giovedì 18 giugno 2015

Quartiere Egeo.

La nostra Grecia di oggi è molto diversa da quella di 5 anni fa. Non la Grecia in quanto tale, lei è immutabile, non cambia, non con i tempi con cui noi umani stressati e sovreccitati registriamo il cambiamento. Ma la "nostra" Grecia, quella sì, è diversa. 
Eravamo in due in questo immenso specchio d'acqua e terre popolato da sconosciuti, ogni barca incontrata era un nuovo incontro, ogni faccia a terra una scoperta.
Oggi, invece, questo mare è un piccolo paese. Cerco di ricordare tutti quegli amici naviganti che "sono di stanza" in Egeo e dintorni e ogni volta che finisco l'elenco mi accorgo di aver dimenticato qualcuno. E ricomincio da capo, come la conta delle pecore prima di dormire, come il gioco che facevo da piccola, declamando a memoria tutti gli stati USA in ordine alfabetico.
Da persona poco ordinata quale sono, non ho una mappa scritta che vada oltre il ricordo, mi piace nella mia nuova vita ricordare le cose a memoria, senza segnarle. Se ricordo il nome della tua barca o di tua moglie non è perché l'ho scritto da qualche parte ma perché ti ho pensato. Se non lo ricordo, non è che non ti ho pensato, è che sono distratta. Di alcuni ho il numero nella rubrica del cellulare greco, di altri in quello italiano, di altri ancora un appunto sul portolano o su un pezzo di carta tra i biglietti da visita della qualunque che tengo nel tavolo di carteggio.
(Sì, una volta ero un manager ma…. Ora lo posso dire, ero un manager geneticamente disordinato e disorganizzato. Eclettico, creativo, intuitivo, forse,  ma sicuramente per nulla metodico. Ebbene sì, cari ex clienti, avete rischiato brutto, ma non ne avevate sentore e ora è acqua passata.)
La memoria manda un piccolo segnale quando passiamo da qualche parte e ci fa pensare "chissà se X, Y e Z sono da qui intorno", si cerca di capire e se non sono lì sono altrove ma, fedeli come noi al mare più bello del mondo, non tradiscono, in qualche piazza di questo quartiere Egeo sono senz'altro o stanno per arrivare, e se invece sono andati via, torneranno.
C'è Alberto con il suo Gaia, lo immaginiamo alle Sporadi ma chissà. Ogni volta che vediamo una spiaggia di sabbia, alziamo lo sguardo per vedere se c'è lui a raccoglier telline. Ci sono Michele e Sabrina che sono sui nostri stessi passi di una settimana fa e hanno l'entusiasmo e la voglia di libertà del mio primo viaggio. C'è Max con cui abbiamo passato una bella serata a bordo di P'acá y p'allá alla fonda a Salamina. Max che ci aveva aspettato in banchina a Corinto e che abbiamo raggiunto poco dopo per un consulto su uno stiramento muscolare alla spalla di Giovanni. La serata con lui e Arturo è di quelle che restano nel diario dell'anima. Paola è dovuta rientrare ma tornerà e se non ci si incontra ora, ci si incontra in Dodecaneso. C'è Filippo a Kilada con il suo swan e quest'anno in qualche modo ci si incontra che mica si può parlare di Grecia solo a Cala Galera. C'è Peter che abbiamo conosciuto a Andros l’anno scorso in autunno e con cui abbiamo fatto pochi giorni fa il passaggio al ponte di Chalkis e un ouzo insieme pochi minuti dopo. C'è Fabrizio con moglie e il piccolo Pietro da qualche parte giù nelle cicladi minori, ci sono Alessandra e Domenico che son partiti 15 giorni dopo di noi ma grazie all'aereo hanno già fatto il doppio di strada. Ci saranno presto anche Carlo e Manu, con un posto speciale nel cuore perché loro, come noi, la barca se la riportano ogni anno a casa, con la fatica che comporta. C'è Gioia con Aldo che arrivano a fine luglio, poi rientrano, poi ritornano e quest'anno ce la faremo a incrociare le rotte. Ci sono Pietro e Luciana che partono a luglio da Cala Galera. C'è Enrico che ha una moglie greca e un figlio nuovo che aspettano lui e il suo Rikky 3 a Glyfada e forse arriva dall'Angola, via Lavagna a mollare gli ormeggi. C'è Roberto con il suo violoncello, uno dei nostri primi incontri di mare, ci siamo sfiorati per un soffio a Crotone e quando arriverà in Egeo noi saremo già troppo a nord. C’è Demetrios, italo greco che vive un po’ in Canada e un po’ a Volos e rimanda la partenza da Oreoi perché ha letto che arriviamo e ci aspetta. C'è Claudio con Monica, per quando sarà estate e saremo a Est. C'è Luigi con Nicla, c'è Antonio con Fiorenza, Leros per noi ha la loro faccia serena, ci incontriamo senz'altro. E poi c'è Salvatore che se non si sbriga ora che arriva alle Sporadi noi saremo tornati a sud. C'è Nicola che ha tradito e passerà un'estate a soffrire di nostalgia per l'Egeo e l'anno prossimo tornerà perché dal mal d'Egeo non si guarisce. C'è Nello che se quest'anno non stacca il cordone ombelicale dello Ionio e non viene in Egeo lo vado a prendere. C'è Benedetto, finalmente in pensione, che conta i giorni per venire ad assaggiare la Grecia. Poi arriverà Ruggiero, Mario, Stefano, ci sarà Ignazio, forse anche Marco Niccolò con la famiglia. C'è la "compagnia dei settantenni" che vuole sapere se siamo dalle parti di Chania a fine giugno e purtroppo no, siamo agli antipodi. E poi, e poi, e poi.
Col mio curriculum di Egeo, ho una discreta attività di consulenza per le rotte degli amici - conosciuti o no, poco importa -  e questo mi tiene informata sui loro spostamenti, mi fa affezionare al loro viaggio, mi fa guardare la meteo anche per loro.
Quanti amici e quanti ne ho dimenticati e tra qualche ora me ne ricorderò così, improvvisamente, sentendomi in colpa, ma la memoria è così, non seleziona solo le cose importanti, a volte le nasconde in un cassetto come si fa con l'ultima tavoletta di cioccolato tanto per sorprenderti poi e regalartela quando hai voglia di qualcosa di dolce.
Insomma, mi è più facile incontrare amici in Egeo oggi che a Roma d'inverno.
E ho citato solo i naviganti, non i locali che sono una certezza stanziale che mette tanti puntini a forma di cuore sulla mappa virtuale della memoria.
Sono rapporti diversi quelli che nascono sul mare: non ci si offende se manchi a un appuntamento, non la si prende come un'affronto personale. Passi da lì ma magari non ti fermi e non c'è bisogno di spiegare perché. Siamo viandanti senza meta e senza obbligo di presenza. Abbiamo una cosa in comune che è il viaggio e un'altra che è l'amore per l'Egeo. Su tutto il resto possiamo pensarla all'opposto ma non importa, semplicemente perché tutto il resto non ha importanza. E se anche fosse, se anche salta fuori qualcosa di stridente, puoi sempre salpare senza neanche dover dire "s'è fatto tardi, domani ho una riunione".

Quando conquisti la libertà ti viene voglia di compagnia. È in quel momento che l'altro acquista un valore, quando sai che è per te tanto essenziale quanto non necessario.

lunedì 15 giugno 2015

Il lago dentro il lago.

P'acá y p'allá all'ancora nella baia ovest di  Zoodokos (Alkionides)
La segnalazione mi arriva da Enrico: "Visto che sei lì, infilati nel golfo di Domvraina, dalle parti di Ormos Vathi, piccoli borghi, psarotaverne da urlo". E perché no? mettiamo un altro giorno qui, prima di passare il canale di Corinto così aspettiamo Max con cui stiamo facendo la staffetta dallo Ionio.
Approfondiamo, visto che l'area non ci è conosciuta. Fino all'Egeo siamo sprovvisti del "vero" portolano, quello di Capitan Elias edito della Eagle Ray: non abbiamo mai comprato quello delle Ionie perché amministrando la spesa a un volume per anno, quando era tempo di quel 4 volume, le conoscevamo già nei dettagli da consentirci questa taccagneria. Il 777 di Raffaello e Mario ho dimenticato di comprarlo per tempo. Resta l'Heikell a bordo, con cui non ho mai avuto un ottimo rapporto.
Il borgo di Agios Ioannou nel golfo di Domvraina
"Vediamo se c'è stato", mi dico. E concludo che c'è stato perché la descrizione sembra precisa: individuo il borgo di Ag. Ioannou come la mia meta dopo aver letto di  "due ancoraggi possibili nel braccio NW su fondo di sabbia 5-10 metri, o in quello NE 6-10 metri".
Chissà dove è stato.... a 10 metri da riva il fondale è ancora di 20 metri, il golfetto non ha propriamente quelle che si possono definire due braccia, una devono avergliela amputata. È invece un profondo fiordo in cui dare fondo all'ancora è una strana ambizione. Facciamo per girare la prua, quando vediamo un uomo uscire di corsa dalla sua casa e indicarci un gavitello  fatto di due taniche, facendoci segno che possiamo usarlo tranquillamente. E siamo nel mondo delle fiabe. Poco dopo di noi, arriva una bella barca in legno che dopo un po' di ripensamenti va a prendere l'altro gavitello più vicino alla riva.
Il vento è una brezza gentile, il cielo di quei colori da acquerello di Turner tipico delle giornate instabili, fa fresco, l'estate sembra lontana.
Alla taverna Psaropoula
Scendiamo a terra e facciamo il giro della casetta alla ricerca dell'insegna che ci confermi che si tratta di una taverna. 
È ben nascosto e assolutamente non rivolto al mare, quel cartello "Taverna Psaropoula" , ma i 10 tavolini sotto il pergolato erano già  il chiaro segno che non si trattava di una unità residenziale in cui vive una famiglia a cui piace mangiare su tanti tavoli separati.
"Certo che siamo aperti per cena, quando volete, siamo qui" e ci fa vedere il menù semplice, corredato da fotografie. Calamari, gamberi, sardine, polpi, sgombri affumicati. Di pesce bianco oggi niente, mi dice il gestore indicando il largo e scuotendo la testa. È lui, quello che ci aveva offerto il gavitello e ora si spiega tutto, secondo l'antica regola greca del "falli stare a loro agio e poi offrigli i tuoi servigi", quella ricetta di economia per cui, crisi o non crisi, almeno per mare, i Greci hanno già vinto.
Il fiordo di Ag. Ioannou
Scendono a terra anche gli austriaci del ketch di legno, da terra arriva un'intera famiglia greca colorata e allegramente rumorosa che sale su un barchino decisamente troppo piccolo per la quantità di persone e prende il largo per un bagno al tramonto dopo una giornata di lavoro e studi.
Mi siedo sulla panchina e guardo l'orizzonte chiuso dalle pareti del fiordo, salgo dieci metri sulla roccia e il guardo si apre fino a mostrare un nuovo orizzonte chiuso, quello di Domvraina. Dietro di esso c'è ne è un altro, un poco più ampio, quello del Golfo di Corinto.
Il mare è lago, dentro un lago, dentro un lago.
Un gioco di matrioske che rimbalza le luci, le ombre, i suoni e i colori. Un incastro unico e suggestivo dove il perdersi tra le terre esalta la sensazione di essere per mare.
Si fa sera e andiamo a cena. Noi, gli austriaci accanto e la famiglia greca tornata dalla gita.
Respiro l'aria familiare di tanti posti già visti, registrando l'unicum di questo singolo borgo. Con la stranezza data dalla meteo di confondere l'inizio stagione con il fine stagione, con la differenza che stavolta il giorno non finisce mai e quelle luci basse e quei colori rallentano e ritardano il loro spegnersi, quasi volessero fermarsi a cena anche loro.
Lo stretto tra Zoodokos e Daskalio (Alkionides) praticabile solo da nord
Il gestore è contento, mi indica i corpi morti e capisco che li ha messi da poco. Dice che domattina ne mette altri due. Io credo che debba tutto a Heikell, quest'uomo. Lo immagino aver visto ogni giorno barche arrivare fin quasi la riva con occhio speranzoso all'ecoscandaglio, naviganti fiduciosi alla ricerca di quel fondale di 5 metri  su sabbia che lì non c'è mai stato. Poi li vede delusi voltare la prua altrove e allora guarda sua moglie e dice "Ma se gli mettiamo un paio di corpi morti? Vuoi vedere che si fermano? In fondo, che ci vuole? Domani ci mando Spiros dopo la scuola".
Non so se qui è accaduto così, magari questi corpi morti sono qui da decenni e io ho immaginato male (non chiedetelo ad Heikell, comunque) ma sono convinta che sia questo lo spirito commerciale dei Greci. Laddove tu ti fermi, loro ti costruiscono accoglienza intorno. Un eucalipto, un tavolino, 4 sedie e una tovaglia di carta. E visto che dove si mangia in 5 si mangia anche in 10, basta abbondare con le dosi e la cena familiare diventa una taverna.
Il monastero abbandonato a Nisos Zoodokos
Il giorno dopo usciamo dal terzo girone del lago e poi dal secondo ma sempre nel lago restiamo.
Siamo alle isole Alkionides, ancoraggio classico per chi si predispone a passare il canale di Corinto arrivando da Ovest. Sono 3 piccole isolette messe a triangolo tra loro, ci ancoriamo proprio sotto il monastero abbandonato di Zoodokos oggi occupato da una famiglia di gabbiani piuttosto rumorosa e determinata a non mollare l'alloggio. Siamo davanti alla spiaggia con un piccolo convento, anch'esso abbandonato. Dietro la cappella del convento, due tombe, probabilmente degli ultimi monaci che sono stati lì. Ora il sito è in ristrutturazione: betoniere, sacchi di cemento, tubi innocenti poggiati lì, ma potrebbero essere lì da decenni.
Un piccolo convento sulla spiaggia di Zoodokos
Siamo soli, finché non ci raggiunge l'austriaco sul suo legno e un bellissimo sweden yacht 45 battente bandiera del principato di Monaco. C'è una quiete assoluta, preambolo coerente di ciò che troveremo domani nel canale di Corinto: nessuna attesa e solo 3 barche. Sembra che abbiamo davanti una Grecia ancor più tranquilla del solito. Non ci dispiace, d'altra parte in fondo in fondo al cuore, vorremmo che fosse solo nostra. 

venerdì 12 giugno 2015

L'ombelico del mondo.

Chi ha pensato a Jovanotti è pregato di cambiare letture, chi ha pensato a casa sua è in qualche modo perdonato, vuoi anche solo per la tenerezza che smuove qualunque campanilismo che nasce dall'affetto e non dalla protervia.
Però gli antichi Dei decisero che il centro del mondo era un pezzetto di terra molto particolare che è oggi conosciuta come l'antica Delfi. E qui, a casa loro - ma sempre più penso che non lo farei neanche altrove - mai mi sognerei di contraddire gli Dei.
Il tesoro degli Ateniesi a Delfi
Come sempre c'è di mezzo Zeus che un giorno prese due aquile (o due cigni, la cosa non è chiara, anche se faccio fatica a capire come si possa confondere un'aquila con un cigno. Alcuni, dotati di particolare fantasia, riferiscono addirittura di due cervi. Diciamo due aquile, va', che è meglio), le fece partire dai due estremi est e ovest del mondo e i pennuti si incontrarono proprio nel mezzo del Golfo di Corinto, si incrociarono  e fecero un 8 orizzontale, ∞ simbolo dell'infinito. 
E quel punto di intersezione, Zeus decise, era il centro del mondo. Fossimo persone concrete, dovremmo eccepire che si erano sottovalutati fattori come vento, velocità specifica dei due animali,  rotta, distrazioni lungo il percorso etc. etc. Ma non siamo persone concrete se no non staremo qui a scrivere di Zeus.
"Rion Traffic, Rion Traffic, Rion Traffic, this is P'acá y p'allá. Over"
Per la quinta volta passiamo sotto il ponte di Patrasso e navighiamo lungo il Golfo di Corinto. Corriamo sempre veloci lungo questo lago suggestivo e emozionante, facendo solo poche soste perché l'Egeo chiama prepotente e noi, incuranti di avere davanti un'intera stagione, ci diciamo reciprocamente "siamo in ritardo"
Stavolta, per la prima volta, il vento ci frena, soffia da Est e ci costringe a una bolina stretta invece della classica poppa con cui, in qualsiasi direzione lo abbiamo percorso, abbiamo sempre visto questo mare che sembra un lago.
Al quinto passaggio, un'escursione a Delfi è più che obbligatoria. Siamo tentati dalla "Marina" di Itea, la base più vicina a Delfi, ma l'impressione dalle carte è che si tratti di un porto abbandonato e desolato, luogo in cui ti senti poco tranquillo a lasciare da sola la barca. Inoltre, leggiamo che con vento forte da NW, sulla cittadina di Itea piove polvere di ferro che arriva dalla vicina cava di ematite rossa. Chiunque abbia una barca sa che la polvere di ferro non le fa bene. 
Il tranquillo borgo di Galaxidi, uno dei più belli del Golfo.
Tira vento, ripieghiamo su Galaxidi, borgo splendido poco distante, che già conosciamo bene. A prenderci le cime, come sempre, c'è Athanasis, sempre più magro e sempre più alcolizzato. Ci accoglie urlando "Forza Italia" e insiste per dettarmi nuovamente tutti i numeri di telefono a cui posso reperirlo, caso mai ne sentissi il bisogno. È, come ogni volta, un dettato lunghissimo in cui trova spazio anche il numero di sua sorella, quello di suo nipote, dell'amico vicino di casa e chissà chi altro. A nulla vale ripetergli che li ho già, me li ha già dati. "Scrivi, Francesca" mi impone e io scrivo.
Ormeggio gratuito, acqua e corrente inclusi: ecco la Grecia.
L'autobus da Galaxidi porta a Itea, L'attesa di 20 minuti della coincidenza per Delfi ci permette di dare un'occhiata all'approdo e rivedere il nostro pregiudizio. È la tipica "Marina mai finita", una consuetudine greca dei buoni propositi a cui poi mancano i finanziamenti. Con le colonnine che non erogano nulla, i corpi morti che un giorno verranno, uffici non terminati e desolatamente vuoti. Ma l'approdo è molto tranquillo, proprio di fronte a un bel lungomare, ci si ormeggia all'inglese e il tragitto per Delfi si dimezza. Certo non ha il fascino di  Galaxidi ma ha bei negozi forniti e oggi, con brezza gentile, della polvere di ferro non v'è traccia.
Il tempio di Apollo
Mentre in bus percorriamo un nastro d'asfalto che si srotola e si arrampica in questo scenario splendido e tortuoso che è il centro del mondo, mi soffermo a pensare a Zeus, a ricordare come mai era diventato così importante. Penso a lui e all'ombelico del mondo.
Bisogna dire che, aquile o non aquile, il centro della mondo se l'era scelto bene: sono stupefatta dalla fertilità della terra, la strada si inerpica sulle montagne lasciando sotto di noi una vallata enorme coltivata a uliveti interrotta solo a tratti da brevi filari di cipressi. Mai vista una distesa così imponente di uliveto.  La terra rossa ben curata e le piante nodose, grandi, ricche di fogliame, possenti. Ma soprattutto tante, tantissime, a perdita d'occhio.  Un canale d'acqua corre lungo la strada per tutto il dislivello di 500 metri, serve anche a irrigare i campi. Dall'alto l'enorme distesa di ulivi sembra una immensa prateria verde, mi tornano in mente le piantagioni di tè viste in Sri Lanka.
La sfinge, dono dei Naxiani, al museo archeologico di Delfi
Tornando a Zeus....Buffa stirpe la sua, accidiosi e permalosi. Penso a suo padre Crono, tipetto antipatico anche se bisogna riconoscergli che è a lui che si deve la venuta al mondo di Afrodite, quando il piccolo Crono evirò il padre Urano e gettò i suoi attributi nel mare vicino a Citera. E da quelli nacque la dea della bellezza, orfana di madre già dal concepimento.
Urano fu sconfitto e da allora c'è quello spazio vitale tra il cielo e la terra che è, diciamolo, abbastanza importante per tutti noi.
Era però abitudine di questi Dei non subire un torto porgendo l'altra guancia, di solito la risposta migliore era una profezia: "Hai tradito tuo padre, affari tuoi, uno dei tuoi figli ti tradirà e ti toglierà il potere che ora ti arroghi". Tié, zeppa e porta a casa.
"Ah sì?" Rispose Crono "M'hai provocato? E io me li magno!"
E fu così che ogni volta che la povera Rea, sua moglie, gli metteva in grembo un neonato appena generato, Crono se lo mangiava con tutte le fasce.
Lo stadio, qui si correvano i 200 metri  ma erano 178.
A un certo punto della progenie, però, Rea si fece astuta: con tutta la fatica che faceva a portare avanti quelle gravidanze non è che poteva accettare così la totale inutilità del suo lavoro, ecco quindi che alla nascita del piccolo Zeus, lo nascose e diede in pasto al famelico marito una pietra avvolta nelle fasce. Crono si mangiò pure la pietra e parve non accorgersi minimamente della differenza ("un po' coriaceo, cara, ma sempre una prelibatezza").
Inutile dirlo, la profezia si avvera, Zeus cresce in un battibaleno e destituisce Crono dal trono, prendendo il suo posto come Re degli Dei e facendogli pure vomitare tutti i fratelli che si era mangiato prima, nell'ordine con cui se li era mangiati (I processi digestivi non erano ancora così chiari a quei tempi). Dopo una mezza dozzina di Dei, ecco arrivare la pietra. Ed è proprio quella pietra che, si dice, Zeus posizionò dove oggi è Delfi, nel punto di intersezione delle aquile. O dei cigni, o dei cervi. 
Il museo archeologico di Delfi, con l'omphalós in primo piano.
Guarda un po', questa pietra dalla forma di uovo un po' allungato, si chiama Omphalós, ombelico appunto.
Ed è proprio su un tripode sopra all'omphalós di Delfi che la Pizia investita dal fiato degli dei, proferiva parole senza senso che venivano poi interpretate in profezie, ovvero tutte quelle cose con cui gli Dei si divertivano a prendere in giro gli umani di allora e a far fare loro esattamente quello che volevano.
Mentre camminiamo verso le rovine del tempio di Apollo, penso a quanti mi rimproverano il descrivere il mare della Grecia come il paradiso del mondo nautico. Coloro che decantano le meraviglie di atolli caraibici parlando di vegetazione, fauna marina, colori del mare. "In fondo la Grecia cosa ha di più?" mi dicono, "nulla, 4 pietre rovinate in un Paese mal gestito e afflitto dal vento".
Uccideteli. No, davvero, impanateli nella sabbia dei caraibi, fategli una bella collana di fiori, mettetegli in mano un cocktail molto colorato e poi, per favore, dategli il colpo di grazia.
Ci sono ettolitri e ettolitri di mare in questo grande pianeta, è vero.alcuni li ho visti, altri ne vedrò e altri ancora non li vedrò mai perché "tutto" non fa per me, non mi è necessario. Ma non si può non capire che navigare nel mediterraneo ha un altro senso, qui non c'è solo sale e natura, c'è la storia dell'umanità.
"4 pietre" a Delfi
Delfi è quelle "4 pietre", davvero 4 se paragonate a quel che doveva essere prima. Ma che pietre, che meravigliose, ordinate, scolpite pietre.
Il santuario di Apollo in origine era roba artigianale, una capanna in pratica, assolutamente non degna di diventare un luogo di culto come poi nei secoli e nei millenni divenne Delfi. Ma Apollo contattò due bravi operai, li fece lavorare e questi al termine dei lavori chiesero una piccola ricompensa. "Fate voi, dotto', al vostro buon cuore", gli dissero quando il Dio chiese che cosa desiderassero, specificando solo che magari sarebbe stato carino ricompensarli con la cosa migliore che potesse capitare loro. Detto, fatto. Apollo gli disse che avrebbero avuto entro un paio di giorni quello che desideravano e all'alba del 3° giorno i due vennero ritrovati morti. Discreta ironia, il dio della luce, eh?
Comunque, a quel punto partì il business delle profezie, le Pizie inspiravano l'afflato divino che veniva dal centro della terra, deliravano e i sacerdoti di Apollo traducevano il tutto in responsi per gli umani. Le Pizie erano anche dette Sibille, (da sios=Dio, bolla=volontà) e i loro deliri erano a volte particolarmente sibillini, ovvero potevano essere interpretati in varie maniere. Per questo, le profezie si avveravano anche quando sembrava non si avverassero. Una furbizia divina che somiglia molto all'esito delle odierne elezioni politiche: tutti vincono anche quando perdono.
Il tempio di Atena Pronaia
Fatto sta che l'oracolo di Delfi teneva in mano le sorti del mondo e non c'era condottiero, eroe o re che non vi facesse ricorso portando ovviamente in dono qualche altra pietra, come direbbero i fan dei Caraibi. E di fronte al tempio di Apollo, al di là dell'odierna strada, c'è il tempio di Atena Pronaia, anche qui "4 pietre" ma messe ad arte.

Quel che colpisce comunque di questo luogo sacro, oltre al fatto che quelle 4 pietre son state messe lì a partire dall'8° millennio AC, oltre all'aura di mistero e di sacralità, oltre all'imponenza del teatro, è il contesto in cui il tutto è inserito. E' come se la terra si chiudesse a spirale intorno a Delfi. Il santuario è posto proprio nel punto della zona da cui il mare non si vede più. Sembra davvero di essere al centro del mondo e forse è proprio così.