lunedì 29 settembre 2014

Da Serifos a Ormos Dhespotiko. Sinfonia delle mezze stagioni.

Cielo d'autunno a Ormos Dhespotiko
Capita che la fine di settembre sia, insieme, un caotico ferragosto, un gentile ottobre e un gelido dicembre. Non proprio nello stesso momento, ma magari un giorno dopo l'altro.
E in una settimana verifichi il cambio delle stagioni e la schizofrenia delle mutazioni.
Avevamo un conto in sospeso, a Serifos, e dovevamo assolutamente tornarci per esigere il nostro credito. 
Si chiama Ormos Kedarchos ed è semplicemente una gran bella baia. "Una baia stupenda", l'avrei definita 2 anni fa ma l'aumentare della conoscenza di questo paradiso mi porta purtroppo a rivedere gli aggettivi in senso riduttivo.
È un grave guaio quest'abitudine alla bellezza che sto sperimentando. La nostra "casa" ha i panorami più belli del mondo, ogni giorno diversi. Butto l'ancora e ho un terrazzo turchese, a prua a volte il deserto, a volte una Dolomite, a poppa quasi sempre un orizzonte infinito. Colleziono ogni anno centinaia di perle di un rosario del bello e quasi non me ne accorgo più tanta è la consuetudine a questa meraviglia.  Ne fa le spese lo stupore, che al 4° anno di Egeo, fa capolino ancora ma sempre più raramente. 
In navigazione verso Serifos
Ormos Kedarchos è un'insenatura stretta sulla costa orientale della rotonda isola di Serifos, la prima che incontri se vieni da Nord, la prima che incontriamo facendo rotta da Andros. 2 anni fa, ci andammo prima di lasciare l'isola, dopo averne fatto quasi il periplo venendo da Ovest. Trovammo questo incanto, buttammo l'ancora e ci godemmo lo spettacolo della natura e il silenzio per un paio d'ore. A quel puntò arrivò una flottiglia di 7 barche a vela che si ormeggiarono affiancate, con tanto di cime una all'altra e parabordi. Portarono nell'incanto, il drammatico realismo di una realtà portuale. Resistemmo poco e per il solo gusto dell'orrore, poi salpammo l'ancora e ce ne andammo, grati ancora una volta di quell'enorme libertà che il mare ti riserva. Andammo via, senza rimpianti ma con l'amaro in bocca di una giornata spezzata a metà. (qui il racconto dell'incontro con la flottiglia nel 2012)
La Chora vista dalla barca in porto
Ci torniamo per questo a Kedarchos, la troviamo deserta e recuperiamo  con soddisfazione il maltolto. 
Prima che il vento diventi meridionale, come preannunciato dal meteo, ce ne andiamo a stare un paio di giorni a Kalo Ambeli, la grande baia a sud dell'isola. Qui lo stupore resta intatto, come la prima volta. Entri in acqua, guardi il fondo ed è come tuffarsi nella piscina di Paperon de' Paperoni. Il pulviscolo d'oro nella sabbia abbaglia e allo stesso tempo rinfresca come acqua minerale. 
La stagione è finita, non ci sono più barche in quest'isola che è un punto di snodo fondamentale della rotta da Atene a Milos.
veduta dalla Chora di Serifos
Illusione... Andiamo in porto e inizia un altro film. Talmente diverso da restare attoniti. 
Finiamo esattamente al centro dell'invasione russa. Il molo di Serifos, poco dopo il nostro arrivo, viene preso d'assalto da barche charter con un fattore comune: la bandiera sulla sartia di sinistra, un tricolore bianco blu e rosso. 
Sono arrivati i Russi. 4 parole che dalla dissoluzione dell'Unione sovietica non spaventano più gli anticomunisti ma che oggi hanno un effetto terrorizzante su chiunque vada per mare. La bandiera russa per un armatore suona minacciosa quanto e forse di più della bandiera dei pirati. 
Ci siamo abituati alla rumorosità dei tedeschi, alla spocchia dei francesi, alla prepotenza dei turchi, ma alla pericolosità dei russi al timone non potremo mai abituarci.
Gente di Serifos
Uno pensa:  ci sono una ventina di posti al molo di Serifos, sommando quelli sul versante nord e quello sud, finiti quelli ci sarà la pace. E invece no. Per i Russi, il molo di Serifos è una sorta di albergo a ore. Vanno, vengono, pochi si fermano abbastanza a lungo da non destare sospetti sulla loro nevrosi compulsiva. Comprensibile però, d'altra parte, visto che l'ormeggio che fanno non dà mai prova di essere solido. Nel mentre, offrono uno spettacolo circense che deve essere esilarante per un turista da terra, seduto al tavolino del bar di fronte. Decisamente meno per l'armatore della barca cui il russo si ormeggia a fianco. Noi di altra etnia (noi,  una coppia di svizzeri e  un tedesco), sparpagliati sul molo, abbiamo molto meno da divertirci. 
Abbiamo affittato un motorino mentre eravamo nella fase "Uno pensa..." di cui sopra. Tolto una veloce puntata alla Chora, lo scooter è rimasto parcheggiato alla fine del molo, inutile quanto la spesa di 18 euro. 
Dalla Chora di Serifos
Però, però.
Ogni esperienza è crescita di consapevolezza e di conoscenza. Per esempio, guardando ho imparato che l'imperizia del timoniere è inversamente proporzionale al suo timore. Ho visto manovre folli eseguite a velocità sostenute senza che sul volto del comandante e dell'equipaggio fosse dipinta alcuna preoccupazione. Ho visto mani andare dove non dovrebbero mai e salvarsi, per pura generosità divina, dall'essere schiacciate tra fiancata e fiancata. Ho visto verricelli miracolosi bloccarsi da soli proprio mentre la poppa stava per finire in banchina.
Ho visto cime d'ormeggio calate aggrovigliate nell'acqua e comandanti quasi orgogliosi di averle catturate con l'elica. Con la propria, per fortuna.
La tranquilla plateia di Chora a Serifos
Ho visto, ma soprattutto ho sentito, la barca che all'1 di notte si è spostata dalla tranquilla rada al posto lasciato libero accanto a noi. Per poi ripartire alle 4, solo 3 ore dopo, senza aver attaccato la corrente in banchina, senza aver fatto acqua e senza essere scesi a terra. Ho visto e ho sentito - ma soprattutto mi hanno sentito loro - questa barca arare il fondale della baia fino ad acchiappare la mia catena e portare - alle 4 di mattina - la mia ancora in giro per la cala di Livadi, senza accorgersi di averla arpionata. Ho visto il russo guardare la mia catena appesa alle sue marre, continuando a girare in tondo con uno sguardo in trànce fino al momento dell'idea geniale. La solita idea geniale: il mezzo marinaio di plastica e alluminio che ogni volta viene usato per sollevare un enorme peso in trazione. 
I mulini alla Chora
Ho sentito quel mezzo marinaio lanciare il suo ultimo grido "Ma per chi m'hai preso???" e l'ho visto perdersi nella notte nera dei russi su un charter.
Poi, come quasi sempre, gli dei intervengono e le cose si risolvono. Il russo alza un pollice verso l'alto non tentando di fingere nemmeno con se stesso di avere qualche merito nella liberazione. Il russo va via, io smetto di lanciare insulti in tutte le lingue che conosco e la notte di Serifos torna tranquilla.
Restiamo un paio di giorni e "l'albergo a ore" va a ritmi da grande successo, da boom economico, da traffico cittadino. Guardo il calendario e mi stupisco di leggerci un giorno di fine settembre. È il fenomeno del charterismo di cui parlavo nel precedente post. Arrivano tutti insieme appassionatamente, chissà magari tra due giorni qui non c'è più nessuno. Non si conoscono ma parlano tutti la stessa lingua. Se non fosse uno spettacolo osceno e esageratamente colorato, verrebbe voglia di sentire in sottofondo la colonna sonora del Dottor Zivago.
Lungo la costa occidentale di Sifnos
Con coraggio, o incoscienza, lasciamo la barca a difendersi da sola mentre facciamo una veloce fuga alla Chora. Lì ritroviamo i ritmi del fine stagione e la quiete a calce bianca delle viuzze desolate ci rinfranca della preoccupazione.
Il vento riprende a soffiare da nord e noi muoviamo verso Sifnos, sperando che il fiume di charter sia sulla via del ritorno. Abbiamo davanti 3 giorni di bel tempo e di vento medio, poi è prevista una brutta perturbazione con cambio di vento nel mezzo, quelle situazioni in cui devi individuare un posto sicuro e aspettare che passi. 3 giorni davanti da dedicare a Sifnos prima di andare altrove. Facciamo un bel bordo di lasco a vele piene, poi quando sotto Sifnos rinforza, prendiamo una mano di terzaroli. Ci dice bene e troviamo un'isola nuovamente tranquilla, con un clima da fine stagione e un'acqua qualche grado più fredda ma bella limpida e rinfrescante. Ci ancoriamo nella baia di Vourlidia, a Nord Ovest.  E siamo solo noi. Silenzio, roccia e macchia verde. 
Nei pressi di Vourlidia, Sifnos
È di nuovo il paradiso. E mi ricorda ancora una volta che se vuoi dormire la notte sei sempre più tranquillo in rada che in un porto. Almeno in Grecia, almeno se sai sceglierti le rade meno frequentate e qui in Egeo l'operazione è tutt'altro che difficile anche in pieno agosto.
Il giorno dopo, scendiamo il versante Ovest, sempre a vela, sempre con un bel lasco tranquillo. Diamo un'occhiata al porto di Kamares dove c'è posto all'inglese ma è necessario lasciarlo entro le 9 quando arriverà il traghetto. Ci viene l'intuizione di andare avanti, proseguire oltre Vathi, scapolare l'isoletta di Kitriani e raggiungere Platì Gialos sulla costa sud est dove sappiamo che è stato terminato un porticciolo ben protetto. 
un porto tutto per noi, a Plati Gialos, Sifnos sud est
Ci arriviamo dopo il tramonto e troviamo l'antitesi di Serifos: una bella darsena chiusa, dotata di corpi morti, colonnine con acqua e corrente. Tutto nuovo di zecca. Kostas, l'ormeggiatore, ci informa che il costo è di 15 euro, inclusa acqua, corrente e wi fi. Oltre a noi, una sola barca, il giorno dopo resteremo soli. 
Ecco che, ogni tanto, benedici il costo di ormeggio, il dazio che tiene lontane le barche, almeno quando è così esiguo. L'affollamento di Serifos è dimenticato, qui abbiamo un porto intero tutto per noi.
Platì Gialos è una raffinata località di villeggiatura - Sifnos stessa è un'isola raffinata, si percepisce dalle ville e dai piccoli hotel di charme. Una grande lunga spiaggia orla un filare di taverne e bar. 4 turisti in croce nel fine settembre, tanta pace e quell'atmosfera greca da fine stagione che mi piace tanto.
Negozietti e bar sul lungomare di Platì Gialos
Quella fatta di golf leggero e pantaloni lunghi, quella in cui contempliamo una tovaglia di carta col disegno dell'isola e ricordiamo quante cose abbiamo visto e quante tovaglie così. E elenchiamo le isole di quest'anno, poi quelle degli altri anni. Cominciando a fare un po' di confusione tra isole e anni perché ormai ce ne sono tanti di una e dell'altra cosa. E i programmi futuri. Facciamo lo slalom tra tutto ciò che abbiamo già visto alla ricerca di qualcosa di nuovo. Discutiamo se lasciare Sikinos - unica isola del sud egeo dove non ci siamo fermati- tra quelle da scoprire, abbiamo voglia di andarci ora ma è altrettanto importante amministrare il nuovo per rendere interessante il prossimo viaggio.
Kastro, l'antica cittadella di Sifnos
L'affittamotorini di Platì Gialos è operativo solo in estate e lui stesso ci consiglia di prendere un autobus, raggiungere Apollonia e noleggiarlo lì. È l'ultima bella giornata prima di una perturbazione che, in quel momento pensiamo, metterà definitivamente fine all'estate. Dovremo ricrederci e ancora oggi, mentre scrivo di allora, piacevolmente incastrata in una meravigliosa estate che si protrae a fine ottobre, mi chiedo quanto pagheremo caro questo regalo inusitato dell'autunno. Esistono le mezze stagioni, eccome se esistono. 
Dopo il ferragosto di Serifos, eccoci nell'autunno mite e sorridente di Sifnos, il tempo sembra correre e sono passati solo due giorni. 
Nei vicoli del Kastro
Apollonia è la cittadina principale di Sifnos, vivace e abitata, vitale anche nel fuori stagione, mi dà l'impressione di essere singolarmente operosa. La cittadella antica, il Kastro è 3 chilometri più in basso: un borgo costruito sulle rovine di un'antica acropoli che circonda la cima di una collina a picco sul mare, con vista a 360°. Il candore della calce bianca crea il solito contrasto con le cupole azzurre, dello stesso colore di portoncini ed infissi. Per le piccole viuzze di pietra rifinite a calce c'è il tipico silenzio cicladico, interrotto solo dal vento che si insinua negli angoli e suona una musica tutta sua. 
Kastro, sarcofagi e reperti integrati nelle abitazioni
C'è grande opulenza di reperti antichi nel Kastro, ogni casa ha una stele in marmo, un sarcofago, anfore, parti di capitello, è un vero e proprio sito archeologico abitato. Il museo, che ospita sculture ellenistiche e arcaiche, ceramiche e reperti architettonici, è piccolo, ben tenuto, pulito, essenziale. Come quasi tutti i musei greci, la struttura ospita le opere con umiltà, senza sovrastarle né enfatizzarle. D'altra parte qui non c'è bisogno di enfatizzare nulla. 
Le antiche mura del Kastro (Sifnos)
Andiamo a pranzo nel piccolo borghetto di pescatori di Cherronissos, in un minuscolo fiordo all'estremo nord dell'isola. Poi un veloce passaggio a Kamares, porto e località turistica principale e infine, continuando il giro, ci fermiamo a Chrissopygi, un monastero dedicato alla Vergine Maria e collocato in una meravigliosa location, un piccolo promontorio sul mare, che mi ricorda un po' atmosfere da Sporadi settentrionali.
Sifnos fino a quest'anno era stata un'isola solo di passaggio, per noi. È stato bello riscoprirla, o meglio scoprirla. Trovare un'anima gentile, raffinata, elegante senza per questo essere snob e senza perdere di autenticità. Mi dà l'impressione di essere piacevole anche in alta stagione, scelta da pochi con il comun denominatore della ricerca di quiete. 
Il monastero di Chrissopygi, Sifnos
Le nuvole corrono sull'orizzonte, si moltiplicano, si inseguono e mentre siamo a Chrissopygi diventano una unica coperta grigia.
Sta arrivando. La perturbazione ben annunciata ci sta raggiungendo e noi siamo pronti a scappare.
Dopo una prima colazione, ci facciamo un bel bordo con vento ancora leggero da ovest, che via via diventa sempre più fresco mentre il cielo sopra di noi alterna nubi fitte a nubi sparse di tutti i colori che vanno dal bianco all'antracite.
All'ancora a ridosso di Dhespotiko
La nostra "location burrasca" è estremamente prudenziale. I venti forti con groppi temporaleschi preferiamo sempre incontrarli in rada, con spazio abbondante intorno e la nostra fidata ancora sotto metri e metri di sabbia. L'importante è avere protezione da quasi tutti i venti. 
Ormos Dhespotiko è il braccio di mare incorniciato dall'isoletta omonima e da quella di Antiparos, aperto a nord per poche centinaia di metri da un canale con fondale di un metro e a sud dall'entrata in quello che una volta dentro ti sembra un lago.
Stroboscopico tramonto d'autunno egeo
Ci ancoriamo a ridosso di Dhespotiko, dove l'acqua è più bella, sapendo che dovremo poi spostarci velocemente al momento del giro e rinforzo di vento, sulla sponda opposta davanti al piccolo villaggio di Agios Georghios ad Antiparos. Non sappiamo quando accadrà, sappiamo solo che dovremo muoverci in fretta a qualunque ora succeda. 
Poco dopo cena, eccolo arrivare, senza preavviso. L'anemometro continua la sua corsa fino a 35 nodi, il mare in un attimo si alza di un metro, la catena dell'ancora ci strattona. Siamo nella notte nera, buia come tutte le notti senza luna (ma tanto il cielo l'avrebbe coperta) in un sito pressoché deserto. 
Still life del pescatore
Le due taverne di Ag. Georghios con le loro luci accese ci indicano la via, il difficile è individuare e schivare le barchette dei pescatori ai gavitelli. All'ancora e dotata di torcia cerco di individuare il fondale giusto, ma tanto lo sappiamo già che qui è buono. Ancoriamo, fissiamo il baffo, spegniamo il motore e corriamo sottocoperta in sincronia perfetta con le prime grosse gocce di pioggia che cadono. 
Il primo pensiero di un marinaio che sta per mare da mesi quando cade un violento temporale è un pensiero di felicità: senti quasi addosso quella doccia di acqua dolce che scorre dalla testa del tuo albero giù, fino a lavare abbondantemente tutta la coperta. 
Tramonto a Ormos Dhespotiko
Il secondo pensiero è meno allegro ed è quello che ti fa contare i secondi tra il fulmine e il tuono per capire quanto è caduto vicino. Anche questa è vita in barca, il violento temporale che fa da sfondo alla  malinconia di chi pensa "un'altra stagione se n'è andata" e un rigurgito di coscienza che ci ricorda che casa è lontana e che ora bisogna pensare a un programma, se pur lento, di ritorno.
La chiesetta di Ag. Georghios a Antiparos
Effetti dell'inverno, come fossimo stati colti da un gelido dicembre nel mezzo dell'Egeo. A 1 giorno dall'autunno di Sifnos, a 5 giorni dal ferragosto di Serifos. In quei momenti pensi che non torneranno più il caldo e il clima mite. Ce l'hai con qualcuno ma non sai con chi. Ti senti defraudata del tuo diritto a un'estate perenne, sorpresa e delusa dal fatto che anche quest'anno non si vuole fare un'eccezione per te. Tiri fuori il piumone, lo metti sul letto, cambi il pigiama estivo e metti quello invernale. Prepari la minestrina calda con il formaggino da sciogliere dentro. Tutte azioni consolatorie. Guardi il webasto (il nostro riscaldamento) e pensi, no dai, ancora no ma sai che ci manca poco. 
La perturbazione si allontana a Ormos Dhespotiko
E ti sembra che non debba mai finire, come se una burrasca di ottobre non possa che essere il prologo di quella successiva. Dopo una giornata, il vento inizia a calare un po' e il tender torna a sembrare un adeguato mezzo di sbarco.
C'è poco da fare a Ag Geoghios, se non camminare, sedersi alla taverna, raggiungere la piccola chiesa sul canale nord. Poi camminare lungo la strada nel senso inverso, fino a scorgere il mare di fuori, tornare a vedere le altre isole. 

Che facciamo? si inizia la via del ritorno o si procede ancora  un po' a caso?

sabato 20 settembre 2014

Andros. L'isola di pasta cresciuta.

La Chora di Andros, vista dal mare.
In primo piano i resti della fortezza veneziana
Ci sta stretta, Andros, nel posto che le hanno assegnato gli dei. Forse in origine era più piccina, con abbondante mare intorno, poi per farsi notare è lievitata come un panetto di pasta cresciuta. Ed ecco che oggi è famosa soprattutto per essere l'altra sponda dell'Eubea, al di là del luogo più temibile per i naviganti: il famigerato Stretto di Kafireas o Stretto di Doro. 
Un braccio di mare di sole 6 miglia da cui quasi tutti si tengono alla larga più che volentieri. La storia narra di terribili tempeste che hanno sollevato onde di quasi 10 metri, una valvola di sfogo di Poseidone dove abbondano i suoi eccessi. Noi, questo stretto, lo abbiamo passato l'anno scorso nel verso peggiore, quello da sud verso nord. 
Gatto e sedie in postura da fine stagione.
Detto così sembra eroico, ma detesto gli eroismi e non posso che confessare che abbiamo trovato un modesto forza 3/4 in un giorno che altrove, in tutto l'Egeo, registrava eccezionalmente un forza 0. Altrimenti io personalmente non sarei stata lì. Giovanni forse, io sicuramente no. 
Le imprese ardite non mi appartengono e con le sfide ho fatto pace anni fa. Oggi i traguardi mi sembrano, sempre più spesso, fanatismi e vedo ogni giorno che le imprese compiute fanno male all'indole degli esseri umani. 
Al faro di Ak Ghria, sul versante settentrionale dell'isola
Tante di queste persone ne perdo per strada: le seguo e le ammiro ai loro esordi, quando hanno ancora quell'umiltà negli occhi e nel cuore che diventa sincerità di racconto, poi la stima degli altri così generosi nel regalare il consenso (grazie al cielo) fa leva sulla debolezza umana e trasforma l'umiltà in autocompiacenza, la sincerità in artificioso bisogno di stupire. Il consenso è per i piccoli eroi moderni come una droga che avvelena la meraviglia e illude il protagonista di saper domare gli elementi. Ecco che invece di guardare l'altro da sé, guardano se stessi nel contesto e, via via, aumenta la perigliosità dell'impresa raccontata rispetto a quella realmente vissuta. 
Ogni volta per me è un lutto, faccio disperatamente il tifo per l'uomo e combatto l'eroe,  il risultato, però, è inesorabile: non si scende dall'Olimpo spontaneamente, a meno che non ci si giochi a viverci dentro, ma per far questo devi avere una dote particolare, piccola e che apparentemente non ti porta da nessuna parte: l'autoironia.
Cielo d'autunno a Andros
L'autocompiacenza è una malattia che può colpire chiunque tenti di esprimere se stesso al prossimo. Con l'arte, la scrittura, la musica…..
È la mia grande paura. Tento costantemente di autovaccinarmi da questo male che trovo odioso ed è un lavoro a tempo pieno.
Cerco di farmi detestare nel momento esatto in  cui mi accorgo che, spontaneamente, sto cercando di farmi amare. Tanto per restare in quel limbo di approvazione/disapprovazione che mi conserva consapevole di quanto sono poca cosa e mi fa restare coi piedi saldamente appoggiati su una nuvola.
Ma questa divagazione di pensiero, con Andros non c'entra assolutamente nulla. 
Dal lungomare, la Chora di Andros
Succede, quando racconto dei posti che ho visto a distanza di giorni. Succede soprattutto in questa stagione, quando la luce diminuisce, quando i colori diventano più belli e meno violenti, quando soprattutto si avvicina per me il momento di lasciare l'Egeo e di intraprendere il lento navigare verso casa. 
Si chiama malinconia e fa parte di me da quando sono nata, talmente tanto parte di me che a volte non la saluto nemmeno. 
Pescatore nello Steno Disvaton
Dall'altra parte di Andros, nella sua punta orientale, c'è un'altro ridottissimo braccio di mare, lo Steno Disvaton che la divide da Tinos. Erroneamente, guardando la carta lo si può interpretare come lo stretto peggiore nel passaggio da nord a sud dell'Egeo. L'esperienza invece ci dice che, escluso il malefico stretto di Doro, il peggior buco da cui scendere (risalire è per gli eroi) è quello tra Tinos e Mykonos.
Tramonto su Andros da Tinos.
Ma oggi è altra storia. In questa strana annata con il Meltemi in sciopero, riusciamo a scorrere la costa sud  di Tinos senza essere investiti da raffiche violente, scopriamo diverse rade sicure, protette e spettacolari di quest'isola e risaliamo lo Steno Disvaton diretti al Kastro di Andros sul, di solito impossibile, versante nord dell'Isola. Cambiamo mare di nuovo e mettiamo la chiglia nel Nord Egeo. Tutto ciò che facciamo in questa stagione ha, di volta in volta, il sapore malinconico di avvicinamento al ritorno o ribelle di allontanamento. La prua a Nord, con tante miglia da fare verso sud ci dà quell'ebbrezza del negare la realtà che è  vitale e corroborante. 
La bella cittadella di Andros abbraccia un promontorio e finisce con un ponte a schiena d'asino in pietra che porta all'estremo lembo, dove ci sono le rovine di un forte veneziano. 
P'acá y p'allá al marina di Kastro
Il cosiddetto marina di Kastro offre un ottimo ridosso, difficile capire dove ormeggiare quando un porto è praticamente vuoto. All'interno del molo frangiflutti, proprio al centro, c'è un motor yacht di lusso lungo una cinquantina di metri dall'altisonante nome di Ispiration. A bordo solo marinai, probabilmente di stanza qui, in questo porto senza costi di ormeggio, fino a quando l'armatore non gli dice dove andarlo a prendere. Anche i ricchi risparmiano, anzi, forse soprattutto loro.
Scorcio del vecchio porto a Kastro, sullo sfondo il forte veneziano
Evitando il confronto col mastodontico e scegliendo meglio secondo la direzione del vento, noi preferiamo prenderci un posto al pontile di cemento dove c'è solo una barca da pesca. Troviamo anche un corpo morto da aggiungere all'ancora che abbiamo gettato e guadagniamo quel lusso fondamentale per ogni armatore: lasciare la barca all'ormeggio senza voltarsi continuamente indietro, senza il timore che l'ancora spedi e che la poppa finisca in banchina.  Sembra poca cosa ma il corpo morto, che non ha nulla a che vedere con l'omicidio, può dare felicità allo stato puro. 
La Chora di Andros è lì davanti a noi, a una ventina di minuti a piedi lungo la spiaggia. Camminiamo con la leggerezza di quando sappiamo che potremo limitarci a passeggiare nel borgo, senza la voglia di affittare un motorino per andare a vedere l'altro versante. Il vento ci regala ad Andros l'opportunità di scorrere tutta la costa dell'isola. 
La grande statua in bronzo del marinaio ignoto, dono dell'Unione sovietica
e collocata nel luogo dei bombardamenti tedeschi della II Guerra.
In questa stagione che volge verso l'inverno, le grandi isole sono confortanti. C'è più vita tra i vicoli delle cittadine rispetto ai borghi minuscoli di una piccola isola. Qui l'estate è una stagione, poi passa ma non si porta via nulla. Resta la vita dell'isola, i pescatori continuano  a uscire la notte per procurare da mangiare a se stessi e agli abitanti, le taverne e i bar sono pieni di ragazzi del luogo. Andros è molto diversa dalle classiche Cicladi, la sua architettura è prevalentemente fatta di edifici neoclassici con tetti dalle tegole rosse. Come a Tinos, vediamo molte colombaie, antiche torri oggi per lo più adibite a abitazione. 
L'Hermes di Andros
Visitiamo tre musei. Quello archeologico dove,  oltre ai resti provenienti da Zagorà e dall'antica Paleopoli,  si trova una bellissima statua di Hermes, opera del IV secolo di Prassitele, che da solo meriterebbe un museo.  Poi, il museo di arte moderna che ospita al momento le opere della scultrice e pittrice contemporanea Sofia Vari, un'allieva di Botero. Degli Chagall e dei Picasso di cui parla la guida come esposizione permanenti non c'è traccia e la Vari da sola, sinceramente, non vale un museo. Ma sono piuttosto fredda verso l'arte contemporanea, sarà colpa mia. L'ultimo è il museo marittimo con modellini di navi e qualche strumento antico ma la cosa più bella è la vista dalla terrazza sulle rovine del forte veneziano e sul mare.
Ci facciamo fermare dalla scritta "members only" davanti al bello e storico yacht club di Chora, senza entrare a curiosare come vorremmo, forse dimentichi che in stagione così bassa, magari anche i non soci sono ben accetti.
Il museo marittimo di Chora
Salpiamo di nuovo, continuando a risalire il versante nord di Andros fino al momento in cui il Meltemi non si alza e ci fa capire che oltre alla baia di Achlia, non è il caso che tentiamo di andare. Lo stretto di Doro, stavolta non si passa, neanche in direzione favorevole.
Questa bella baia, semicircolare e sormontata da un faro,  si trova proprio alla fine di un canyon tra due pareti rocciose che attraversano l'isola da nord a sud. Una strada sterrata permette a qualche fuoristrada di arrivare sulla spiaggia e così non siamo totalmente soli.
All'ancora nella bella e parzialmente protetta baia di Achlia
Ma Andros continua a riservarci sorprese e piacevoli incontri. Sulla costa meridionale (che, in realtà, data la posizione diagonale dell'isola, sarebbe altrettanto o forse più  corretto definire occidentale) c'è la possibilità di fermarsi quasi ovunque grazie all'abbondanza di fondali sabbiosi e di ridossi. Siamo in rada a Paleopoli quando leggo un messaggio di Peter che è con il suo X40 e 3 amici a Batsì, piccolo porto qualche miglia più a nord ovest. 
La Chora di Andros, abbarbicata su un promontorio
Bello incontrarsi così, in mezzo all'Egeo, soprattutto fuori stagione con chi era finora solo una conoscenza virtuale, nata su forum nautici e per interessi comuni. Ci aiutano a ormeggiarci all'inglese e ci offrono un ottimo pranzo preparato da Peter stesso. Noi ricambiamo con la miglior merce di scambio che abbiamo a questo punto: la conoscenza delle isole greche. Li indirizziamo a Tinos, certi che non ne resteranno delusi.
Abbiamo fame di incontri quest'anno, ne abbiamo fatti pochi, meno che negli anni precedenti. E non abbiamo avuto ospiti a bordo. Una mezza mattinata di chiacchiere è come un bicchiere d'acqua fresca alla fine di una salita.
Ormeggiati a Batsì
Poi loro scappano via, il calendario non gli consente soste prolungate. Il calendario, la voglia di mare, il bisogno di metterne tanto dentro una decina di giorni.
Noi invece restiamo qui, comodi nel nostro posto all'inglese, all'interno del molo frangiflutti. Il posto migliore. 
Man mano che il vento aumenta, entrano in porto alcune barche che si ormeggiano all'esterno del molo, son quasi tutte barche charter, per lo più occupate da tedeschi e francesi. È un fenomeno buffo quello del charter, perché stando fermi nello stesso posto puoi trovarti in un andirivieni di barche un giorno e nel deserto il giorno dopo. Anche se non si tratta di flottiglie, come in questo caso, sono tutti figli delle stesse compagnie di noleggio che imbarcano lo stesso giorno della settimana e suggeriscono a tutti lo stesso itinerario. Oggi è il giorno di Batsì e abbiamo un bel po' da fare sul molo ad aiutare per l'ormeggio.
L'arrivo dei giapponesi
Per ultimi, verso il tramonto di un giorno freddo, arriva un equipaggio di giapponesi. Il fiocco è a brandelli, irrecuperabile, e urla contro il vento i suoi ultimi momenti di gloria. I 10 dell'equipaggio hanno negli occhi il racconto della brutta avventura. Faticano a ormeggiarsi e rischiano di far danni, facendo un errore dopo l'altro, tipico in parte della scarsa esperienza e in parte dello shock appena vissuto. Non capirò mai perché in queste condizioni, di esperienza e di shock, insistano tutti per mettersi in banchina, quando la soluzione migliore sarebbe gettare l'ancora nella baia e riprendersi con calma prima di affrontare nuovi pericoli. 
Charteristi si danno una mano: uno strano modo di fissare una cima...
un tiro alla fune, snobbando le bitte.
Ma quel rischio, loro, non lo leggono, e invece il rischio peggiore in mare è sempre rappresentato dalla terra. Forse perché la barca non è loro, ma solo in affitto, forse per la scarsa confidenza con un mezzo a cui hai affidato la tua vita e da cui vuoi prendere istintivamente le distanze. Il pericolo per loro era fuori, dentro ai 35 nodi da Mikonos a qui, quando la terra era lontana. 
Gli errori sono i soliti: cime di poppa lanciate aggrovigliate e imbrigliate su pulpiti, candelieri e asta della bandiera; ancora che viene ferrata nel momento sbagliato e la barca si traversa, cose così. 
Il molo di Batsì
Ma stavolta non so se questa maldestria sia figlia di incapacità o semplicemente di terrore. Quel che è certo è che a bordo non c'è arroganza. Lo skipper ringrazia per l'aiuto facendo un simpatico inchino. Indica la vela di prua, o quel che resta della vela di prua, spiegando che gli si è incaramellato mentre lo rollavano, poi si è rotta la bugna ed è rimasto strozzato così, polverizzandosi via via. Conclude dicendo, con un sorriso "è una vela cinese, probabilmente".
Per una volta, vorrei spezzare una lancia a favore dei vituperati charteristi. Perché, in fondo, che l'Egeo sia un mare duro lo vedono e lo vivono molto più di noi. 
La baia di Achlia vista dal faro.
Come ho detto più volte, l'Egeo non è affatto più difficile di altri mari, il meltemi è sì spietato e più insistente di un mistràl ma è anche molto più prevedibile. L'enorme arcipelago di isole in questo mare, consente di avere sempre una terra a poca distanza e comunque mai a più di 50 miglia. Le infinite e economiche possibilità di ormeggio in Grecia ti consentono soste prolungate in porto a costo 0 e infine, l'assenza di una norma idiota come il divieto di cime a terra o i limiti di ancoraggio dalla costa vigenti in Italia, ti offre ulteriore sicurezza quando sei in rada.
Sulla spiaggia d'autunno
Ma la serenità dipende da due piccoli particolari: il tempo a disposizione e la capacità di non affezionarsi a un programma o a una rotta precisi.
Queste due cose, noi le abbiamo. La prima ce la siamo guadagnata, la seconda fa parte della nostra anima e del nostro carattere.
Pensiamo invece ai charteristi, categoria nei confronti della quale - tolto questo momento di generosa lucidità - provo un molto generalizzato distacco. 
L'incantevole località di Batsì
Arrivano in Egeo per la loro vacanza di 1 o 2 settimane, hanno studiato per mesi la rotta su carte e portolani diventando a tutti gli effetti "navigatori di carta", hanno analizzato pilot chart e statistiche meteo, poi sono arrivati qui e hanno visto la realtà. Vaglielo a dire ora che il meltemi quando insiste non smette mai, che anche se è un vento settentrionale non ha nulla a che fare con il nostro grecale, maestrale o tramontana. Che i grib non servono a molto con i fenomeni locali e che qui è tutto un fenomeno locale. Che il vento non cala di notte e quando abbassa un po' la voce è tra le 3 e le 6 di mattina ma poi, senza preavviso, magari rinforza in 5 minuti e recupera le ore perse. Vaglielo a dire ora che hanno già buttato giù la rotta,  hanno messo 6 o 7 isole nella loro vacanza e per ogni cambiamento di programma ci sono 10 teste che devono essere d'accordo.
Polpi appesi a Batsì
Li vedo arrivare con 24 ore di ritardo e ripartire con 24 ore di anticipo rispetto a quanto dovrebbero, d'altra parte i giorni scorrono e il calendario non si ferma. La spada di Damocle della consegna del venerdì è inesorabile e se il porto di destinazione è a nord, c'è poco da fare, gli tocca una bella e dura bolina. In più, possono essere bravi quanto vogliamo - e raramente lo sono - ma c'è una protagonista assoluta, la barca, che è per loro niente di più di un'amante occasionale: non ne conoscono abitudini, storia e stato generale di salute, non le vogliono bene e quel che è certo è che lei non ne vuole loro.
Insomma, dura la vita qui per quelli che "il tempo è denaro", questo è un mare che vuole il tuo tempo e quando glielo dai, allora si fida di te e te lo restituisce con gli interessi.
Salutiamo così una mezza dozzina di charteristi che in un paio di giorni vanno e vengono dal molo di Batsì. Noi ci fermiamo, a elaborare il lutto dell'estate che sta finendo, a guardare la strada che abbiamo percorso e quella che abbiamo davanti nel tempo che ci vorrà, senza prendere impegni.
Su per le montagne a Andros, uno scorcio sul versante Nord
Dato l'ormeggio solido, ci prendiamo un'auto a noleggio e attraversiamo Andros. Dopo una visita al porto di Gavrio, altro ormeggio e cittadina di scalo dei traghetti, ci inoltriamo all'interno lungo una strada che è un rosario di piccoli e gradevoli villaggi. Contiamo centinaia di chiese, mentre la strada si inerpica velocemente su un percorso montano, sentiamo il primo vero freddo, vediamo la nebbia e la nuvola nera che avvolgono le cime di questa terra rossa e verde, selvaggia e cruda. Come a Tinos, restiamo affascinati dalle cicatrici sulla terra fatte di strani muretti a secco per delimitare i possedimenti. Un lavoro faticoso e lunghissimo, un disegno unico e particolare: oltre alle classiche pietre piatte posizionate una sull'altra, ci sono interruzioni geometriche con grandi lastre posizionate in diagonale e in verticale. Un effetto artistico che deve avere però sicuramente anche una motivazione pratica, forse risparmiare le pietre e ore di lavoro. Quando il bello incontra l'efficienza, direi. 
Al Monastero di Ag Nicholaos
La roccia lascia il posto a veri e propri boschi, la terra diventa verde scuro e l'isola è ricca di sorgenti e cascate. Come cambia il panorama quando ti lasci il mare alle spalle e quanto è bella la terra quando resta selvaggia e quando è da un po' che ne vedi poca. Peccato non aver preso un fuoristrada perché molte sono le strade sterrate e impossibili da percorrere con una piccola utilitaria. Ma una giornata sola comunque non sarebbe bastata, è appena sufficiente per la rete asfaltata. 
Il monastero di Agios Nicholaos
Il monastero di Agios Nicholaos, costruito sui resti di una chiesa bizantina, è spazzato dal vento ma questo non impedisce all'unico monaco presente di passare una scopa di saggina su tutti i pavimenti esterni, togliendo e ritogliendo foglie, polvere, piccole pigne di cipresso in una danza solidale tra un vento e un uomo che si conoscono bene e che non si fanno la guerra. Il monaco mi invita a indossare una lunga gonna e ci accompagna a vedere la chiesa, ricca di icone e scura, opulenta, pesante come tutte le chiese bizantine in Grecia.
I particolari muretti a secco di Andros
Restituisco a malincuore la gonna di un raso cangiante sui toni del viola e riprendiamo la strada. Vediamo la baia di Achlia dall'alto, oggi poco protetta, poi proseguiamo verso Batsì fallendo il tentativo di visitare le rovine di Zagorà e il museo dell'antica Paleopoli, entrambi aprono un solo giorno alla settimana.
Torniamo in porto e siamo soli di nuovo, oggi non è giornata di Batsì sugli itinerari di charter.
La piccola e vivace ma indolente località di Batsì abbraccia una baia semicircolare. Gli abitanti sono calorosi e accoglienti, come in tutta Andros, in realtà come in tutta la Grecia, forse qui un briciolo di più.
L'ormeggiatore di Batsì, Iannis, (al centro)
gioca a backgammon con gli amici
Per cena, seguiamo il consiglio di Peter e andiamo alla taverna "Ta Delfinia" (i delfini), gestita da un greco e da un'austriaca. L'asticella della soddisfazione si sposta verso l'alto, questa coppia ha il dono dell'accoglienza, te ne accorgi da piccole cose. Lei, una signora di classe, si interessa di noi, di quel che facciamo e ci fa domande per capire se in qualche modo potrà esserci utile. Ci tiene a distinguersi dal ristoratore tipico del luogo, si vede, ma senza arroganza e senza giudizio. Lui mi stupisce: quando ordiniamo 4 piatti tra mezedes e piatti principali (una quantità normalmente giusta per chi come noi non mangia molto) ci dice che forse è un po' abbondante e ci invita a fermarci prima. Aveva perfettamente ragione, in Grecia è molto difficile capire la quantità che arriverà a tavola: un antipasto come i dolmadakia (piccoli involtini di riso, carne e spezie in foglie di vite) può consistere in un piattino con 5 piccoli esemplari o in un piatto di portata con una dozzina degli stessi serviti con tzatziki o salsa di formaggio. Qualche volta il prezzo aiuta a capire, più spesso no. 
alle sorgenti di Sariza
Mi commuovo assaggiando il miglior melitzana imam di quest'anno. E' il mio piatto greco preferito: una semplice teglia di melanzane, cipolla, pomodoro e erbe varie cotti in forno ma la bontà di questo piatto è direttamente proporzionale al tempo di cottura e in questo caso, il tempo è stato sicuramente generoso. 
"Sulle ricette, il capo è sempre mia madre" mi dice il ristoratore, lanciando una veloce occhiata alla moglie austriaca per non farsi sentire. "Ha 84 anni ma non consente nessuna innovazione sulle ricette tradizionali e l'imam lo fa ancora lei". Santa donna, finché la Grecia può contare su queste signore, non sarà mai davvero in crisi.

Andros è una bella nuova perla nel nostro rosario di Egeo, siamo felici di essere arrivati fin qui. 
Il faro alla Chora di Andros
Un'isola grande ma vera, autentica, a suo modo remota e solenne. Ha il carattere delle isole montagnose e il calore delle isole che vivono di tante cose, non solo di turismo. Ci dispiace andarcene e probabilmente anche qui ci torneremo. Ora riprendiamo la rotta verso sud anche se la via logica di casa sarebbe prendere a destra per il canale di Corinto, ma è ancora estate e son 2 anni che manchiamo da Milos e dal Peloponneso occidentale. C'è tempo per mettere prua a Ovest e ancora più tempo per decidere di lasciare l'Egeo.