardo a una Grecia diversa, quella dove il bianco a calce lascia spazio ai colori, alle architetture più squadrate, alle estensioni urbane più importanti. Kalimnos ha qualcosa di medio-orientale. Case a perdita d'occhio salgono sulle pendici di una roccia brulla. Nel porto, la sonnolenta atmosfera cui ero abituata è sostituita dalla vivacità rumorosa di una città che lavora. 
Ritroviamo il via-vai dei caicchi, orrida apoteosi del charter nautico in versione dantesca. Assisteremo a questo spettacolo di devastazione quotidiana a Platì, sottile lingua di terra tra Kalimnos e Pserimos. 
"carrozzone dei dannati" a Platì
Il connubio barca sovraffollata + musica ad alto volume è quanto di più perverso il genere umano possa aver prodotto. Non riesco a comprendere come una persona, sana di mente, possa spendere i propri risparmi e i pochi giorni di vacanza per salire su una carretta del mare di lusso, trasformarsi in palla rumorosa che rotola sulle onde, portare strazio assordante dove regna il silenzio. Per finire poi col mettersi in fila insieme ad altri per fare un tuffo, accettando che qualcuno con un fischietto, un megafono o una sirena ti dica che devi tornare a bordo, si riparte. Come un tacchino ripieno da tirar fuori dal forno.
Anafi e Astipalea sono dietro le spalle e io ho voglia di tornare indietro, di più, bisogno impellente di tornare indietro. Ma Kalimnos è Grecia, mi ripeto come un mantra. Basta solo saperla trovare.
City hall di Pothia 
Vivo, per qualche ora, una lotta tra buono e cattivo, tra solare e cupo, tra cicala e formica, tra generosità e frustrazione. Solo alla fine del nostro scalo, nell'ufficio dell'Autorità Portuale, riesco a celebrare la nemesi di questa battaglia. 
Il buono e il cattivo, il solare e il cupo, il generoso e il frustrato: due addetti del Limeniko Soma. Il primo ha la faccia buona, bel ragazzo, si vede che è stato molto amato da piccolo. Ama il suo Paese e il suo lavoro e cerca con il buon senso di interpretare l'assurdo e trasformarlo in possibile. 
Il secondo ha una brutta faccia, poco greca, molto turca. Si vede che da piccolo gli hanno fatto del male. Non so cosa provi per il suo Paese ma sicuramente odia il suo lavoro. 
Il buono è seduto due passi indietro, sta aggiornando un elenco, mentre è il cattivo a occuparsi della nostra pratica di uscita dall'isola.
Il porto di Kalimnos
"Dovete andare all'ufficio delle tasse a pagare 88 centesimi di euro per il Sailing permission" ci dice. 
"E che è?" chiedo io che, con un Dekpa che se fosse un curriculum vitae sarebbe considerato "strongly skilled", non ho mai sentito nominare prima questa tassa. Il cattivo non sa spiegare cosa sia ma dice che in Grecia è necessario. Bisogna quindi andare in un ufficio - che non sa dire dove sia ma solo che è molto lontano - a pagare questi 88 centesimi di euro. Il buono, pacatamente, interviene, suggerendo qualcosa al collega. Probabilmente che sta facendo riferimento a una normativa in vigore nel dopoguerra e non più applicata. 
Ma il cattivo scuote la testa e dice che non si può fare. Non possiamo partire finché non torniamo indietro con la ricevuta di questa tassa pagata che, ovviamente, non possiamo pagare altrove se non in questo fantomatico ufficio delle tasse di cui si sa solo che è "quite far away from here"
Costa occidentale e l'isola di Telendos
Il buono insiste, si vede che offre argomentazioni al collega. Con educazione ma si spazientisce anche un po'. Non si capisce se sia un suo sottoposto o se la gerarchia li metta alla pari. Quel che è certo è che non comanda il buono, altrimenti il cattivo sarebbe stato spedito in un'isola senza porto.
Il cattivo si prende il tempo per pensare, come in una studiata strategia dal titolo "se-posso-ti-creo-un-problema". Giovanni, da sempre più propenso di me ad evitare le discussioni con gli stupidi, suggerisce di lasciar perdere e uscire a cercare questo benedetto ufficio. Io invece, come sempre, mi intestardisco, nella mia illusa convinzione che la dialettica porti lo stupido a ragionare. 
Pserimos, vista da Platì
"Ok. Otherwise?" chiedo al cattivo, non senza avergli fatto capire con velate allusioni cosa penso del suo modo di fare. 
Il buono e io istintivamente giochiamo di spalla, a turno, ognuno in una lingua diversa. Lo incalziamo e lo invitiamo a ragionare. A intervalli di 2 o 3 interventi e scrollate di spalle del cattivo, ripeto "Otherwise?". È qui che il cattivo mette il piede in fallo, confessando che l'alternativa è tornare dopo le 3 e mezzo quando, chiuso l'ufficio delle tasse, sarà sufficiente firmare una sorta di promessa "Pagherò in futuro" e intanto partire perfettamente in regola. Una cambiale da 88 centesimi, insomma.
Arazzo sulla pesca di spugne al Museo Navale
Guardo l'orologio, sono le 10 di mattina ed esulto. "Ok, che problema c'è. Sono le 3 e 35, proprio ora." Il buono sorride e ribadisce che anche il suo orologio è sintonizzato con il nostro. Il cattivo si ripiega su se stesso, fa un piccolo ghigno e dice va bene. Prende il benedetto timbro e fa il suo dovere. Alla fine non chiede nessuna dichiarazione firmata, non ci fa pagare nulla per l'ormeggio in porto, ma sicuramente ha risolto un conflitto dentro di sé. Il buono scuote la testa, estenuato e ci saluta con uno sguardo che dice milioni di cose, tutte familiari.
Ha vinto il buono, ha vinto Kalimnos che torna Greca e la Turchia indietreggia di un po'.
Nel frattempo, in quelle 24 ore passate a Kalimnos City, avevo comunque fatto pace con l'isola. 
Cimitero di Kalimnos
Nel mio cuore la Grecia è colori, suoni, odori, sapori, voci. E rumori. Uno di questi è il rumore del vetro delle edicole tombali del cimitero. Il vento lo fa tremare e il vetro canta. E ogni volta che canta un vetro, vado a leggere una lapide, a guardare un volto, a immaginare una vita. 
La Grecia torna Grecia sempre quando ti allontani dall'abitato e vai sulle strade.
Abbiamo ripercorso le strade del nostro primo viaggio in moto. Allora era una Vespa bianca, ora un Piaggio Thyphoon rosso. Anche Kalimnos non è cambiata molto rispetto ai miei ricordi del 1985. Negli ultimi 3 anni, in barca, l'abbiamo sempre solo sfiorata, fermandoci in rada o solo passandole vicino con lunghi bordi di bolina a risalire questo mare. Per questo siamo qui, per colmare l'assenza.
Giriamo in moto e, nel piccolo dei villaggi, ritroviamo l'atmosfera. Vathi è simile ad altre Vathi, mix di barche e bagnanti. 
Vathi, profondo fiordo sulla costa orientale
In punta di molo, un bellissimo swan di 15 metri "Il Solitude" da cui esce un signore anziano con una bambina molto piccola. Vanno a fare il bagno alla spiaggia insieme ai bambini greci. Una faccia una razza… anche se loro, quelli dello swan, sono inglesi. 
Kalimnos è anche montagne da arrampicare e verdi vallate. Sulla costa orientale, nel mare blu, si stagliano Pserimos, Platì, le isolette turche davanti a Turgutreis.  Ma sì, è bella Kalimnos. A sera, anche il porto mi sembra meno caotico, meno rumoroso e più melodico.
Museo archeologico di Kalimnos
Ma serve la mattina dopo però per arrivare a dire quel che dico sempre. Serve il museo archeologico, altro piccolo gioiello greco di semplice architettura, illuminazione funzionale e collezione di pregio. Serve il piccolo museo navale che ti fa capire la vera anima di questa isola, la sua caratteristica fondante, vale a dire un lavoro logorante e pericoloso come quello dei pescatori di spugne. 
Skandalopetra al Museo Navale
In questo mare, nell'antichità e per la raccolta delle spugne, nacque la tecnica di immersione in apnea con la "Skandalopetra", che nulla ha  a che vedere con la "pietra dello scandalo" ma che invece serve come zavorra per l'apneista in assetto variabile. È in granito o in marmo, del peso tra gli 8 e i 14 chili, con forma smussata e un foro per essere fissata con una corda da una parte al pescatore e dall'altra alla barca. 
Conoscendo i luoghi, si capiscono meglio le cose. E tutto ciò che al primo impatto ti appare fastidioso, acquisisce invece un suo meraviglioso motivo d'essere. Bella Kalimnos, voglio tornarci. Ecco, l'ho detto. Anche stavolta.

lunedì 26 agosto 2013

Astipalea. Torniamo da Madama Butterfly

P'acá y p'allá all'ancora tra le isolette satellite di Astipalea
Ecco. A ritornare, si rischia sempre di restare delusi. L'isola di Astipalea? No, certo che no. La trovo magnifica e solenne, come sempre, più che mai.
 Morbidamente sdraiata sull'acqua con quella forma a farfalla così particolare, con quell'istmo così sottile che mi porta sempre a raccogliere due sassi diversi e triangolari per rappresentarla. 
Astipalea, la Ciclade che per sbaglio è finita nel Dodecaneso. Si vede che è un errore. La sento argomentare in sottofondo con la voce sempre più stanca. "Mi ero solo allontanata un po', non volevo cambiare squadra!". Come un napoletano trasportato a Milano, Astipalea cerca di inserirsi nel dodecaneso ma la differenza è più forte della volontà. 
Il porto di Skala sormontato dalla Chora, all'alba.
Non è questa la delusione. È il bambino coi fichi. Quello che all'arrivo di ogni barca, correva in banchina col suo sacchetto da un chilo per 4 euro. Quello che tornava ogni 10 minuti a proporti l'acquisto anche - anzi soprattutto - se li avevi già comprati. E tu gliene compravi altri perché erano buonissimi e perché la sua faccia triste e sincera ti faceva venir voglia di fichi fino ad avere il mal di pancia. Il bambino dei fichi quest'anno non c'è. Semplicemente non è più stagione. Arriviamo 20 giorni più tardi rispetto allo scorso anno e la pianta ha esaurito i suoi frutti. In questa parte di mondo i fichi maturano prima, tutto qui. 
Pane e formaggio, merenda del pescatore.
Elias, invece, c'è sempre. L'uomo dell'acqua che ora, dopo che il porto si è dotato di colonnine, è diventato l'uomo dell'acqua e della corrente. Una bella promozione sul campo per Elias, che un tempo faceva il meccanico dei motori. 
La Grecia ha questo di bello: quando vuole ti contraddice. L'anno scorso, quando il molo era in parte ostruito da una massicciata di sassi, frutto di una libecciata invernale di qualche anno prima, Elias ci disse con tristezza che la situazione non sarebbe cambiata per chissà quanti anni a venire. Uno dei tanti pezzi feriti di Grecia che la crisi avrebbe cristallizzato per anni. 
Ouzeria alla Chora
E invece no. La massicciata è stata rimossa, il molo è stato ricostruito e dotato di colonnine per la corrente che erogano anche l'acqua. Niente più tubo unico da passare di barca in barca. Il lavoro di Elias è diventato più semplice e allo stesso tempo più produttivo. Arriva, attacca la corrente, apre la levetta del tubo dell'acqua e resta lì il tempo che devi fare rifornimento e lavare la barca. Senza metterti fretta. Il costo è rimasto lo stesso: 5 euro per l'acqua, 3 per la corrente. Elias è un filo più felice: l'essere contraddetti e il riconoscere il proprio pessimismo per un greco non è un'offesa. C'è da imparare.
Il Kastro e Agios Giorgios. 
Con sollievo, scopro che c'è sempre anche l'anziana signora seduta sugli scalini della Chora, quella che ci chiamò e ci raccontò in 10 parole greche, inglesi e italiane la storia della Grecia, vista da Astipalea. Stavolta siede su una sedia, è sola, il figlio malato non le è accanto e lei non sembra aver più molta voglia di parlare e di raccontare. Ma è lì. Probabilmente sta rivivendo il passato, probabilmente tutto ciò che di caro aveva è ormai passato. Mi sorride. Dubito mi riconosca ma ha capito che siamo italiani. 
Torniamo al Kastro e rivivo nel ricordo il suo racconto, sorrido io. (per saperne di più su Elias, il bambino dei fichi e la signora: Flashback Astipalea 2012) 
Il matrimonio di Marulla e Giorgos
Stavolta al Kastro c'è il matrimonio di Marulla e Giorgos, lei ha un abito in oro, lui argento. Non è per nulla pacchiano, sono metalli appena accennati, a loro modo trovo bello quello che in altri momenti mi sarebbe sembrato decisamente kitsch. La cerimonia ortodossa dura molto e sposi, testimoni e parenti sono in piedi. Mi colpisce il mix di sacralità e informalità. Il Pope ogni tanto interrompe la litania per fare una battuta. La madre dello sposo esce dal cerchio per acchiappare un nipote e tornare con quello in braccio. Tutt'intorno, ospiti e turisti assistono silenziosi,  seduti sulle rovine del Castello. Si mescolano tra loro, scambiano opinioni e cordialità. Cala la sera e le isolette satellite di Astipalea si colorano di rosa. La remota Sirna da lontano suggella il momento.
Paquita, la Chora e il Kastro
Nella nostra Astipalea di quest'anno variamo gli ancoraggi. Appena arrivati andiamo a Livadia, sentiamo il rumore che arriva dalla spiaggia e ci spostiamo qualche centinaia di metri più in là, nella silenziosa e deserta baia di Agios Basilios. Un punto di vista diverso per guardare la Chora. Scendiamo a terra col tender e risaliamo fino alla strada, aspettando il buio e il momento magico in cui si accendono le luci della Chora e, per ultimo, si illumina il castello. P'acá y p'allá riceve il riflesso di luce che le regala una scia dorata. Anche lei sembra una sposa.
Ci ricaviamo poi un ancoraggio giornaliero in un fazzoletto di mare tra le isolette di Tighani e Koutsomytis. Acqua turchese chiama ozio. Anche se fosse stata color smeraldo avrei detto lo stesso, il caleidoscopio di colori che in me chiama l'ozio ha ormai una gamma infinita. 
Bella questa Astipalea con poco vento, quei 20 nodi per risalire sulla costa sottovento ci sono sempre ma qui, in questo pezzetto di mare, tutto si stempera e ti illude su un'estate che durerà ancora mesi e mesi. 
P'acá y p'allá a Vathi
Approfittando della relativa calma del Meltemi e con l'obiettivo di guadagnare 10 gradi nella prossima rotta per Kalimnos, risaliamo la costa est di Astipalea regalando a Paquita un po' di quel mare di prua di cui farebbe volentieri a meno. Arriviamo a Vathi, profonda insenatura a Nord Ovest dell'ala di farfalla orientale. Vathi è un ancoraggio lacustre in un'acqua verde e torbida. Viziati da un'infinita gamma di trasparenze, non siamo qui certo per fare lunghe nuotate ma per respirare il silenzio di un mare dove il mare non arriva. Lo stretto canale ha una profondità di 5 metri e ti introduce in un'anticamera perfettamente insonorizzata. 
"Natura morta alla Chora"
Peccato da una parte, non avere la burrasca fuori per apprezzare il contrasto. Ma lo penso solo dopo essere entrata. L'enorme baia di Vathi, sarebbe una location perfetta per un grande marina attrezzato. Qui le barche potrebbero svernare senza alcun pericolo, potrà arrivare il vento ma le condizioni del mare non cambiano mai.
A terra, c'è Galini. Un Restaurant-cafe-snack bar-ouzieria-taverna di pesce. Visto il deserto, si sa mai, meglio coprire le esigenze di tutti. Andiamo a prendere una coca, un po' un dovere visto che almeno noi, qui, ci siamo. 
L'ultimo raggio di sole sulla flessuosa Astipalea
Galini sembra essere una casa di famiglia riadattata ad ospitare un ristorante e qualche camera in affitto. Si respira aria secolare. Intorno ai tavolini in veranda delle taniche ridipinte di azzurro sono state adibite a vasi da fiori.  Sulle pareti, sassi, conchiglie, gusci di riccio e di cicale, anche una minuscola tartaruga. Disegni di bambini, pesci stilizzati. All'interno una enorme parete di foto sbiadite racconta la storia della famiglia degli ultimi 50 anni. Ci sono due televisori, uno anni 50, l'altro primi anni 80. Il secondo è spento ma probabilmente funzionante; nel primo noto invece che è stato asportato il tubo catodico e al suo interno fa bella mostra un'anfora. 
La signora Maria sta pulendo la Xorta (la profumatissima cicoria greca). Impariamo che non si toglie solo il gambetto ma anche la punta di ogni foglia. "La virtù sta nel mezzo" ci dice in greco Maria. Almeno credo. Per chi cucina? Chissà, magari stasera si riempie. Nel dubbio, comunque, annunciamo il nostro arrivo per cena. 
Dal Kastro, vista sulle isole di  Kounoupi, Tighani etc.
Quando arriviamo, è quasi tutto buio, la signora ci accoglie come fosse una zia, ci fa cenno di prendere posto a uno dei due tavoli di servizio, invece che al piano ribassato. Indica il carrello con cui deambula e capiamo subito che è da sola e quei due scalini proprio non ce la fa. Decide lei cosa mangiamo (polpette, insalata di polpo e la famosa xorta) e, mentre si dirige in cucina, ci indica il frigo con le birre e l'armadio dove prendere i bicchieri. Quando è pronto, si avvicina alla finestra della cucina che dà sulla veranda e ci chiama. "Su belli, venitevi a prendere i piatti". Dopo 10 minuti esce e si siede accanto a noi a mangiare la stessa pietanza. Vathi è immersa nel silenzio. Noi e zia Maria ceniamo e guardiamo il buio della notte scambiando molti gesti gentili e poche parole greche. "Orea" (buono) e lei sorride. 
Il profondo fiordo chiuso di Vathi
È bella Maria, si vede bene l'avvenenza di quando aveva 20 anni. Gli occhi chiari, vispi, guardano curiosi. Arrivano due ragazzi greci, in macchina. Ed è la stessa storia. Si apparecchiano, prendono da bere, vanno a prendersi i piatti in finestra. Forse Maria, a loro, è zia davvero. Oppure no. Oppure semplicemente fanno tanti chilometri in macchina solo per venire a vedere gli occhi di Maria. La cucina? Buona ma nulla di particolare. Niente a che fare con gli occhi.
Ripartiamo da Vathi all'alba con rotta su Kalimnos. Una bolina che diventa traverso, poi lasco. Sempre sui 12-15 nodi. Questo è il mio navigare!
Graffito alla taverna Galini
Ci ha dato un po' da pensare la decisione su come proseguire il viaggio da Anafi in avanti. La rotta originale prevedeva di tornare a quel punto verso ovest. Anafi - Santorini - Ios - Folegandros - Milos etc. Insomma, Anafi come giro di boa. Ho combattuto e vinto (con grande facilità, devo dire). Non ero preparata a girare la boa, mi sembrava davvero troppo presto per chiudere il cerchio. Troppo presto per guardare di nuovo a Ovest. Troppo presto per pensare al ritorno. Prua a Est, quindi, ancora per un po'. Stabilito questo, c'era un'altra possibilità, una via più affascinante ma anche più lunga e impegnativa. Anafi- Kassos- Karpathos - Rodi e poi risalire il dodecaneso fino a Leros. 
Kassos…. l'isola appena sfiorata due anni fa, sotto raffiche catabatiche a 50 nodi, quell'assaggio di terra rossa e brulla, roccia dura. Anche quest'anno Kassos resterà un rimpianto.
Notturno alla Chora di Astipalea
Poco male, iniziamo a disegnare la rotta del prossimo anno facendo in modo che la linea passi obbligatoriamente da lì.  
E poi c'era la terza via, quella del compromesso, quella che abbiamo scelto. Prua ancora a Est ma rotta accorciata. Un deja vu breve di Dodecaneso per risalire quel tanto che basta a tornare alle Cicladi con rotta buona. 
Mi accorgo che abbiamo lasciato in Egeo una manciata di sconosciute: isole in cui non ci siamo fermati o a cui non siamo arrivati. Alcune noi le conosciamo ma solo da terra, Paquita no. Sono lì, sparpagliate in questo immenso piccolo mare ad aspettarci. Sarebbe bello da parte loro spostarsi e mettersi in fila, vicine una all'altra, in un percorso più  facile. Ma temo che Hydra, Spetses, Kea, Skiathos, Thassos, Samotracia, Lesbo, Kassos e Kastellorizo non siano affatto d'accordo.


venerdì 23 agosto 2013

E, all'improvviso, apparve Anafi.

Anafi. Il grande sperone roccioso di Kalamos
Leggenda vuole che gli Argonauti, partiti da Creta con rotta nord e finiti nel bel mezzo di una tempesta in una notte senza luna, allo stremo delle forze, chiesero aiuto al dio Apollo. "Ma guarda sta banda di sciamannati" pensò Apollo ma, al contempo, si mosse a compassione, pensò a quante peripezie affrontavano per recuperare quel Vello d'oro e decise di dar loro una mano. Per cui, levato lo scudo al cielo, scoccò una freccia incandescente a illuminare una rotta sicura. E dall'oscurità emerse l'isola di Anafi. Gli Argonauti si salvarono e, per ringraziare Apollo, eressero un tempio a lui dedicato sull'alta montagna di Kalamos.
La costa sud di Anafi
Ora, il monte Kalamos. Non è che stiamo parlando di una collinetta o una scogliera a picco. Kalamos è niente-popo'-di-meno che lo sperone roccioso più imponente del Mediterraneo. Secondo, forse, solo a Gibilterra. Forse. Le fonti infatti non concordano, questo non perché la faccenda non sia risolvibile con semplici calcoli volumetrici, quanto - immagino - perché non so se sia giusto considerare Gibilterra come facente parte del Mediterraneo. 
Mettiamo da parte Gibilterra e diamo quindi il record ad Anafi, perché se lo merita tutto.
Arriviamo a Anafi con rotta 180° dopo aver doppiato il capo Kalotari a Sud di Amorgòs. Non ci stupiscono le raffiche catabatiche che troviamo sottovento all'isola di Amorgòs e procediamo con decisa cautela, visto che abbiamo un'andatura a filo di poppa. È un'andatura a rischio di strambata, come si dice in gergo. In parole più semplici: avendo il vento perfettamente alle spalle si rischia che, per un lievissimo cambio di direzione o per il movimento creato dall'onda, il boma possa passare violentemente e velocemente sulle altre mura. Un pericolo che, oltre a farti soprassedere dal mettere la tua testa sulla direttrice del boma, ti fa temere anche per lo stress che questa manovra involontaria farebbe subire alla barca. Giovanni resta al timone e il pilota automatico riposa, quindi.
Dalla Chora. sullo sfondo gli isolotti di Ftenia e Pachia.
Conosciamo bene l'effetto catabatico del sottovento di quest'isola, dicevo, quel che ci stupisce è che esso termina all'altezza dell'isolotto di Anidro, ben 8 miglia a sud. Dopo questo scalo, la navigazione procede più tranquillamente e il vento si attesta sui 15-20 nodi. 
Anche a noi, Anafi appare all'improvviso. Me ne innamoro all'istante.
L'anti-Santorini per eccellenza dista solo 12 miglia dalla sua sorella mondana. Ed è il suo opposto. Intoccata e intoccabile, Anafi resiste. Resiste a tutto, al turismo, alla speculazione edilizia, al rumore, al progresso. Niente wi fi ai bar del porto, niente molo per le barche in transito ma solo l'alta banchina per il traghetto. 
al bar del porticciolo di Agios Nicholaos
La costa sud è protetta dal vento dominante ma una notte su due arriva la risacca. Se c'è troppo vento e se ce n'è troppo poco. Il mare le gira intorno e ogni tanto arriva.  È roba per pochi e pochi ne arrivano ad Anafi. In rada davanti al porto, risacca permettendo, si sta benissimo. L'isola più rocciosa che abbia mai visto, appena tocca l'acqua diventa sabbia d'oro e crea una striscia di mezzo miglio di fondale sui 10 metri. Abbondante sabbia per un ancoraggio perfetto. 
Probabilmente, anche questo è opera di Apollo. I fondali di sabbia avrebbero aiutato i naufraghi ad approcciare l'isola senza rischi.
Outline di Anafi, costa sud. Così apparve agli Argonauti (con l'aggiunta del mare in tempesta)
Lo so che ve l'ho detto ogni volta. Ad ogni isola che ho toccato, vi ho detto "Ecco, questo è il paradiso del mondo, quello vero, laico, fatto di terra, mare, mani operose e facce gentili". Non vi stupirete quindi se lo dico di nuovo. Anafi per noi ha un valore speciale: è l'ultima isola nuova di questo viaggio, siamo a più di mille miglia da casa, eppure sulla nostra rotta ormai non c'è più nulla o quasi da scoprire, siamo già stati quasi ovunque. Ma non è solo questo. Anafi ha un gusto speciale. Questo incontro di roccia dura, impenetrabile e di sabbia morbida e abbondante. Sa di origini della terra, sa di selvatico e di fertile, sa di mondo in divenire e allo stesso tempo immobile dalla notte dei tempi.
La Chora di Anafi
Ad Anafi, paradossalmente, il traghetto sembra meno necessario che in altre isole altrettanto remote. In 3 giorni che passiamo lì, arriva una volta sola, alle 11 di sera. Nessun trambusto a terra, non c'è autorità portuale sull'isola e gli ormeggiatori scendono dal traghetto stesso, fanno da soli. L'isola resta silente. Una decina di persone sale, meno della metà scende. Il grande traghetto dell'Anek Lines è diretto a Santorini, poi al Pireo. Questa di Anafi è una tappa nel nulla. O così deve sembrare da bordo. 
P'acá y p'allá in rada a Agia Anarghiri
Solo di recente, ad Anafi, è arrivata la strada. Una lunga e tortuosa striscia di asfalto che violenta il territorio, a tratti ne modifica addirittura il profilo. Ai piedi del massiccio di Kalamos, si nota il taglio sulla roccia, l'interruzione di un disegno perfetto. Ma, come sempre, c'è il rovescio della medaglia. È grazie alla strada che Kostas e sua moglie possono andare al cimitero ogni giorno. Prendono l'autobus da Agios Nicholaos e salgono su alla Chora. E lì camminano affiancati, radenti il muro del cimitero e al riparo dal vento. Poi entrano e scompaiono. Tanto da farmi pensare che abitino qui e che la crisi degli alloggi abbia lanciato la nuova tendenza di abitare la casa che verrà. No, Kostas e sua moglie sono solo dentro la tomba di famiglia, cambiano l'incenso e i fiori e si fermano lì subito fuori, mano nella mano, a guardare il mare.
il cimitero di Anafi, alla Chora
La Chora di Anafi è bianca con tocchi d'azzurro, come sempre. Silenziosa come non mai. Ma viva. E vivace. Una fila di negozietti e ristoranti lungo la via principale. Ceniamo da Petrino, con vista su P'acá y p'allá all'ancora un paio di centinaia di metri più in basso. 
I tramonti di Anafi sono speciali come tutti i tramonti nel remoto. Al largo, gli isolotti di Ftenia, dove andiamo a testare un ancoraggio nel mare interno tra loro. Ancor più a largo le due isole di Pachia e Makra, dove purtroppo non andiamo perché per 4 giorni su 7 (i nostri giorni) è zona di esercitazione militare. Cala la sera, il grande sperone roccioso di Kalamos fa da quinta alla luna piena e sembra si parlino in un idioma tutto speciale.
Kalamos e la luna piena.
Anafi è. Semplicemente. Senza la pretesa di apparire, senza un programma da seguire. Quando parti, non accenna a seguirti, né insiste nel chiamarti indietro. Ti dice soltanto "Son qui, ti aspetto. Quando vuoi, puoi tornare"E son le isole a cui fai sempre ritorno.

martedì 20 agosto 2013

3a volta ad Amorgòs. Nel grande blu.

Il relitto di Olympia a Liveros Bay
Christi Stasinopoulo, cantante e scrittrice greca, sostiene in un suo scritto che Amorgòs sia dotata di un magnete, qualcosa che ti cattura la prima volta e ti costringe sempre a tornare.
Per un navigatore, più banalmente, questo bastione di terra arida e montuosa posizionato in orizzontale nel centro dell'Egeo meridionale, è un passaggio obbligato e gradito che rende unica ogni rotta. 
Non ci si stanca di Amorgòs, questo è certo. Perché ha tutto: il molo con abbondanza di posti, ben protetto e riparato; i market per il rifornimento cambusa al di là della strada, il porticciolo più tranquillo con ottimi ristoranti a 10 minuti a piedi. E la Chora più spettacolare delle Cicladi. Per non parlare del monastero di Hozoviotissa, arrampicato sulla roccia con le unghie. 
tramonto a Katapola
Amorgòs ha tutto ma pretendere di trovare un ricambio Volvo Penta è forse un po' troppo. Facendo il tagliando al motore, Giovanni si accorge che il filtro dell'aria è sbriciolato all'interno. Cosa non proprio ottimale visto che il filtro serve proprio a non far entrare nel motore del pulviscolo dall'esterno. Proprio davanti alla barca c'è un piccolo emporio di ferramenta, uno di quei bugigattoli piccoli e stretti, con scaffalature che arrivano fino al soffitto, cariche all'inverosimile di accessori di ogni tipo. Quasi di ogni tipo.
Relax in Katapola
"Gas Station!" ci dice l'omino dell'emporio scuotendo la testa dopo aver attentamente analizzato il pezzo. Buona scusa per prendere un motorino in affitto, visto che la gas station è a metà strada per la Chora.
Il gestore si avvicina, prende in mano i resti del filtro Volvo Penta, lo guarda perplesso e scuote la testa. Non ce l'ha. "Supermarket!" esclama, indicando poco più su. Ovviamente non è un vero e proprio supermarket ma  il Captain's service, una sorta di grande emporio che fa servizi per la nautica.
Dentro c'è un po' di tutto, dalle semplice vettovaglie per la cambusa on delivery ai parabordi, dalle mute da sub alle ancore galleggianti e non. Tutto ma non il maledetto filtro aria della Volvo Penta, un pezzo di gommapiuma che costa la bellezza di 55 euro ma ne varrà qualche centesimo. 
Iniziamo a accarezzare l'idea di costruirci un filtro aria con materiale similare, non senza fare prima un ultimo tentativo seguendo l'indicazione del proprietario del Captain's service che, anche lui scuotendo la testa affranto, sentenzia "Petros!" e indica i piedi della Chora. 
Petros è il meccanico di Amorgòs, non avrà il ricambio Volvo ma qualcosa di simile sicuramente sì. Anche Petros, sconsolato, scuote la testa. Lui e il suo collega, sono talmente affranti, che iniziano una lunga discussione tra loro e animatamente poi ci dicono qualcosa. Qualcosa in greco, ovviamente. Un lungo discorso di parole e gesti, coadiuvato dalla consegna in regalo di pezzi di materiale simile ricavati da motociclette. Petros è contento, in qualche modo è stato utile. Quando ce ne andiamo si sbraccia in saluti e non china la testa. 
Guardando dove il sole va a dormire.
Perché qui in Grecia, quando non possono aiutarti, si rammaricano. Fanno quella faccia triste e sconsolata di chi dice così chiaramente "ma-mannaggia-a-me!", che mi viene sempre voglia di mettergli un braccio sulle spalle e dirgli "Dai, fa niente, non è un dramma"
Non è solo il mancato business, anzi sembra che all'affare di venderti qualcosa non ci pensino proprio. Si dannano per trovare soluzioni con pezzi di scarto da regalarti, soffrono nel non avere una risposta da darti. E guardano lontano, verso il continente, sentendosi addosso tutto il limite di essere isola.
Una chiesetta sulla strada tra Arkesini e Kamari.
E tu, in quel momento, pensi che non c'è risposta concreta che valga quanto quel dispiacere. La prossima volta che verremo troveremo i ricambi del filtro d'aria della Volvo Penta, già lo so. Nessuno li chiederà e tra una decina d'anni quella scatola bianca e blu sarà un po' ingiallita, poggiata su uno scaffale accanto alle rotelle di lenza e ai grippiali gialli. Finché un giorno qualcuno entrerà, chiederà un filtro dell'aria e l'omino potrà dire sorridendo "Né, Né", sì sì ce l'ho. E sarà tutto risolto.
La soluzione la troviamo comunque e ad oggi sembra ancora funzionare bene. Sacrifichiamo la mutanda di un vecchio costume di Giovanni e la utilizziamo come filtro. Con buona pace della Volvo Penta e dei suoi 55 euro di materiale che si sbriciola.
18 agosto: all'assalto del traghetto!
Quest'anno siamo arrivati a Amorgòs nel cambio stagione. Domenica 18 agosto, Il traghetto della Blue Star viene preso d'assalto da migliaia di umani abbronzati. Feiici ma tristi. Rumorosi. Davanti a P'acá y p'allá sfilano in corteo macchine e magliette colorate. Bambini che si perdono tra giovani saccoapelisti, mamme che strillano, camioncini che vanno a ritirare le merci. È finita l'estate, inizia una nuova parte del viaggio. Il bello ora è restare, rallentare, continuare a mettere la prua verso est, diametralmente opposta alla direzione di casa.
Lunedì 19, la ragazza ateniese che lavora al bar di Akrogiali si rilassa al tavolino accanto al mio. Siamo solo io e lei. "Amazing Rome" esclama, dicendomi che c'è stata una settimana. "A little bit crowded" le dico io ma lei è perplessa. Certo che sì, vive a Atene, qui a Amorgòs sta finendo la stagione, tra un po' si chiude, si torna a casa, nel caos di una metropoli al cui confronto Roma sembra un paesino tranquillo.
On the road sulla cresta di Amorgòs. Vista sulla costa sud.
Resta il tempo di un bel giro in motorino. Andare in moto per le strade di Amorgòs ricorda Karpathos. Ad ogni curva, una bella raffica di vento, cambia la tua direzione e ti schiaffeggia per bene. Ma ne vale la pena, procedendo con buona cautela.  Percorriamo la strada che intaglia la cresta rocciosa dell'isola fino alla punta sud. Amorgòs come sempre è avvolta in una lieve foschia. Il fazzoletto di mare turchese sotto il monastero è violentato dalle raffiche catabatiche. Sento il rumore e ricordo quando stavamo qui sotto in rada, ancorati per la notte con la sola compagnia di una luce accesa nel Monastero di Xozoviotissa. 
Baia Liveros e il relitto di Olympia
Facciamo questi 20 chilometri di strada tortuosa e ventosa con un obiettivo: il relitto di Olympia a Liveros bay, di fronte all'isoletta di Gramvousa. Grande mistero avvolge questo mercantile semiaffondato e incastrato nella piccola baia esposta ai venti dominanti. Lo chiamano Olympia, ma sulla prua si legge "Inland", nome in effetti un po' troppo premonitore vista la fine che ha fatto. Sembra sia finito qui dopo un assalto di pirati ma maggiori notizie non sono riuscita a trovarne. 
Qui vennero girate le riprese del film "Le Grand Bleu" di Luc Besson e fu questo fatto il volano che rese famosa quest'isola soprattutto in terra di Francia. Molti bar al porto di Katapola trasmettono il film e lo citano nel nome. Cinema e successo, una miscela che funziona in Grecia, a Amorgòs come a Kastellorizo ("Mediterraneo" di Gabriele Salvatores) e a Skopelos ("Mamma mia"). 
Alla Chora di Amorgòs
Della Chora riconosciamo l'odore, i colori, i tavolini, l'atmosfera. Tutto è identico a un anno fa, come fosse cristallizzato in una bolla di vetro senza tempo dove ogni cosa, ogni giorno, ritrova il suo posto. È calma infinita e rumore di vento. Le vie strette, i giocatori di backgammon, i tavolini colorati, che paiono comprati o sagomati a misura per lo spazio che c'è. Così greco, così bello. Ancora una volta, penso che ci vivrei. Anche io ritorno e mi metto allo stesso posto di sempre, quasi fosse il mio. E un po' forse lo è.

Lasciamo Amorgòs diretti a Anafi con un veloce e distratto saluto. Sappiamo che torneremo tra una decina di giorni, sulla via del ritorno. Il magnete di Amorgòs continua a funzionare.

lunedì 19 agosto 2013

Cicladi in agosto. La quiete del mare e il Meltemi a singhiozzo.

Koufonisi e sullo sfondo l'isola di Keros
Capita a tutti. No, non è vero, capita a noi cicale. 
A noi che viviamo con il credo che Oggi sia stato inventato unicamente per poter rimandare a Domani.
Un giorno ci svegliamo con un vago sentore di colpa e ci troviamo con una lunga lista davanti di lavoro arretrato. E ci mettiamo le mani nei capelli. Ci guardiamo intorno in cerca di conforto ma le formiche ci ignorano, riservandoci solo una lenta occhiata di malcelata accusa. Le sento bisbigliare "Metodo. Bisogna avere metodo"
Rinia, Paros, Donoussa, Epano Koufonisi, Kato Koufonisi, Keros, Iraklia, Amorgòs. Questa è la mia personale lista: le isole che abbiamo toccato da Tinos a oggi. Sono stata in tutti questi posti e non ve ne ho parlato. Scortese da parte mia, vista l'affettuosa sollecitudine con cui mi seguite. Da brava cicala ho preparato un paio di facili alibi, spero siano convincenti.
Nel villaggio di Koufonisi.
SONO FERITA. Sarà pur vero che non si scrive con le gambe (semmai con i piedi, ma mai con le ginocchia), ma le gambe servono a esplorare i luoghi, a nuotare a lungo assorbendo le cellule del mare, a lasciare - quando funzionano - che la mente si concentri sullo scrivere invece che sul ricordare gli antibiotici. Fragile e subdolo alibi, me ne rendo conto, andiamo oltre.
AGOSTO E' IL MESE DEGLI OSPITI. Quando abbiamo ospiti a bordo mi succede qualcosa di strano. Più che trasportarli nel viaggio, assimilo da loro le vite cittadine, respiro la quotidianità dei normali. Mi immergo e mi immedesimo nelle loro vite e, anche per me, il viaggio si trasforma in semplice e breve vacanza. In pratica, si crea una sorta di temporanea intercapedine tra me e la mia Grecia, come fosse più distante. Guardo ma non vedo, ascolto ma non sento. Ieri sono entrata in un negozio e ho salutato in inglese, imperdonabile per chi, da 3 anni, passa in terra ellenica la maggior parte della sua vita. Adesso il rischio da evitare è che domani mattina alle 6 mi imbarchi al seguito di Federico e Maria Paola sul traghetto della Blue Star diretto al Pireo. L'immedesimazione fa questi strani scherzi.
Ormos Lighias a Rinia
QUESTE CICLADI SONO SOPRATTUTTO UN RITORNO, posti di cui ho già scritto. Di nuovo, attraversiamo il già noto. A questo punto, non possiamo più evitarlo: il centro dell'egeo è una strada che abbiamo tracciato più volte. D'altro canto, con gli ospiti preferisco il riscoprire allo scoprire, forse proprio per via dell'intercapedine. E poi c'è sempre il bello del ritornare e del ritrovare. 
Portare Ale e Giacomo nello splendore di Rinia, a 36 ore dalla loro ultima riunione in ufficio, e leggere quel turchese incredibile riflesso nei loro occhi è, di per sé, una grande soddisfazione. E cosa dire della loro gioia, il loro stupore, il loro comprensibile grido silenzioso "sono in vacanza, il resto può attendere". Guardo il mare nei loro occhi e lo vedo stupefacente invece che quotidiano. 
Ale e Giacomo a Parikia (Paros)
Il dramma dell'essere abituati allo speciale è che, qualche volta, che sia speciale te lo devono ricordare gli altri. Se lo bevono il mare di Rinia, Ale e Giacomo, fanno scorta per i mesi a venire. Alessandra l'ho conosciuta tanti anni fa sul lavoro. Sarebbe scontato dire che fui impressionata dalla sua grinta e dalla sua determinazione. No, di lei mi colpì subito e soprattutto la sua semplice autenticità, priva di pregiudizi e di inutili sovrastrutture. La forte fragilità di chi si mette in gioco senza paura di perdere, perché a perdere poi ci si guadagna comunque qualcosa. Ale è uno dei pochi contatti nati sul lavoro che è rimasto nella mia vita più forte e saldo di prima. All'autenticità non si rinuncia per nulla al mondo. Giacomo, invece, lo conosco a bordo. Iperattivo e vitale, saltella ovunque e ti descrive tutto quello che prova in questo mare speciale per chi vive a terra.
polpi stesi a Naousa (Paros)
Avvocato "a tempo determinato", prepara la sua seconda vita come sceneggiatore di cinema. Parliamo di scrittura e mi suggerisce una via per passare dal semplice scrivere al raccontare. Giacomo ha metodo, si vede, in autunno mi riprometto di usarlo come formica ispiratrice. 
Anche P'acá y p'allá si ricorderà di Giacomo il restauratore. Una porta del bagno che si chiude finalmente bene, uno sportello che non cigola più, dai a Giacomo un cacciavite e una limetta e la manutenzione diventa divertimento.
Giovanni, dal canto suo, ottiene finalmente soddisfazione: qualcuno a bordo che apprezza il pesce pescato. Una cernia a carpaccio, una leccia in padella e una bella scorpacciata di ricci. Finalmente a bordo c'è chi comprende il sapore di mare e non dice, come faccio io, "sembra una gomma da masticare già masticata".
Agios Kostantinos a Parikia (Paros)
Lo so, è uno spreco: col mare ci parlo, ci vivo, ci respiro ma posso tranquillamente fare a meno di mangiarlo. Con le dovute eccezioni di crostacei, molluschi e poco altro.
Giacomo e Alessandra li teniamo a mollo per 48 ore a Ormos Lighias, meravigliosa baia a ovest di Rinia, a fare indigestione di turchese e di vento a 35 nodi in un ancoraggio ampio, solido e affidabile che vale più delle fondamenta di un grattacielo in terraferma. Poi via, di nuovo con bel vento fresco dietro le spalle verso Naousa, il porticciolo a nord dell'isola di Paros. 
Tramonto a Naousa
Naousa ad agosto è lievemente meno bella di Naousa a metà settembre (per chi vuole, un piccolo flashback): percepisci meno il borgo di pescatori e di più la località turistica. Ma vale solo per la sera quando questa location splendidamente cinematografica si riempie di visitatori di ogni età e provenienza. Trovare un tavolo al ristorante richiede pazienza e la musica dai bar sovrasta lo scoppiettio dei motori a 2 tempi dei gozzetti da pesca. Di giorno, invece, è pura e semplice quiete. Vicoli imbiancati a calce e luce accecante. Oche a passeggio, di quelle a due zampe e due ali e senza tacchi. Nei miei giorni pigri all'ormeggio trovo un fantastico farmacista zen che si prende cura della mia ferita alla gamba. Mi colpiscono la sua delicatezza e il suo parlare piano, in un italiano perfetto. A colpi di Tea Tree Oil e gocce di ippocastano tratta in maniera dolce la refrattarietà alla cicatrizzazione delle mie ferite. "Però continui con gli antibiotici che queste ferite son malefiche", mi dice. Diventa un appuntamento quotidiano, quello con il farmacista, e si elimina di nuovo l'intercapedine tra me e la Grecia. Sono a casa. 
Oche a Naousa
Al Marina di Naoussa è cambiato l'ormeggiatore. Il placido e silenzioso omino bici-munito è stato sostituito da Iannis che si muove in scooter. Iannis, il greco che per efficienza e stress fa sospettare lontane origini lombarde, esonda rapido dal suo ufficietto ogni qualvolta percepisce l'arrivo di una barca, inforca il suo scooter corre all'ingresso e urla "NO ANCHOR!!!!". Dura la vita in Grecia per gli ormeggiatori di porti  muniti di corpi morto: l'ormeggio senza àncora è una tale rarità da queste parti che non bastano i cartelli all'ingresso, ci vuole un Caronte a ricordarlo. E il povero Iannis 2 volte su 3 non fa a tempo a urlare che hanno già calato l'àncora. "Poi fanno danni ed è colpa mia", mi confida frustrato. Cerco di spiegargli che non sarebbe colpa sua, che in Italia una volta messo un cartello se ne fregano altamente e che il concetto di "uomo avvisato, mezzo salvato" è l'alibi perfetto per chi non ha voglia di urlare e di darsi da fare. Ci ripenso, smetto di tentare di convincerlo. Amo la sua frustrazione e il suo modo di combatterla. Mi piace il suo modo di arrabbiarsi con lo strano capitano di una barca giramondo che pretende che le cime di ormeggio si trovino sul molo e non siano invece quelle della barca. "You're a very strange sailor, man!" gli strilla giustamente di rimando. 
In navigazione verso Amorgòs con Federico al timone
A Naousa cambiamo equipaggio. Perdo una quindicina di minuti con l'addetto all'autorità portuale che vorrebbe mi recassi al porto principale di Paroikia per ottemperare alla formalità. Questo qui, che a flemma e indolenza compensa l'iperattivismo di Iannis,  riesco a  convincerlo: compiliamo insieme una dozzina di inutili fogli e la pratica è risolta. 
Nottetempo, arrivano Federico e Maria Paola, li imbarchiamo, diamo loro la buonanotte e di mattina si parte per Donoussa, l'isola del diavolo.
Sono a pieno diritto gli zii di P'acà y p'allà, nonché i nuovi proprietari di Nodo alla Gola, la nostra prima barca. Con Federico, cresciuto insieme a Giovanni a pane e derive, la barca si arricchisce di un co-skipper eccellente, io torno a fare il mozzo semplice che, con la gamba lesa, ha pure qualche piacevole esonero nei compiti. Tutta vacanza, insomma. 
Maria Paola ci regala qualche lezione di filosofia che, nella cornice d'acqua in cui impaginiamo le nostre serate, sparge un velo di spiritualità aggiuntiva. I miei dei si seccano un po' di essere stati sostituiti dai filosofi, ma sempre di civiltà ellenica si parla. 
In arrivo a Donoussa
Donoussa è fedele alla sua descrizione: in un giorno di bonaccia egea, l'effetto centrifuga delle sue acque è comunque ben funzionante. 30-35 nodi e una bella onda ridondante. E' una meta affascinante e inospitale, più mitica che attraente. E' uno di quei posti in cui desideri ardentemente andare ma da cui riparti altrettanto volentieri. Acqua limpidissima e gelida. Ancoraggio sicuro a Ormos Dhendro ma molto rafficato. Sarà colpa della gamba ferita senza più il conforto del farmacista amico, sarà colpa dell'intercapedine di Agosto ma sento che Donoussa non la vivo come si deve e mentre guardo la sua costa rocciosa penso già che dovrò tornarci. Il timore dell'intensificarsi del vento ci fa lasciare l'isola del diavolo dopo sole 24 ore. 
Stavros, il porticciolo di Donoussa
Non amo vivere le isole così, senza scendere a terra, senza parlare con gli abitanti, senza sentirmele addosso per bene prima di lasciarle. Diamo solo uno sguardo al porticciolo di Stavros, piccolo anfiteatro di case su un pezzetto di mare turchese, tutto intorno a quel molo, così vitale per il collegamento col resto del mondo. Si narra che fu qui, a Donoussa, che Dioniso portò Arianna dopo averla trovata a Naxos piantata da Teseo. E fu qui, nei racconti di Virgilio, che passò Enea durante il suo viaggio alla ricerca di una nuova terra dopo la caduta di Troia. Segno una X sulla mia mappa del cuore. Donoussa è un luogo di confino che merita più del tempo che il meltemi ti concede. Non è d'accordo con me Basil, la nostra pianta di basilico che già messa in ginocchio dalle dure prove egee, riceve qui a Donoussa il colpo di grazia di una secchiata d'acqua salata. "No no, qui non ci torniamo" supplica Basil. Lo assecondo perché a un moribondo bisogna concedere qualche illusione. 
Pot-pourri di barche in rada a davanti al villaggio di Koufonisi
Spintonati allegramente da un Meltemi in piene forze, facciamo rotta su Koufonissi, un bel lasco con due mani di terzaroli abilmente dominato da Federico che diventa un tutt'uno con la ruota del timone, mandando in ferie felicemente sia il Capitano che il pilota automatico. 
Anche qui un flashback del 2011, perché non è gentile ripetersi per chi ha già avuto la pazienza di ascoltarti. Per le piccole Cicladi vi dirò solo del nuovo che abbiamo trovato. 
Il porticciolo di Koufonisi, altra rarità dotata di corpo morto, è il più caro incontrato in Grecia. 34 euro per il transito inclusi corrente e acqua. D'altra parte i posti sono pochi e la domanda è alta. Il villaggetto è silenzioso e tranquillo anche a ferragosto. Unica nota sgradevole è un deciso accento milanese in sottofondo. "Mamma, i lombardi", sono arrivati anche qui. 
Da Pano Koufonisi vista su Kato Koufonisi
Con la visita al villaggio, completo la mia sensazione su Koufonisia e confermo le mie impressioni degli anni precedenti: è forse il posto migliore da consigliare a chi vuole una Grecia semplice e godibile da terra. Pano Koufonisi, dove arriva il traghetto, si gira a piedi, è bassa e costellata di spiagge, ha il sapore pacifico della Grecia in miniatura lontana dal turismo di massa. A Pori bay, la taverna serve dell'ottimo pesce fresco cotto alla griglia a perfezione e dei dolci fatti in casa originali e gustosi. La gemellina bassa,  Kato Koufonisi, cui si arriva ogni giorno con barche da pesca, è un caleidoscopio di baie suggestive con spiagge bianche e acque turchesi. A settembre è deserta ma in pieno ferragosto è comunque un incredibile paradiso di quiete.
Ancoraggio speciale a Keros con due cime a terra
Il vento cala a zero e ci regala un ancoraggio da favola sul lato sud dell'isola di Keros. Non quello consigliato dai portolani, ma un'altro che è mezzo miglio più a est, fatto a forma di radice di dente. La selvaggia e brulla Keros - dai portolani descritta, e anche a noi apparsa in altri anni, come ferocemente inospitale - è ora un angolo di mondo che merita il 10 e lode. Non sono le isole che sono inospitali è solo il vento che è con loro iper-protettivo. Basta che il bastardo entri in sciopero un paio di giorni e ti ritrovi a navigare nel cristallino dedalo di scogli e insenature a sud di Keros, poi, giri il capo di Mouriama, passi uno stretto e trovi il punto giusto dove mettere ancora e due cime a terra. La felicità è fatta di niente, solo che è un niente che devi voler trovare.
Il porticciolo di Agios Giorgios a Iraklia
Altra bella scoperta è l'isola di Iraklia, da noi lasciata a dritta nella navigazione verso Ios in un giorno d'autunno e temporali del 2011. Bella da mare, bella da terra. Nuovo ancoraggio con due cime a terra nella baia di Alimnia. Iraklia dai bei fondali e dalla roccia ricca di minerali. 
Questi giorni di bonaccia fanno comparire le barche a motore, come un segno del meltemi a ricordarti che, in fondo, quando lui strilla si sta meglio. Chissà dove vanno a finire le barche a motore quando arrivano i 30 nodi, non ne vedi più una, né in rada, né nei porti, né tantomeno in mezzo al mare. Semplicemente, si dissolvono. Oppure, grazie ai potenti motori, qualche ora e tornano in Turchia dove è più giusto che stiano. Detto questo sorrido di chi lamenta l'affollamento delle Cicladi in Agosto. C'è abbondante spazio per tutti perché quei tutti, almeno per mare, sono davvero pochi.  
Giovanni alla scoperta del relitto aereo di Alimnia Bay
Nella baia di Alimnia, su un fondale di posidonia di 11 metri, giace quasi totalmente integro il relitto di un aereo bi-posto tedesco della seconda guerra mondiale. L'aereo non si inabissò direttamente in questa baia ma vi fu trasportato da un pescatore che lo aveva preso nelle sue reti a strascico su un fondale di 90 metri a nord Est di Ios. Trascinato il relitto nella baia di Alimnia, il capitano Sarantis venne raggiunto dall'amico Nikita che lo aiutò a sbrogliare la matassa e a far cadere lo scheletro del relitto sul fondale dove si trova ora.  
Al moletto di Agios Giorgios, il porto dell'isola, c'è poco spazio. I pescatori si stringono e si ormeggiano affiancati tra loro per cedere posti alle barche da diporto.
Antipasto di ricci a Keros.
Quando arrivi, smettono di pulire le loro reti e vengono a prenderti le cime. Iraklia ti accoglie, calda e ospitale, senza bisogno di venderti qualcosa. 4 posti al molo, ne troviamo uno libero. Accanto a noi un bellissimo S&S 45 piedi del 1981 di un veronese di stanza in Grecia da anni. Con Giovanni ci immergiamo per controllare l'ancora ma entrambi abbiamo un altro obiettivo: la chiglia di Paquita è fortemente mortificata dalla sua vicina. Invidio quella splendida immersione, quel radicamento della barca nel mare per buona metà del suo volume. 
Chiudo gli occhi e vedo boline migliori. Per la prima volta, Paquita non è la più bella barca del molo. Confrontiamo le nostre rotte, non a caso il Capitano veronese, dopo Ios, punterà deciso verso nord per un faccia a faccia col meltemi che con quella barca e una certa esperienza dà sicuramente belle soddisfazioni.
Arriva il traghetto a Iraklia e gli abitanti salgono a ritirare le merci
L'enorme traghetto della Blue Star ci offre il consueto spettacolo di sproporzioni tra gigantismo navale e essenzialità microscopica del luogo. Assistiamo ancora una volta al meraviglioso contrasto di un luogo dormiente che si anima e si colora all'arrivo del ferryboat. Turisti scendono contemporaneamente a ristoratori che salgono a ritirare le merci. Il pope col suo bastone d'argento precede un somaro, i bambini corrono sul molo per salutare la nave e guardano avidi la manovra, sperando un giorno di poter prendere loro quella cima d'ormeggio. 10 minuti di vita, 10 minuti in cui tutto il mondo è a Iraklia. Poi, la nave va e l'isola torna dormiente. 
Mulo ortodosso a Iraklia
L'autobus ci porta a Panaghia, una chiesa, due case e un ristorante 4,5 km dal porto. Il ritorno è a piedi sotto la mezzaluna su una strada deserta nel silenzio più totale. 
Si sveglia di nuovo il Meltemi e ci conduce ad Amorgòs su una "strada" impervia e già percorsa di cui conosciamo bene le asperità. 
Risaliamo Keros sopravvento con un traverso bello teso che fa a Federico l'effetto di una seduta in palestra con personal trainer. Passata Keros, il vento e il mare si stendono un po' anche se continuano le raffiche oltre i 30 nodi. Siamo nel punto di mare più scomodo, quello tra Keros e Katapòla, mare grosso e disordinato che però con vento forte è meno sgradevole che in assenza di vento. Poi entri nel golfo di Katapòla ad Amorgòs e, d'incanto, tutto si spegne. Ed eccoci qui, per la terza volta ad Amorgòs. Lasciamo i nostri ospiti a scorrazzare nell'isola e restiamo di guardia in barca. Non tanto perché ce ne sia bisogno quanto perché abbiamo una lunga lista di incombenze cui far fronte. Più gradevoli (lo scrivere un blog) o meno gradevoli (cambi d'olio, ingrassamento pompe wc). La ripartizione di tali mansioni è ormai facilmente comprensibile a chi legge. 
Mentre scrivo in quadrato, guardo la montagna di Amorgòs, immagino la quiete sonnolenta della Chora e le dò appuntamento a tra un mese, quando sulla via del ritorno verso Ovest, ripasseremo da qui. Per ora gli occhi, salutati gli ospiti e colmata l'intercapedine, sono su Anafi, il nuovo da scoprire che ci riporta sulla via del sud.