martedì 28 maggio 2013

4 giorni da sola in barca. Anche conosciuti come "il terrore di P'acá y p'allá"

Il meteo resta ostile, indifferente ai nostri programmi. "La Grecia quest'anno ci respinge" dice Giovanni. Ma lui non sa che non è così, la Grecia è casa e non può respingerci. No, sono i veleni locali che ci ostacolano, accumulati in inutili mesi in patria. Roba malsana che ti si appiccica addosso in una vita che non è più tua e che pretende di giudicarti. Perché gli italiani giudicano. Mai come ora, che ho staccato la spina con questo Paese, mi accorgo dell'attitudine tutta italiana a esprimere sempre spietate valutazioni. Con quella odiosa sicurezza di sé, di sapere prima, di aver previsto tutto. Ok, non ho mai sopportato il vizio dell'anti-italianità e ora me ne macchio io per prima. Ma io per prima, ero così. Abbiamo fretta di giudicare, per far vedere che sappiamo, abbiamo bisogno di bocciare per sentirci promossi a pieni voti. E abbiamo perso la curiosità delle differenze, trincerandoci dietro i luoghi comuni e le rassicuranti banali somiglianze.
Alla spasmodica ricerca di un'accettazione sociale che si muove su parametri ben definiti. Io per prima, forse, ero così. Io per prima lo sarei ancora oggi se il sistema non mi avesse espulso e violentemente collocato altrove. Spero che questo ammorbidisca le mie affermazioni, almeno in parte. 
Mi viene da ridere, ora. Che guaio raccontare senza saper raccontare. Il mio sproloquio qui sopra non c'entra nulla con quello di cui volevo parlarvi oggi. Mi fermo e penso "E ora come lo collego?". Uno scrittore saprebbe farlo. Io posso solo sperare che un punto e a capo risolva dignitosamente la situazione.
Punto e a capo.
Il meteo resta ostile. Che si fa? Siamo ormai nomadi, senza posto barca, più lontani del solito dalla meta finale. Stare in porto a Macinaggio ci costa 51 euro al giorno, meno che in molti posti italiani ma sempre di più di quanto possiamo permetterci. Ci sarebbe il nostro posto a scrocco a Cala Galera ma ci secca di chiedere se c'è ancora. Il generoso cugino ha aspettato che partissimo per mettere la barca a mare, ma ora o l'ha già messa o la sta per varare. Non se ne parla, non s'ha da fare. Due le possibilità: rientrare verso il litorale italico e fare tappe brevi nelle finestre di meteo migliori, oppure fare la stessa cosa scendendo Corsica e Sardegna per poi traversare su Trapani, Sicilia Meridionale e via. Questa seconda opzione prevede 100 miglia in più e la traversata del Canale di Sardegna (140 miglia) in condizioni di forte instabilità.
Scegliamo la prima. Torniamo al porto dove siamo nati. La navigazione da Macinaggio è splendida. Il 30 nodi si stempera poco fuori dal porto e si assesta veloce sui 10-12 nodi. Paquita con la pancia pulita, letteralmente vola ad una velocità media di 8,5 nodi. Un unico bordo di bolina larga, con piccolo gancio per scapolare Pianosa, e in 11 ore siamo al Porto di Porto Santo Stefano. Dove fino a pochi mesi fa, eravamo regolari locatari di posto barca. Pagavamo per 12 mesi e ne sfruttavamo a dir tanto 5 nei mesi invernali. Chissà magari ci fanno lo sconto. Neanche per idea, listino alla mano sono 42 euro al giorno. Si può fare, dai. E così ripassiamo dal via anche se nessuno sembra volerci dare le 20.000 lire previste dal Monopoli. Se l'equipaggio fosse rimasto al completo saremmo rimasti in rada, all'Argentario ti sposti facilmente con il cambio dei venti ma, visto che il meteo è ostile, valutiamo che sia il caso che il Capitano ottimizzi i tempi morti, aiutando il suo socio in un servizio fotografico a Sanremo. 
 Paquita in mano mia, vuol dire posto barca con ormeggi ben rinforzati. Giovanni è preoccupato, non capisco perché. Per quanto siano previste libecciate, non saranno peggiori di quelle passate quest'inverno quando P'acá y p'allá restava sola in porto mentre noi perdevamo tempo a sentirci romani. "Si ma stavolta ci sei a bordo tu",  dice lui. Esagerato, sarò distratta, è vero ma che guai vuoi che possa fare?
Mi entusiasmo. 4 giorni da sola con la mia barca. Quante cose abbiamo da dirci, quanta complicità da creare. E quante cose da fare. Voglio lavorare con le mani, pulire, riparare, modificare. Preparo mentalmente una lista (le liste scritte mi inquietano, sono antipatiche e impongono una disciplina).
L'infida spugnetta (ora nel cassonetto)
Compito n. 1.
Durante il lavaggio della carena, complice il ventone di Macinaggio, i quattro osteriggi della barca si sono puntinati di materiale sporco/resinoso. Il compito è eliminare questo effetto puntinato che ricorda la faccia di Jérôme a fine lavoro. Con il mio consueto ottimismo e una dose di energia entusiasta, mi reco sul ponte, armata di spugnetta morbida e shampetto leggero. Nulla… Sporco resinoso batte spugnetta morbida 10 a 0. Ok, ho tante spugne, le passo in rassegna. Provo con la 3m bianca, miracolosa sulle macchie sul gelcoat ma, anche qui, si conclude con un 10 a 0 per il vincitore uscente.
Alla fine trovo, ancora ben cellophanata, la classica spugna verde sottile e abrasiva, quella per cui la mamma dice sempre "Mai usare sulle padelle in teflon". Lo so bene che non va assolutamente usata sul gelcoat o sul plexiglass, lo so benissimo. Però - storicamente- quello che so, di rado ha la meglio su quello che sento sul momento. E quel che sento sul momento, guardando ora l'osteriggio, ora l'infida spugna verde, è che l'osteriggio è decisamente più forte e duro della sua antagonista. Un velocissimo segnale di allarme balena nella mia stanza del buon senso da troppo tempo chiusa a chiave: "cosa diavolo ci fa a bordo una cosa verde???" E questo non lo dico perché, come tutti sappiamo, il verde a bordo porta male. No, lo dico perché estremamente convinta che il verde porti male ovunque. Se non volete che faccia di nascosto scongiuri, quando ci incontriamo, evitate di indossare vistosamente qualcosa di verde.
Visto che sono una ragazza prudente, decido di provare l'infida spugna su un piccolo angolo di osteriggio, tanto per essere sicuri che non graffi. Così faccio, sfrego con forza media, poi aumento e vedo che funziona, il puntinato scompare. Sciacquo e il plexiglass è liscio e pulito senza ombra di graffi. Felice di aver sfatato il mito della spugnetta abrasiva, mi dedico con grande energia a sfregare 3 osteriggi su 4. Il 4° si salva per la mia imperitura tendenza a lasciare sempre i lavori incompiuti. Resterà lì a far da paragone con gli altri per permettermi di valutare bene il danno. Felice e soddisfatta, finisco di sciacquare il ponte e mi regalo una bella birra gelata.
Osteriggio dopo pulizia con spugnetta verde
Oh oh….. Gli osteriggi asciugano sotto il sole impietoso e rivelano ciò che da bagnati celavano. Un precisissimo e uniforme reticolo di graffi infinitesimali. (Avevo fatto un lavoro minuzioso, quindi neanche un centimetro di plexiglass si è salvato da questo effetto abrasivo). Li bagno di nuovo e tornano perfetti. Poi asciugano e il disastro si appalesa di nuovo. Medito sulla possibilità di innaffiare in modalità costante il ponte ma capisco subito che non è la soluzione. Scendo sottocoperta per trovare conforto, magari da dentro non si nota. Le cose sono due: o io ho istantaneamente perso 8 diottrie da entrambi gli occhi oppure il danno è davvero grave. È un effetto fumo di londra inquietante. Per un momento spero che il tempo sia cambiato, che una nebbia improvvisa da "Cime Tempestose" abbia raggiunto il porto e ci abbia avvolti in modo temporaneo. Corro fuori, non c'è Heathcliff. Niente da fare, il sole splende su Paquita, i colori ci sono tutti. Il 4 osteriggio miracolato permette un confronto senza possibilità di appello: ho fatto un bel guaio…
Giovanni, nella sua beata ignoranza, telefona "Sei riuscita a eliminare lo sporco dagli osteriggi?". Ah sì, quello sicuramente è andato via, confermo laconicamente. Ci sarà tempo per confessare.
"Non perdiamoci d'animo" mi dico, perdendomi d'animo. Ci sarà una soluzione, no?
Internet, forum nautici, anche forum di motociclisti. Pasta abrasiva, si chiama la soluzione. Ce l'ho! Provo con batuffolo di cotone a fregare con forza etti di Iosso, pasta abrasiva fine. Poi lucido con panno di lana. Poi sciacquo con acqua e sapone. Risultato: miglioramento del 5%, nessun ulteriore danno. Scendo sottocoperta e faccio foto di confronto che conferma il miglioramento innalzandolo al 7%, non di più. Fuori c'è sempre Londra e il fantasma di Belfagor.
Ok, prendo la macchina, vado a Cala Galera a chiedere consigli. Mi preparo il discorsetto della serie "Francesca, non c'è bisogno che ti sputtani da sola raccontando che hai fatto. Limitati a dire che vuoi togliere dei graffi dal plexiglass, non  dichiarare il colpevole". Arrivo e incontro Filippo, mi dimentico il discorsetto e confesso tutto.
Filippo è praticamente il mio gemello. Stessa barca, sorella di P'acá y p'allá, nato il mio stesso giorno, abbiamo scoperto che i nostri padri hanno lavorato per 40 anni nello stesso ufficio. Non basta, anche Filippo è un ex manager d'azienda che ha detto "Basta" e si è felicemente estromesso dal sistema. Unica differenza: lui tenta di darsi da fare reinventandosi un lavoro, vuoi perché ha due figlie in età scolare, vuoi perché forse ha una camera del buon senso ancora non ermeticamente chiusa. 
Solidale, come solo chi ha la tua stessa barca può essere, prende a cuore il problema e mi accompagna dagli esperti in un giro di ricognizione. Dice di non intendersene di manutenzione ma sicuramente qualcosa più di me (forse parecchio) ne sa. Il verdetto degli esperti è unanime: l'unica è la pasta abrasiva con molto olio di gomito e provata a più riprese. Può migliorare oppure no, dipende dal danno. In ultima analisi c'è la sostituzione delle lastre di Plexiglass che, visti i prezzi, immagino la Grand Soleil trafili all'oro zecchino.
Un po' scoraggiati (ormai Filippo è partecipe del problema) acquistiamo pasta abrasiva a grana grossa. Prima di uscire, Filippo mi suggerisce di prendere anche un foglio di carta vetrata 2000 da usare rigorosamente bagnata con acqua. "Non l'ho mai fatto e non me ne intendo" mi ripete "ma, abrasiva è abrasiva. Magari prova su un angolo piccolo e…. aspetta di vedere il risultato da asciutto prima di procedere".
Pasta abrasiva
Torno a bordo e affronto il mostro con rinnovato ottimismo. Metto via la carta vetrata (ci manca solo che mi metta a scartavetrare poi tanto vale che vada sui monti a cercare le caprette che fanno ciao).
Metto bene lo scotch sulle guarnizioni, batuffolo di cotone e pasta abrasiva e tutta la forza che ho. Panno di lana con la forza che rimane. Poi sciacquo e non canto vittoria, ho imparato a aspettare. Dalle barche vicine, marinai nullafacenti mi guardano perplessi. Il miglioramento arriva al 20% ma si capisce che oltre quello non va. La sera scende e il fumo di Londra è ancora più netto. Il confronto col 4° (bastardo) osteriggio, ridacchiante e semplicemente sporco, resta impietoso.
Mando una foto a Filippo che molto generosamente mi dice che sono sulla buona strada, secondo lui. Ma non è così, lo so, è chiaro che in questo modo non vado lontano.
Dopo pasta abrasiva a grana grossa
Guardo la carta vetrata per un po'. Che danno potrei ancora fare? Provo su un pezzettino piccolo dell'osteriggio più piccolo. Sciacquo e mi dico "qualunque sia il risultato, luciderò domani". Oh oh, ora l'oblò non è più uniformemente rigato e appannato, è quasi uniformemente rigato e appannato, perché una piccola parte è decisamente più appannata. Da sottocoperta, oltre quel punto abrasato con carta 2000 non c'è più Londra, c'è l'oblio, il nulla, la nebbia fitta.
Come Rossella, mi dico "Domani è un altro giorno", chiedo scusa a Paquita, mi mortifico con un'orribile avanzo di spaghetto freddo e una birra semi calda e mi chiedo quale ingrediente manchi al mio cervello. Prima di trovare le risposte che evidentemente non posso trovare, vado a dormire.
Suspense: dopo carta vetrata 2000
Ma oggi è un'altro giorno. Mi sveglio con la sensazione che risolverò il problema. Bando agli indugi, prendo la lucidatrice, perché quando il gioco si fa duro servono le armi pesanti. Rimetto lo scotch di carta sulle guarnizioni dell'oblò torturato, pasta abrasiva fine e via a lucidare.
Miracolo. Funziona.
Il cielo è nero ma sembra che qualcosa, stia dicendo alla pioggia "aspetta un po', dai lasciamo finire sta disgraziata". Prima del caffè del buongiorno, ho risolto più che brillantemente la situazione. Non ho forzato troppo, né con la carta vetrata (forse va bene pure a grana più grossa, chissà…), né con la lucidatrice ma il risultato è un buon 95%. 
Lavoro finito!
Scendo sottocoperta: Londra è tornata a Londra, i colori ci sono tutti, le mie diottrie son tornate indietro. Faccio il gesto dell'ombrello al 4° osteriggio che, per quanto mi riguarda, può tenersi il puntinato resinoso, col cavolo che ci rimetto le mani.
"Chi non fa, non sbaglia" mi hanno detto i più generosi ieri sul forum di Slow Sail.
Che soddisfazione, molto meglio che fare reclàme!

Ho ancora 2 giorni da sola a bordo di Paquita, che dite? Meglio che mi limiti a scrivere?

sabato 25 maggio 2013

Macinaggio. tra cantiere, notti in albergo e burrasche che sembrano non finire.

Messieur Berry, proprietario della Corsica Voile,  è il classico burbero. Sorride poco e parla anche meno. Ma si dà da fare e pure parecchio. Comanda, con autorevolezza e malcelato affetto, una piccola schiera di persone specializzate. 
La signora Annie è il volto gentile di Berry, il contatto con il cliente. Raffinata e affabile, madàme Annie sta nel suo ufficio/ship chandler e sembra una rappresentante di ambasciata. Gentile e accogliente quasi che, invece che in un cantiere, ti stesse ricevendo in un castello. 
Jérôme si occupa della nostra barca, dal lavaggio, alle piccole stuccature, alla carteggiatura, all'antivegetativa. Per metà tempo lavora al cantiere, l'altra metà è skipper di un catamarano da 48 piedi, il Bella Vita, su cui abita. Ci consiglia e lo seguiamo, perché ha la faccia di chi dice sempre la verità. Continuiamo quindi con la Micron Extra dell'International, scegliamo il nero che è più efficace del bianco e anche del blu navy, lasciamo l'elica a nudo. 
Stiamo lì a guardare e nessuno si infastidisce, sanno cosa fare e non ti chiedono nulla più del necessario. Si capisce che non apprezzano il lavoro di chi li ha preceduti ma non dicono nulla, né si vantano di saper fare meglio. 
Il secondo giorno, Jérôme, che parla un perfetto italiano, ci guarda contrito, con la sua faccia a puntini neri di Micron Extra. Si scusa di non aver pensato subito di offrirci la sua macchina e lo fa in quel momento, così come ce lo ripete oggi che la nostra barca ha finito i lavori ed è ancora qui in porto solo per aspettare che passi la libecciata. Rifiutiamo, si vede che la macchina gli serve, corre da una parte all'altra del porto come chi sa che le ore buone sono poche e bisogna farle fruttare. 
Eugenìe, invece, vorremmo non averla conosciuta…. Nulla di personale ma, se non fosse arrivata quella raffica improvvisa quando eravamo nella vasca d'alaggio, non avremmo fatto fare quel brutto graffio sulla fiancata sinistra di P'acá y p'allá e non avremmo avuto bisogno di conoscerla. 
Alle raffiche laterali in retromarcia, Paquita reagisce male: si imbizzarrisce, scappa di prua e sempre in una direzione non consona. Basterebbe un colpo di elica di prua, certo…. se si avesse l'elica di prua. Ci ho provato a fermare l'impatto con il parabordo e in parte è servito, ho tentato pure quella pericolosa manovra che si insegna anche ai piccoli a non fare mai: "mai mettere i tuoi arti tra la barca e la banchina!"
Ma chi ci pensa alle regole quando Paquita è in pericolo?Anche questo, in parte, è servito a limitare il danno ma non del tutto.  Comunque io ho ancora tutti e 4 gli arti e neanche un graffio.
Nel dolore dell'incidente, Eugénie è una bellissima scoperta. Una ragazza di circa 25 anni, bionda con i dreadlocks. Una reinterpretazione in chiave rasta della Venere botticelliana. Giovanni, a questa definizione, ride. Non mi riferisco alla sua avvenenza ma a una certa delicatezza dei tratti in contrasto con il suo look. Quando si muove per il cantiere ricorda un'attrezzista da set; quando è all'opera, una restauratrice di affreschi. Scopriremo in lei un'artista del gelcoat.  
Il compito è arduo perché non abbiamo con noi il gelcoat specifico e indovinare il bianco ghiaccio del Grand Soleil è un'impresa impossibile in 36 ore. Ma Eugénie non demorde: studia, isola la ferita con lo scotch, fa le prove, stucca, alliscia, lucida. Non è soddisfatta e continua a lavorare. 
Il vento sta arrivando, si prevedono 50 nodi e la barca va varata subito. Eugenìe continua per mezza giornata sdraiata sul molo dietro la vasca d'alaggio. Una posizione scomoda per usare la lucidatrice ma lei lucida, lucida, continua imperterrita a lucidare, perché il difficile, come ci spiega, è ottenere lo stesso grado di lucidatura del resto. 
Ho guardato solo la sua faccia concentrata, non osando sbirciare il risultato e poi, sorpresa, nonostante il colore ovviamente non sia preciso, il lavoro è davvero ben fatto. 
Sulla gru di alaggio c'è il capitano del porto con il suo assistente, coadiuvato a terra da Mr Berry in persona alla guida del carrello. Quanto lavorano…. passeggiando qui e là mi ritrovo a salutarli sul molo mentre aiutano qualcuno all'ormeggio per ritrovarli, pochi minuti dopo, sulla gru di alaggio al cantiere a calare in acqua degli enormi container  che serviranno a dragare il fondale all'ingresso.
In meno di mezza giornata, ci sentiamo di casa. Potremmo dormire in barca ma decidiamo di non intralciarli e di prendere una stanza all'Hotel Marina d'Oro. 
P'acá y p'allá è a vista ma il bagno qui è decisamente più vicino e salire e scendere dal trabattello all'alba per correre a far pipì ai bagni del marina, dall'altra parte del porto, è una esperienza che sono felice di non potervi raccontare. Anche qui, un'atmosfera semplice e calorosa. Forse siamo gli unici clienti. Le camere sono carine e di stile, con un terrazzino stupendo con vista sull'imboccatura del porto e le isole Finocchiarole.
Tra una mano di antivegetativa e l'altra ce ne andiamo con il bus a Bastia, il tempo di rivedere la cittadella e il Porto vecchio dove venimmo con Nodo alla Gola. Bastia è caotica e speciale come sempre. 
C'è un bellissimo sole che, sul momento, non apprezziamo quanto dovremmo. Pensiamo infatti che sia normale il 22 maggio avere quel sole e che ogni giorno sarà sempre più estate.
Sbagliato. Facciamo a tempo a varare la barca e a ormeggiarci che il cielo conta più nuvole che spazi aperti, il vento sale da 25 a 30 nodi, poi a 40, poi a 50, fino alla raffica massima registrata fino ad ora (il "fino ad ora" è d'obbligo) di 57,6 nodi.
Ok è inverno. La temperatura scende velocemente e la sensazione netta è quella di essere a novembre, il nostro solito novembre di adrenalinico rientro, schivando le perturbazioni e risalendo il più velocemente possibile. Solo che qui non c'è niente da risalire e ancor meno c'è la possibilità di schivare il maltempo.
I nostri amici di Capitaneria e Cantiere ci hanno ceduto un posto vuoto, di quelli di proprietà, sul molo interno del porto, sottovento. Prendiamo quindi la libecciata di poppa ed è tutt'altra cosa rispetto a ciò che avviene al molo di transito dove, nonostante il ridotto fetch (lo spazio di mare da dove viene il vento), si crea una bella ondina breve che minaccia le barche di finire in banchina.
Ora che scrivo, sono 48 ore che il cielo cambia colore, dall'azzurro terso con nuvole bianche e nere, al grigio piombo e minaccioso. Piove, esce il sole, piove di nuovo, quasi grandina. Quel che non accenna a finire è il vento che compie delle buffe evoluzioni dai 30 ai 50 nodi, effetto delle raffiche che scendono dai canali dietro Macinaggio. 
Ora il meteo ci incastra in una terra di nessuno. Siamo nomadi pur stando a poche miglia da casa. Domani forse ci sono le condizioni per partire ma dopodomani è già scirocco e dura due giorni. Il tempo di far arrivare quella che viene definita "la nuova importante perturbazione" che attraverserà tutti i mari italiani a partire da metà settimana. 
Per partire, partiamo, verso dove non è ancora così chiaro.
I colori delle cartine meteo da mercoledì mi fanno pensare che il Meltemi abbia deciso di venirci a prendere. Con calma, simpatico bastardo, avremo parecchio tempo da passare insieme. 
Se c'è una lezione che non finirò mai di imparare nella vita è quella di adeguarsi alla situazione. Dovrebbe essere estate ed è ancora inverno? Prepara un bell'arrosto di maiale con purèe di patate ed è un modo di non dargliela vinta. Avresti voluto essere in Grecia a quest'ora? Bene, quando sarai in Grecia sarai contenta del "lonzinu" appena acquistato che sarà molto più saporito delle orribili vaschette di salame "Ifantis".
Se volete, a questo link, il video di P'acá y p'allá a Macinaggio

lunedì 20 maggio 2013

2013. La strana rotta.

In ritardo folle sulla preparazione della barca - come forse capita a chiunque compia l'avventura del semestre in mare per la terza volta - decidemmo che Macinaggio in Corsica era il punto giusto per fare carena. Ce lo suggerì Massimiliano, in uno di quei pomeriggi da cicale in cui in barca o si ozia o si medita (che poi la seconda opzione è solo un alibi per giustificare l'ozio...), pensando che la stagione è ancora lontana e, in fondo, non c'è poi tanto da fare. Per Max, diretto alle Baleari, la tappa di Macinaggio aveva probabilmente più senso. Per noi che confermiamo la nostra consueta rotta sud-est, invece,  si tratta di una pura deviazione a nord ovest di 80 miglia + 80 miglia che, come ho potuto notare, pretende di fornire una spiegazione a chiunque sia dotato di una qualche infarinatura di geografia. "Macinaggio??? Ma non siete diretti in Egeo?" 
La ragione giustifica solo in parte la nostra scelta: il costo. 
Un preventivo onesto, quello di Macinaggio, trasparente e dettagliato a sufficienza da poterlo ritenere così. In Italia per capire se ti stanno fregando devi basarti sul tuo intuito, sul risultato, sul paragone con altri che ti hanno fregato. 
In Francia, la nautica è un'altra storia. Se hai una barca, sei solo uno-che-ha-una-barca, non un povero idiota da prendere in giro. Nel momento in cui scrivo, non posso ancora valutare la qualità del servizio (siamo ormeggiati al porto in attesa dell'alaggio di domani) ma, a Macinaggio, fare carena costa poco più di 1/3 di quel che ci hanno chiesto a Cala Galera e questo predispone necessariamente meglio. 
A onor del vero, devo specificare che gran parte della differenza di costo è sul prezzo di alaggio e varo della barca: 390 euro a Macinaggio, 1.200 euro a Cala Galera. 
Sì, avete capito bene. Ma, come dicono loro stessi impunemente, quasi ritenendolo un merito, un privilegio, una certificazione DOCG:  "Qui siamo solo noi ad avere la licenza del travel lift". Anche a Macinaggio, ma non ritengono sia motivo di extracosto. Ah, i monopoli mal interpretati....
Dicevo, la ragione giustifica solo in parte. C'è Italia e Italia e al sud avremmo potuto trovare preventivi altrettanto onesti. Poi c'è l'istinto, la pancia e, un po', anche il senso di rivalsa e di denuncia che ti spinge a trovare l'opposto positivo alla minima distanza. 
Mentre pensavo a queste giustificazioni, me ne è venuta in mente una, però, che mi sembra la più saggia di tutte: la ragione della strana rotta è insita nel nome della nostra barca. P'acá y p'allá, cioè "un po' di qua, un po' di là".
D'altra parte, anche stavolta, non abbiamo appuntamenti e meno che in passato, motivi per cui sbrigarci a tornare.
P'acá y p'allá non ha risentito della crisi economica italiana, non quanto i suoi proprietari sicuramente.  Siamo partiti sabato 18 maggio da Cala Galera con due belle vele nuove, cucite per noi da 3FL di Francesco Cruciani e consegnate, con brivido, ai blocchi di partenza. Lo scirocco forte ci favoriva nella rotta, ad eccezione delle prime 5 miglia di periplo dell'Argentario. Inutile dirlo, è stato scirocco forte solo per quelle 5 miglia, per trasformarsi poi in debole scirocco e abbandonarci totalmente in balia di una fastidiosa onda, a 15 miglia dall'Elba. 
Che emozione, tirar su la randa e vedere che è tutto a posto, il miracolo della perfezione è avvenuto, la vela è la sua. E meno male perché le vecchie non le abbiamo portate con noi. Piegate per bene e riposte, avranno la loro ragione di esistere nella stagione invernale, dopo tanto lavoro hanno meritato un part time.
Ma vele nuove vogliono drizze e scotte nuove, ci mancherebbe. Non tutte, ma buona metà. E adesso, abbiamo la scotta della randa che è invecchiata di colpo a guardare la scotta del fiocco, un po' come mi sento io quando mi imbatto in una amica che non vedo da tempo e nel frattempo è passata più volte per le mani del chirurgo plastico. Sarà per l'anno prossimo (la scotta della randa, non il chirurgo...). Abbiamo scelto la qualità, abbiamo dovuto limitare i metri.
È strano arrivare all'Elba, sono 4 anni che non facciamo questa rotta e l'ultima volta eravamo su Nodo Alla Gola, il nostro eroico First 31,7. Ci fermiamo in rada a Porto Azzurro in una quiete bellissima da sabato fuori stagione. Procediamo per piccole tappe e il giorno dopo raggiungiamo Portoferraio movimentata dal solito traffico dei traghetti che trova il suo acme stamattina con la ripresa della settimana lavorativa per gli Elbani o la fine del week end per i milanesi.
La breve traversata per Macinaggio oggi ci ha illuso con una promessa di libeccio all'altezza di Capo Sant'Andrea, molto presto disattesa. Le vele ci guardano con una punta di ironia e ammiccano tra loro, dicendo "bella vita ci aspetta, qui si riposa". Aspettate, aspettate che tra poco si passa a un regime ben diverso…
La carena, dopo 6 mesi di stazionamento in porto, è in condizioni pietose e ci fa perdere almeno un nodo e mezzo di velocità. Teniamo anche bassi i giri del motore per evitare di forzare troppo, visto lo stato dell'elica, registrando così una velocità media inferiore ai 5 nodi. Con Nodo alla Gola (a pancia pulita) andavamo più veloci…
E ora siamo qui, ormeggiati in Porto a Macinaggio dove in un lunedì di metà maggio arriva una barca ogni quarto d'ora e il molo dei transiti è già tutto pieno. Abbiamo già visto il cantiere, piccolo, con 4 barche in secca e l'invaso già pronto per noi. Potremmo dormire in barca sull'invaso, oppure ci concederemo la pensione sul porto, tanto per evitare quelle corse giù dalla scaletta e l'attraversamento del Paese per raggiungere i bagni del marina. Qui è tutto molto diverso dal nostro mondo felice. Molto meno greco e molto più francese, ovviamente. Ma è comunque un luogo amico che ti tende la mano e non ti chiede nulla. Riprendi il mare e respiri. E ti accorgi che il viaggio non è un viaggio ma la tua vita. Riacquisti il tuo ruolo di marinaio e ti senti di nuovo in pace col mondo.