mercoledì 8 ottobre 2014

Arcipelago di Milos. Il triangolo della bellezza e la fuga tempestosa.

C'è un triangolo perfetto in Egeo, sebbene non sia equilatero ma scaleno: un'isola principale, Milos, e i suoi due satelliti perfetti, Kimolos, che ha un piccolo centro abitato, e Polyegos, perla di roccia abitata solo da piccoli falchetti.
L'anno scorso, per una serie di vicissitudini che ci hanno portato verso Lavrion e da lì convinti a tornare a casa lungo la via di Corinto, avevamo saltato il nostro consueto Punto x di commiato annuale dall'Egeo.
Tornarci a distanza di due anni ha il sapore meraviglioso della vera riscoperta. 
All'ancora a Epano Mersini, Polyegos con la coda dell'aquilone.
Ancora una volta - in maniera quasi ridicola da quanto spesso si contraddice - una voce si leva dentro di me: è questo il punto più bello dell'Egeo. 
Che cosa sciocca, questa di cercare il primato, di fare una classifica del bello. Che oziosa perdita di tempo da cui mi scordo sempre di astenermi. Eppure, l'arrivo a Polyegos mi restituisce un po' di quel magnifico stupore che con gli anni ho inevitabilmente perduto. Sono i colori di questa terra, la luce e la trasparenza che la rendono unica al mondo. Il giallo, il rosso, il bianco della roccia. Il turchese del mare che resta turchese anche quando il cielo è coperto.
A Polyegos  fai indigestione del miracolo della terra vulcanica. Sei in un'isola ma sembra di stare in una enciclopedia di geologia. 
Tramonto a Hochlakias, Polyegos. Sullo sfondo, Milos
Buffo e faticoso scrivere di quei giorni a distanza di un mese, dopo aver percorso in un autunno difficile 750 miglia da Polyegos all'approdo dove sono ora, uno dei tanti rifugi dalle perturbazioni invernali nella lunga, e quest'anno travagliata, via del ritorno a casa.
Penso al mio rapporto con questo blog che non è più quello degli inizi, quando di blog di viaggi per mare non ce n'erano così tanti e io non ne conoscevo altri. Ricordo la mia piccola voce e la sua grande eco, buttate là nel silenzio dell'etere indifferente. E ricordo soprattutto il mio primo lettore, Silverio non Ponzese, che un giorno arrivò e fece il primo commento. Fu come aver lanciato un messaggio in bottiglia in mare e ricevere tra i flutti la sua risposta. Uno sconosciuto che mi leggeva e arricchiva quella pagina neonata e sconosciuta con i suoi sagaci commenti, dando risposte alle mie domande, approfondendo con fatti storici le mie ingenue riflessioni. 
Faraglioni a Fikyada, sulla costa sud di Polyegos
Per 3 anni ho scritto soprattutto per leggere i suoi interventi che non ho timore di definire la parte migliore del mio blog. Oggi Silverio non mi legge più, o quantomeno non interviene più. Al suo posto tanti nuovi lettori, soprattutto Fernando che chissà perché si definisce "Ultimo", mi spingono a scrivere, a comunicare quello che sento, che vedo, che imparo da questa nuova vita che non è più tanto nuova ormai. Ma Silverio forse ha intuito prima quello che io sento ora: la formula del diario di bordo non mi convince più, mi sta stretta come mi è sempre stato stretto tutto ciò che diventa comune, in questo caso - oserei dire - decisamente abusato. Mi obbliga a conservare una consequenzialità nel racconto e, vista la mia indisciplina, a parlare oggi di cose viste un mese fa e rimandare le sensazioni che provo oggi a quando mi sarò rimessa in pari.
La montagna bianca, gialla e rossa di Polyegos
Tutto questo sbiadisce un po' le cose. Non so cosa sarà di questo blog l'anno prossimo, forse non ci sarà più, forse non sarà più un diario, magari farò parlare le persone che incontro al posto mio perché il bello di questo mio peregrinare ai margini della vita che conoscevo prima è l'aver scoperto che ci sono tante voci inespresse sul mio mare e sulla terra che tocco e che no, lo dico subito, non mi viene a noia. 
Ecco, dare voce agli altri, questo mi piacerebbe...
Be', eravamo a Polyegos e come al solito sono andata altrove. Grazie della pazienza infinita di chi perdona le mie digressioni per lo più prive di senso, continuando a tenere il filo. Ecco, tiro il filo di 750 miglia e torno lì, nel triangolo della bellezza. 
Polyegos, la costa meridionale
I saggi e i previdenti, per mare, son già tornati a casa, noi quest'anno non ne abbiamo voglia. Aspettiamo, aspettiamo, ci rendiamo complici di un meteo che ci fa prendere tempo. Nell'illusione che quella di quest'anno sia un'estate perenne. Ogni giorno è regalato. Ogni grado di temperatura acquistato ci inganna e ci fa mettere gli occhi verso est, procrastinare l'arrivederci all'Egeo. Ogni grado di temperatura perso ci fa piangere lacrime di coccodrillo "Oh Santi Numi, è finita l'estate, perché non ci hanno avvertito?"
mezzaluna a Polyegos
Siamo viaggiatori impuniti, vagabondi senza meta, quelli che si rifiutano di programmare, cicale che cantano finché possono e poi vanno a mendicare finestre di bel tempo alla porta degli dei. Ma non è colpa nostra se hanno messo proprio qui in questo punto le più belle sirene dell'Egeo.
La nostra sosta a Polyegos è pigra e gaudente. Solleviamo l'ancora e spostiamo la chiglia di qualche miglio, avanti e indietro lungo la costa meridionale dell'isola a seconda del panorama che vogliamo avere per l'ora del tramonto. Un bel vento fresco da nord, meltemi a tutti gli effetti, ci offre l'alibi giusto per aspettare, secondo l'antico postulato "se c'è il meltemi è ancora estate". Interrompo l'indolenza dei giorni con una frenetica attività di raccolta sassi. Porterò anche stavolta  con me un campione del bello, unico e incomparabile di questa roccia. 
La costa di tufo di Epano Mersini
P'acá y p'allá acquista decine di chili di peso, ci piace renderle il lavoro sempre più difficile. La raccolta di sassi è una nevrosi di cui mi picco di rivestirne l'aspetto più paradossale. Si comincia con il "dovere": cercare la pietra che per dimensione (in proporzione), per materiale e forma sia più adatta a rappresentare l'isola. Una per ogni isola, o scoglio. Assolto questo compito, inizia una bulimia ossessiva che si trasforma in una vera e propria campagna di scippo del territorio. È un attimo ed ecco che il raccolto non basta mai. Incursioni veloci con pinne e maschera lungo la costa, in quel tratto di mare tra la battigia e la batimetrica di 3 metri che è il limite massimo di immersione cui riesco ad arrivare.
Pagotopoleio (Gelataio) con muli a Kimolos
Raccolto un chilo di sassi, torno verso la barca, li isso a bordo e riparto. Ne prendo tanti, la selezione, semmai, la faccio dopo. In location molto peculiari - e Polyegos lo è - la campagna prosegue e viene ottimizzata con l'uso di mezzi da sbarco. Ecco che il nostro pacifico tender viene caricato di pietre e la produttività decisamente aumenta. 
Poi a un certo punto, il Comandante dice "Adesso basta!" e quello è il segno che la misura è colma. P'acá y p'allá tira un sospiro di sollievo, il tender pure e io piango uno per uno i sassi perduti, trasformandoli in rimpianto e programmando già una nuova battuta di caccia per la prossima stagione.
Ormeggiati all'inglese a Psathi, Kimolos
Non abbiate timore, nonostante il racconto possa far pensare il contrario, lo scempio che compio ai danni della terra è ben poca cosa. Ad ogni buon conto, lascerò disposizioni testamentarie perché i miei 12 nipoti restituiscano alle isole dell'Egeo il maltolto, dopo la mia dipartita. A ogni isola il suo sasso, o meglio ancora, a caso, che si sa mai che dall'unione di rocce diverse nascano nuovi esemplari.
Il tempo improvvisamente peggiora, nuvole grigie e nere attraversano il cielo e ci spostiamo a Kimolos, ormeggiandoci solitari nel nuovo porticciolo di Psathi ben ridossato dai venti ma generatore di risacca. 
Sulla strada della Chora di Kimolos
L'autunno si fa sentire, guardi l'orizzonte sperando di vedere qualcuno in arrivo ma di barche in giro oramai ce  ne sono poche. Restiamo soli. Con l'unica compagnia del traghetto che ogni ora porta a Apollonia, sulla costa settentrionale di Milos. 
Con 20 minuti di cammino in salita, siamo alla Chora di Kimolos, piccolo borgo incantato e spazzato dal vento. Un mulo, viottoli in calce bianca e l'aspetto fantasma tipico dei villaggi in Grecia nel pomeriggio. Incontriamo due ragazzi francesi, li incrociamo 3 volte. Siamo solo noi e loro, tutt'intorno è silenzio e siesta. 
Il borgo di pescatori a nord di Psathi, Kimolos
Alle 6 di sera, tutto si anima: aprono le gelaterie, le taverne e i 2 piccoli market. Un piccolo scorcio di vita semplice e di quiete vivace, se mi è consentito l'ossimoro.
A pochi passi dal porticciolo, c'è un minuscolo borgo di pescatori, in parte riadattato - credo - a case vacanza. E' un gioiello di architettura spontanea di casette ben incastonate nelle rocce. Scavati nella pietra di tufo, delle grotte per il rimessaggio delle barche da pesca, chiuse da porte di legno i cui colori vivaci sono divorati dalla salsedine.
Equilibri perfetti sulla costa orientale di Kimolos
Ecco un altro luogo da consigliare agli amici che vengono via terra e che cercano la quiete assoluta. Una casetta sull'acqua, la barca del pescatore sotto casa per andare a fare il bagno a Polyegos e una Chora a 20 minuti dove aspettare il tramonto davanti a birra e mezedes. È una Grecia a portata di mano ma per pochi, quelli che ancora amano una felicità fatta di piccole cose essenziali.
Polyegos, dal porto di Psathi, Kimolos
Mentre il cielo si fa scuro, apriamo i siti delle previsioni e cerchiamo il giorno giusto per la partenza. Il vento da Nord calerà a breve per lasciare il passo poi a una brutta perturbazione di cui possiamo vedere gli effetti in anticipo in Italia. Alluvioni, nubifragi, bombe d'acqua (o temporali come si chiamavano una volta), possiamo seguirne l'evoluzione e giocare d'anticipo. Abbiamo due giorni buoni per andare a Milos, fermarci in porto per un po' di rifornimenti e una pausa cittadina e prendere decisamente la via dell'Ovest traversando il braccio di mare verso il Peloponneso. 
Murales alla Chora di Kimolos
Quest'anno saltiamo il periplo dell'isola di Milos - Kambanes,Fyriplaka, Kleftiko - di cui ricordiamo ormai ogni sasso e da cui abbiamo raccolto già in abbondanza. Polyegos e l'indigestione che ne abbiamo fatto diventa in qualche modo sufficiente della fame di roccia da Campi Flegrei che MIlos ricorda tanto e ci consola di quel che stiamo per  tralasciare.
Una brutta sorpresa a Milos: il nostro amico Milthos, lo storico ormeggiatore in barba bianca e aspetto carontico, è andato in pensione. Al suo posto una buffa impiegata dell'autorità portuale che passa in serata a riscuotere il costo di ormeggio con un approccio incerto e schivo. 
Chiesa nella Chora di Kimolos
In Grecia, se si è sottocoperta, è sufficiente non rispondere al richiamo "Captain!" che viene dalla banchina per evitare di pagare il fee giornaliero. E così, a un certo punto della sera vedi scappare sottocoperta la maggior parte degli armatori. Altri, meno impavidi e più intenzionati a non fallire l'impresa, si allontanano verso il bar all'ora del tramonto. L'autorità portuale, quando e se passa, lo fa a quell'ora. Se ci sei, bene, altrimenti ci si rifà un'altra volta. 
Milos, veduta da Plaka sul golfo di Adhamas
A Milos c'è un po' di andirivieni di barche. Ormai i charteristi latitano e al pontile arrivano per lo più armatori. Ci divertiamo a prender cime e aiutare nell'ormeggio e a sera ci troviamo vicino a altri due Grand Soleil di italiani. L'armatore del 45 German Frers, eroico modello antesignano della nostra barca, è di poche parole. Il gruppo a bordo del 50 piedi ha invece piacere come noi nel condividere idee e impressioni. Dopo uno scambio di battute, ci chiedono aiuto per definire il loro itinerario. Vengono, dopo un bel bordo di bolina impegnativa, da Chania, Creta, dove riporteranno la barca tra una settimana per lasciarla lì a svernare. 
Si spegne la mia speranza: in questa stagione ho sempre il desiderio di trovare qualcuno che come noi ha davanti un migliaio di miglia prima di considerare finito il viaggio, possibilmente diretto nella nostra stessa direzione, tanto per farci compagnia.
Milos. Still life tipico greco
Hanno un programma ambizioso ma non vedono l'ora di ridimensionarlo. 60 anni l'età media a bordo e poca voglia di faticare. Li invogliamo a volare basso e concedersi poche miglia e molte pause. Mettiamo sulla loro rotta Sifnos, Polyegos, Folegandros e la costa sud di Milos prima di scendere di nuovo a Chania con un bordo che sarà senz'altro più favorevole.
Quanto mi piace costruire itinerari per tutti quelli che incontro (e che ne manifestino il desiderio). Forse è per questo che ho scritto il libro, per la voglia assoluta di far conoscere questo dedalo di terra e acqua che per me è così speciale. Per questo non basta mai il mio viaggio in Egeo, passano gli anni e c'è sempre qualcosa da scoprire, da riscoprire, da raccontare.
L'atmosfera lunare di Sarakiniko, costa nord di Milos
Il countdown è implacabile, il giorno X è l'ultimo buono per traversare senza inutili emozioni. Dopo esserci concessi una veloce occhiata in motorino sul lato sud di Milos e una puntata al sito lunare di Sarakiniko, salpiamo dal porto e ci dirigiamo sul versante Ovest dell'isola decisi a passare l'ultima sera Egea nel magico ancoraggio di Ag. Ioannes dove una franata di roccia color oro puro regala un tramonto indimenticabile. Il vento da sud Est, però, gonfia un'onda che viene da lontano. Tra Creta e il Peloponneso ci deve essere molto mare. Illusi, pensiamo che sarà sufficiente spostarsi di qualche miglio più a nord, protetti dal capo Zefiros per evitare la risacca e dormire tranquilli. 
Il borgo di pescatori di Mandrakia, Milos costa nord
Ma, come sempre accade quando sei sicuro delle previsioni, ecco che il cielo acquista le mille e più sfumature che vanno dal grigio antracite al nero pieno. Una brutta, brutta nuvola dai contorni lisci entra prepotentemente in campo e annuncia un improvviso giro di vento a Nord Ovest, che ci corre incontro da quell'apertura perfetta della nostra cala riparata dal sud est. Ok, la vita in mare è bella anche per questo, per il repentino cambio di programmi che ti impone. In un attimo il vento sale a 30 nodi, alza un'onda isterica da nord che si incontra con l'onda stanca da sud. Le due negoziano per un po' e poi decidono per un governo di larghe intese.
Forme sinuose a Sarakiniko
Resteranno entrambe, la notte è loro, noi diventiamo solo pedine del loro gioco. Cerchiamo di ignorarle e di guardare solo il cielo. Non è facile capire dove va questo manto nero, sembra immenso e nel frattempo la notte guadagna il suo spazio. Lasciamo il nostro ancoraggio diretti a nord, cercando un rifugio o un ritorno sui nostri passi al golfo di Adhamas sicuro e protetto che ospita il porto. Ma l'onda da nord da nevrotica è diventata furiosa, il vento sale e sale, i fulmini cadono tutto intorno a noi e le raffiche di vento ci schiaffeggiano bene. Proseguire è un'impresa per noi e per la barca, meglio fermarsi. Confortati dalla presenza di una barca da gita giornaliera, guadagniamo un rifugio che si rivelerà però troppo stretto e precario. Salpiamo di nuovo l'ancora a bordo e ci spostiamo in un'altra cala apparentemente più larga. Il cielo continua a lampeggiare, ma i tuoni hanno abbandonato il sincrono perfetto con la luce e il groppo sembra allontanarsi verso Creta. Troviamo infine pace nella baietta di Angathia,  sento l'ancora far presa sul fondo e capisco che è sabbia, la visuale non consente più nulla. Giovanni dà una decisa marcia indietro per farla affondare bene e spegniamo il motore. Un paio d'ore fa era estate, ora è inverno cupo e minaccioso. 
da Plaka, veduta sull'imboccatura del golfo di Adhamas
La perturbazione ha anticipato i tempi, ci è venuta a prendere e domani ci darà un po' da fare.
Nulla come questi eventi improvvisi ha il potere di rimetterci in riga, diventiamo improvvisamente disciplinati e cogliamo il segnale. All'alba si parte, inutile procrastinare ancora, nei giorni a venire si prevede un ritorno di forte vento da nordovest che si instaurerà per almeno una settimana. Adesso almeno abbiamo il vento a favore e il mare non è ancora troppo potente.
Come al solito, la voce in sottofondo dice "Ieri". Ieri è sempre il giorno giusto per partire, chissà come mai.
Dopo una notte un po' così, l'alba ci invoglia a salpare, facendo assumere al contesto quell'aspetto tranquillizzante da quiete dopo la tempesta. Grigio è grigio, l'estate è finita, sarà forse una traversata un po' freddina ma apparentemente tranquilla. In 70 miglia però le cose cambiano, cambiano anche in 3 miglia, ma in 70 hanno 20 volte di più la possibilità di farlo.
ospite a bordo, una ballerina gialla
Una ballerina gialla, pennuto nervoso ma simpatico, sale a bordo e resta con noi per un po' al riparo della cappottina, alla prima presa di terzaroli però, spaventata dal rumore, vola via. Dimentico sempre che gli uccelli che salgono a bordo sono segni di maltempo.
Abbiamo percorso solo 10 miglia quando si apre a semicerchio intorno a noi, una pennellata dei colori di ieri: nero profondo, dal mare in su fino all'apice del cielo. La visibilità scende veloce, il vento sale, sale e sale ancora. La via di fuga è alle spalle ma il miglior modo di passare un fronte se la terra è lontana è di entrarci dentro, attraversarlo e fare in modo che la direzione ostinata e contraria del piccolo navigatore renda più breve la relazione promiscua col fenomeno naturale. L'alternativa, quella di girare le spalle, non ha solo il difetto di rimandare una partenza già tarda ma anche la garanzia di viaggiare insieme alla perturbazione e di portarsela appresso più a lungo. 
Antimilos sotto un manto minaccioso di nubi
Per cui, testa bassa e via, si prosegue. La seconda mano di terzaroli viene presa in un attimo, il fiocco viene ridotto, poi verrà tolto del tutto. A tenerci compagnia nell'ora peggiore, un Dragon Fly, trimarano di 35 piedi, ci si avvicina da poppa. E' una barca che quando noi voliamo a 10 nodi, ne fa 20, un bolide da corsa, aggressivo e sportivo. La sua presenza è confortante sia per Giovanni che per me. Lui, mentre il fortunale si abbatte su di noi, si diverte a guardare la performance del trimarano e si lancia in un match race di improbabile successo. Io penso "meno male che sono qui e non lì sopra quell'aggeggio leggero  con quella randa che per quanto la riduci resta enorme e su degli scafi che rischiano l'ingavonamento ogni onda". Guardarla fa apparire P'acá y p'allá ben più solida di quel che è. Nel giro di pochi minuti però, sebbene siano molto vicini a noi, non li vediamo più, come non vediamo più nulla che sia a 10 metri dai nostri occhi. 
Siamo nel pieno del temporale scrosciante e violento di cui potrete gustare un assaggio nel video qui a lato. Laschiamo un po' la randa e ci mettiamo in una sorta di cappa filante, avanzando a 3/4 nodi di bolina larga in un caleidoscopio di fulmini. Confido nel tacito accordo che il Dragon Fly tenga la sua rotta senza alcuna modifica, sarebbe sciocco scontrarci in questo grande mare vuoto. Questo momento che non mi auguro mai ma che almeno una volta a stagione mi tocca vivere, dura una mezz'ora d'orologio e 6 ore per il mio orologio interno che fa sembrare ogni esperienza forte più lunga di quel che nella realtà è. 
Finalmente passiamo oltre il muro, il nero è alle spalle, davanti un grigio che per contrasto appare rassicurante.
Il Dragon Fly 35, in fase di sorpasso
Torna la visibilità, si srotola il fiocco, viene cazzata la randa e torna il Dragon fly che ci trotterella vicino e in lampo ci supera allegramente. Giovanni è talmente affascinato da non sentire affatto il bruciore della sconfitta. Da allora a oggi non fa altro che promuovere un cambio barca per un Dragon Fly 35 piedi. Io penso a una goletta o a un ketch con profonda immersione, immagino che potrei accontentarmi di un solido Najad. Alla fine, P'acá y p'allá resta il compromesso ideale tra i nostri due diversi modi di intendere il mare. Per fortuna, perché non potremmo mai permetterci di cambiare barca.
Passaggio di Capo Maleas
L'orizzonte si apre, il vento cala, togliamo le mani di terzaroli e incontriamo il famigerato Capo Maleas nelle condizioni adrenaliniche ma non preoccupanti in cui fino ad ora lo abbiamo sempre trovato. Il mare dietro il capo è calmo, raffiche fresche scendono a spianare l'acqua e ci regalano una fine traversata energizzante ma serena. 
Fine della traversata, verso Elafonissi
Davanti a noi la cala occidentale di Elafonissi, tutta per noi, con un sole che fa capolino e che illumina la lunga spiaggia sabbiosa colore dell'oro. Buttiamo l'ancora nella piscina naturale infinita e ringraziamo il vento che ci ha portato fin qui. Siamo pieni di sale e di acqua piovana, siamo stanchi ma di una stanchezza felice, siamo allegri come chi ha sbagliato giorno ma è stato perdonato.
Guardo a Est e mi accorgo che nella frenesia del momento ho dimenticato di salutare l'Egeo.

Arrivederci mio mare, torno presto.

lunedì 29 settembre 2014

Da Serifos a Ormos Dhespotiko. Sinfonia delle mezze stagioni.

Cielo d'autunno a Ormos Dhespotiko
Capita che la fine di settembre sia, insieme, un caotico ferragosto, un gentile ottobre e un gelido dicembre. Non proprio nello stesso momento, ma magari un giorno dopo l'altro.
E in una settimana verifichi il cambio delle stagioni e la schizofrenia delle mutazioni.
Avevamo un conto in sospeso, a Serifos, e dovevamo assolutamente tornarci per esigere il nostro credito. 
Si chiama Ormos Kedarchos ed è semplicemente una gran bella baia. "Una baia stupenda", l'avrei definita 2 anni fa ma l'aumentare della conoscenza di questo paradiso mi porta purtroppo a rivedere gli aggettivi in senso riduttivo.
È un grave guaio quest'abitudine alla bellezza che sto sperimentando. La nostra "casa" ha i panorami più belli del mondo, ogni giorno diversi. Butto l'ancora e ho un terrazzo turchese, a prua a volte il deserto, a volte una Dolomite, a poppa quasi sempre un orizzonte infinito. Colleziono ogni anno centinaia di perle di un rosario del bello e quasi non me ne accorgo più tanta è la consuetudine a questa meraviglia.  Ne fa le spese lo stupore, che al 4° anno di Egeo, fa capolino ancora ma sempre più raramente. 
In navigazione verso Serifos
Ormos Kedarchos è un'insenatura stretta sulla costa orientale della rotonda isola di Serifos, la prima che incontri se vieni da Nord, la prima che incontriamo facendo rotta da Andros. 2 anni fa, ci andammo prima di lasciare l'isola, dopo averne fatto quasi il periplo venendo da Ovest. Trovammo questo incanto, buttammo l'ancora e ci godemmo lo spettacolo della natura e il silenzio per un paio d'ore. A quel puntò arrivò una flottiglia di 7 barche a vela che si ormeggiarono affiancate, con tanto di cime una all'altra e parabordi. Portarono nell'incanto, il drammatico realismo di una realtà portuale. Resistemmo poco e per il solo gusto dell'orrore, poi salpammo l'ancora e ce ne andammo, grati ancora una volta di quell'enorme libertà che il mare ti riserva. Andammo via, senza rimpianti ma con l'amaro in bocca di una giornata spezzata a metà. (qui il racconto dell'incontro con la flottiglia nel 2012)
La Chora vista dalla barca in porto
Ci torniamo per questo a Kedarchos, la troviamo deserta e recuperiamo  con soddisfazione il maltolto. 
Prima che il vento diventi meridionale, come preannunciato dal meteo, ce ne andiamo a stare un paio di giorni a Kalo Ambeli, la grande baia a sud dell'isola. Qui lo stupore resta intatto, come la prima volta. Entri in acqua, guardi il fondo ed è come tuffarsi nella piscina di Paperon de' Paperoni. Il pulviscolo d'oro nella sabbia abbaglia e allo stesso tempo rinfresca come acqua minerale. 
La stagione è finita, non ci sono più barche in quest'isola che è un punto di snodo fondamentale della rotta da Atene a Milos.
veduta dalla Chora di Serifos
Illusione... Andiamo in porto e inizia un altro film. Talmente diverso da restare attoniti. 
Finiamo esattamente al centro dell'invasione russa. Il molo di Serifos, poco dopo il nostro arrivo, viene preso d'assalto da barche charter con un fattore comune: la bandiera sulla sartia di sinistra, un tricolore bianco blu e rosso. 
Sono arrivati i Russi. 4 parole che dalla dissoluzione dell'Unione sovietica non spaventano più gli anticomunisti ma che oggi hanno un effetto terrorizzante su chiunque vada per mare. La bandiera russa per un armatore suona minacciosa quanto e forse di più della bandiera dei pirati. 
Ci siamo abituati alla rumorosità dei tedeschi, alla spocchia dei francesi, alla prepotenza dei turchi, ma alla pericolosità dei russi al timone non potremo mai abituarci.
Gente di Serifos
Uno pensa:  ci sono una ventina di posti al molo di Serifos, sommando quelli sul versante nord e quello sud, finiti quelli ci sarà la pace. E invece no. Per i Russi, il molo di Serifos è una sorta di albergo a ore. Vanno, vengono, pochi si fermano abbastanza a lungo da non destare sospetti sulla loro nevrosi compulsiva. Comprensibile però, d'altra parte, visto che l'ormeggio che fanno non dà mai prova di essere solido. Nel mentre, offrono uno spettacolo circense che deve essere esilarante per un turista da terra, seduto al tavolino del bar di fronte. Decisamente meno per l'armatore della barca cui il russo si ormeggia a fianco. Noi di altra etnia (noi,  una coppia di svizzeri e  un tedesco), sparpagliati sul molo, abbiamo molto meno da divertirci. 
Abbiamo affittato un motorino mentre eravamo nella fase "Uno pensa..." di cui sopra. Tolto una veloce puntata alla Chora, lo scooter è rimasto parcheggiato alla fine del molo, inutile quanto la spesa di 18 euro. 
Dalla Chora di Serifos
Però, però.
Ogni esperienza è crescita di consapevolezza e di conoscenza. Per esempio, guardando ho imparato che l'imperizia del timoniere è inversamente proporzionale al suo timore. Ho visto manovre folli eseguite a velocità sostenute senza che sul volto del comandante e dell'equipaggio fosse dipinta alcuna preoccupazione. Ho visto mani andare dove non dovrebbero mai e salvarsi, per pura generosità divina, dall'essere schiacciate tra fiancata e fiancata. Ho visto verricelli miracolosi bloccarsi da soli proprio mentre la poppa stava per finire in banchina.
Ho visto cime d'ormeggio calate aggrovigliate nell'acqua e comandanti quasi orgogliosi di averle catturate con l'elica. Con la propria, per fortuna.
La tranquilla plateia di Chora a Serifos
Ho visto, ma soprattutto ho sentito, la barca che all'1 di notte si è spostata dalla tranquilla rada al posto lasciato libero accanto a noi. Per poi ripartire alle 4, solo 3 ore dopo, senza aver attaccato la corrente in banchina, senza aver fatto acqua e senza essere scesi a terra. Ho visto e ho sentito - ma soprattutto mi hanno sentito loro - questa barca arare il fondale della baia fino ad acchiappare la mia catena e portare - alle 4 di mattina - la mia ancora in giro per la cala di Livadi, senza accorgersi di averla arpionata. Ho visto il russo guardare la mia catena appesa alle sue marre, continuando a girare in tondo con uno sguardo in trànce fino al momento dell'idea geniale. La solita idea geniale: il mezzo marinaio di plastica e alluminio che ogni volta viene usato per sollevare un enorme peso in trazione. 
I mulini alla Chora
Ho sentito quel mezzo marinaio lanciare il suo ultimo grido "Ma per chi m'hai preso???" e l'ho visto perdersi nella notte nera dei russi su un charter.
Poi, come quasi sempre, gli dei intervengono e le cose si risolvono. Il russo alza un pollice verso l'alto non tentando di fingere nemmeno con se stesso di avere qualche merito nella liberazione. Il russo va via, io smetto di lanciare insulti in tutte le lingue che conosco e la notte di Serifos torna tranquilla.
Restiamo un paio di giorni e "l'albergo a ore" va a ritmi da grande successo, da boom economico, da traffico cittadino. Guardo il calendario e mi stupisco di leggerci un giorno di fine settembre. È il fenomeno del charterismo di cui parlavo nel precedente post. Arrivano tutti insieme appassionatamente, chissà magari tra due giorni qui non c'è più nessuno. Non si conoscono ma parlano tutti la stessa lingua. Se non fosse uno spettacolo osceno e esageratamente colorato, verrebbe voglia di sentire in sottofondo la colonna sonora del Dottor Zivago.
Lungo la costa occidentale di Sifnos
Con coraggio, o incoscienza, lasciamo la barca a difendersi da sola mentre facciamo una veloce fuga alla Chora. Lì ritroviamo i ritmi del fine stagione e la quiete a calce bianca delle viuzze desolate ci rinfranca della preoccupazione.
Il vento riprende a soffiare da nord e noi muoviamo verso Sifnos, sperando che il fiume di charter sia sulla via del ritorno. Abbiamo davanti 3 giorni di bel tempo e di vento medio, poi è prevista una brutta perturbazione con cambio di vento nel mezzo, quelle situazioni in cui devi individuare un posto sicuro e aspettare che passi. 3 giorni davanti da dedicare a Sifnos prima di andare altrove. Facciamo un bel bordo di lasco a vele piene, poi quando sotto Sifnos rinforza, prendiamo una mano di terzaroli. Ci dice bene e troviamo un'isola nuovamente tranquilla, con un clima da fine stagione e un'acqua qualche grado più fredda ma bella limpida e rinfrescante. Ci ancoriamo nella baia di Vourlidia, a Nord Ovest.  E siamo solo noi. Silenzio, roccia e macchia verde. 
Nei pressi di Vourlidia, Sifnos
È di nuovo il paradiso. E mi ricorda ancora una volta che se vuoi dormire la notte sei sempre più tranquillo in rada che in un porto. Almeno in Grecia, almeno se sai sceglierti le rade meno frequentate e qui in Egeo l'operazione è tutt'altro che difficile anche in pieno agosto.
Il giorno dopo, scendiamo il versante Ovest, sempre a vela, sempre con un bel lasco tranquillo. Diamo un'occhiata al porto di Kamares dove c'è posto all'inglese ma è necessario lasciarlo entro le 9 quando arriverà il traghetto. Ci viene l'intuizione di andare avanti, proseguire oltre Vathi, scapolare l'isoletta di Kitriani e raggiungere Platì Gialos sulla costa sud est dove sappiamo che è stato terminato un porticciolo ben protetto. 
un porto tutto per noi, a Plati Gialos, Sifnos sud est
Ci arriviamo dopo il tramonto e troviamo l'antitesi di Serifos: una bella darsena chiusa, dotata di corpi morti, colonnine con acqua e corrente. Tutto nuovo di zecca. Kostas, l'ormeggiatore, ci informa che il costo è di 15 euro, inclusa acqua, corrente e wi fi. Oltre a noi, una sola barca, il giorno dopo resteremo soli. 
Ecco che, ogni tanto, benedici il costo di ormeggio, il dazio che tiene lontane le barche, almeno quando è così esiguo. L'affollamento di Serifos è dimenticato, qui abbiamo un porto intero tutto per noi.
Platì Gialos è una raffinata località di villeggiatura - Sifnos stessa è un'isola raffinata, si percepisce dalle ville e dai piccoli hotel di charme. Una grande lunga spiaggia orla un filare di taverne e bar. 4 turisti in croce nel fine settembre, tanta pace e quell'atmosfera greca da fine stagione che mi piace tanto.
Negozietti e bar sul lungomare di Platì Gialos
Quella fatta di golf leggero e pantaloni lunghi, quella in cui contempliamo una tovaglia di carta col disegno dell'isola e ricordiamo quante cose abbiamo visto e quante tovaglie così. E elenchiamo le isole di quest'anno, poi quelle degli altri anni. Cominciando a fare un po' di confusione tra isole e anni perché ormai ce ne sono tanti di una e dell'altra cosa. E i programmi futuri. Facciamo lo slalom tra tutto ciò che abbiamo già visto alla ricerca di qualcosa di nuovo. Discutiamo se lasciare Sikinos - unica isola del sud egeo dove non ci siamo fermati- tra quelle da scoprire, abbiamo voglia di andarci ora ma è altrettanto importante amministrare il nuovo per rendere interessante il prossimo viaggio.
Kastro, l'antica cittadella di Sifnos
L'affittamotorini di Platì Gialos è operativo solo in estate e lui stesso ci consiglia di prendere un autobus, raggiungere Apollonia e noleggiarlo lì. È l'ultima bella giornata prima di una perturbazione che, in quel momento pensiamo, metterà definitivamente fine all'estate. Dovremo ricrederci e ancora oggi, mentre scrivo di allora, piacevolmente incastrata in una meravigliosa estate che si protrae a fine ottobre, mi chiedo quanto pagheremo caro questo regalo inusitato dell'autunno. Esistono le mezze stagioni, eccome se esistono. 
Dopo il ferragosto di Serifos, eccoci nell'autunno mite e sorridente di Sifnos, il tempo sembra correre e sono passati solo due giorni. 
Nei vicoli del Kastro
Apollonia è la cittadina principale di Sifnos, vivace e abitata, vitale anche nel fuori stagione, mi dà l'impressione di essere singolarmente operosa. La cittadella antica, il Kastro è 3 chilometri più in basso: un borgo costruito sulle rovine di un'antica acropoli che circonda la cima di una collina a picco sul mare, con vista a 360°. Il candore della calce bianca crea il solito contrasto con le cupole azzurre, dello stesso colore di portoncini ed infissi. Per le piccole viuzze di pietra rifinite a calce c'è il tipico silenzio cicladico, interrotto solo dal vento che si insinua negli angoli e suona una musica tutta sua. 
Kastro, sarcofagi e reperti integrati nelle abitazioni
C'è grande opulenza di reperti antichi nel Kastro, ogni casa ha una stele in marmo, un sarcofago, anfore, parti di capitello, è un vero e proprio sito archeologico abitato. Il museo, che ospita sculture ellenistiche e arcaiche, ceramiche e reperti architettonici, è piccolo, ben tenuto, pulito, essenziale. Come quasi tutti i musei greci, la struttura ospita le opere con umiltà, senza sovrastarle né enfatizzarle. D'altra parte qui non c'è bisogno di enfatizzare nulla. 
Le antiche mura del Kastro (Sifnos)
Andiamo a pranzo nel piccolo borghetto di pescatori di Cherronissos, in un minuscolo fiordo all'estremo nord dell'isola. Poi un veloce passaggio a Kamares, porto e località turistica principale e infine, continuando il giro, ci fermiamo a Chrissopygi, un monastero dedicato alla Vergine Maria e collocato in una meravigliosa location, un piccolo promontorio sul mare, che mi ricorda un po' atmosfere da Sporadi settentrionali.
Sifnos fino a quest'anno era stata un'isola solo di passaggio, per noi. È stato bello riscoprirla, o meglio scoprirla. Trovare un'anima gentile, raffinata, elegante senza per questo essere snob e senza perdere di autenticità. Mi dà l'impressione di essere piacevole anche in alta stagione, scelta da pochi con il comun denominatore della ricerca di quiete. 
Il monastero di Chrissopygi, Sifnos
Le nuvole corrono sull'orizzonte, si moltiplicano, si inseguono e mentre siamo a Chrissopygi diventano una unica coperta grigia.
Sta arrivando. La perturbazione ben annunciata ci sta raggiungendo e noi siamo pronti a scappare.
Dopo una prima colazione, ci facciamo un bel bordo con vento ancora leggero da ovest, che via via diventa sempre più fresco mentre il cielo sopra di noi alterna nubi fitte a nubi sparse di tutti i colori che vanno dal bianco all'antracite.
All'ancora a ridosso di Dhespotiko
La nostra "location burrasca" è estremamente prudenziale. I venti forti con groppi temporaleschi preferiamo sempre incontrarli in rada, con spazio abbondante intorno e la nostra fidata ancora sotto metri e metri di sabbia. L'importante è avere protezione da quasi tutti i venti. 
Ormos Dhespotiko è il braccio di mare incorniciato dall'isoletta omonima e da quella di Antiparos, aperto a nord per poche centinaia di metri da un canale con fondale di un metro e a sud dall'entrata in quello che una volta dentro ti sembra un lago.
Stroboscopico tramonto d'autunno egeo
Ci ancoriamo a ridosso di Dhespotiko, dove l'acqua è più bella, sapendo che dovremo poi spostarci velocemente al momento del giro e rinforzo di vento, sulla sponda opposta davanti al piccolo villaggio di Agios Georghios ad Antiparos. Non sappiamo quando accadrà, sappiamo solo che dovremo muoverci in fretta a qualunque ora succeda. 
Poco dopo cena, eccolo arrivare, senza preavviso. L'anemometro continua la sua corsa fino a 35 nodi, il mare in un attimo si alza di un metro, la catena dell'ancora ci strattona. Siamo nella notte nera, buia come tutte le notti senza luna (ma tanto il cielo l'avrebbe coperta) in un sito pressoché deserto. 
Still life del pescatore
Le due taverne di Ag. Georghios con le loro luci accese ci indicano la via, il difficile è individuare e schivare le barchette dei pescatori ai gavitelli. All'ancora e dotata di torcia cerco di individuare il fondale giusto, ma tanto lo sappiamo già che qui è buono. Ancoriamo, fissiamo il baffo, spegniamo il motore e corriamo sottocoperta in sincronia perfetta con le prime grosse gocce di pioggia che cadono. 
Il primo pensiero di un marinaio che sta per mare da mesi quando cade un violento temporale è un pensiero di felicità: senti quasi addosso quella doccia di acqua dolce che scorre dalla testa del tuo albero giù, fino a lavare abbondantemente tutta la coperta. 
Tramonto a Ormos Dhespotiko
Il secondo pensiero è meno allegro ed è quello che ti fa contare i secondi tra il fulmine e il tuono per capire quanto è caduto vicino. Anche questa è vita in barca, il violento temporale che fa da sfondo alla  malinconia di chi pensa "un'altra stagione se n'è andata" e un rigurgito di coscienza che ci ricorda che casa è lontana e che ora bisogna pensare a un programma, se pur lento, di ritorno.
La chiesetta di Ag. Georghios a Antiparos
Effetti dell'inverno, come fossimo stati colti da un gelido dicembre nel mezzo dell'Egeo. A 1 giorno dall'autunno di Sifnos, a 5 giorni dal ferragosto di Serifos. In quei momenti pensi che non torneranno più il caldo e il clima mite. Ce l'hai con qualcuno ma non sai con chi. Ti senti defraudata del tuo diritto a un'estate perenne, sorpresa e delusa dal fatto che anche quest'anno non si vuole fare un'eccezione per te. Tiri fuori il piumone, lo metti sul letto, cambi il pigiama estivo e metti quello invernale. Prepari la minestrina calda con il formaggino da sciogliere dentro. Tutte azioni consolatorie. Guardi il webasto (il nostro riscaldamento) e pensi, no dai, ancora no ma sai che ci manca poco. 
La perturbazione si allontana a Ormos Dhespotiko
E ti sembra che non debba mai finire, come se una burrasca di ottobre non possa che essere il prologo di quella successiva. Dopo una giornata, il vento inizia a calare un po' e il tender torna a sembrare un adeguato mezzo di sbarco.
C'è poco da fare a Ag Geoghios, se non camminare, sedersi alla taverna, raggiungere la piccola chiesa sul canale nord. Poi camminare lungo la strada nel senso inverso, fino a scorgere il mare di fuori, tornare a vedere le altre isole. 

Che facciamo? si inizia la via del ritorno o si procede ancora  un po' a caso?