sabato 19 ottobre 2013

Via Crucis Italia

Incontro all'inverno
Ai blocchi di partenza a Othoni, ultima preziosa gemma greca del nostro viaggio 2013,  siamo in tre: noi, uno Swan 55 con un navigatore solitario e un 9 metri canadese con una coppia anziana a bordo. Dopo 2 giorni di attesa a far sfogare la burrasca, in una breve finestra meteo che promette tanto vento ma pochi temporali, ci ritroviamo all'alba a levare le ancore tutti insieme. Il canadese resta subito staccato. Noi e lo Swan alziamo le vele insieme. Lui, cautamente, parte subito con due mani di terzaroli e il genoa rollato per buona metà. Noi no. Al Capitano, qui, piace fingere che le previsioni non esistano e prendere le mani di terzaroli solo un po' dopo che sia conclamata l'indispensabilità dell'azione. Sfrecciamo davanti allo Swan a tutta vela e mi sembra di sentirlo mormorare "Vi ripiglio, tanto vi ripiglio". Dopo 10 minuti abbiamo preso la prima mano alla randa, mentre lo Swan ammaina il genoa e, lui che ce l'ha, mette a riva la trinchetta.
Golfo di Squillace
Abbiamo 20-25 nodi di vento per tutta la rotta, all'inizio di bolina, poi al traverso. Il mare ricorda le montagne: onde alte e frangenti che vengono direttamente dall'alto adriatico, rinvigorite da 3 giorni di burrasca. Il canale di Otranto sembra un fiume in piena. A metà del tragitto sopraggiunge un motoscafo di 13 metri a 3 piani, rotola allegramente sulle onde, ci raggiunge e rallenta, sembra volersi mettere di conserva con noi. C'è sempre chi sta peggio di te, per mare. Il canale di Otranto con un'onda di 3 metri, preferirei farlo a nuoto che su questo strano oggetto sproporzionatamente alto.
Onde frangenti a Crotone
Noi che abbiamo le vele, invece, navighiamo bene, siamo veloci in maniera impressionante, facciamo una media di 9 nodi e lo swan non ci riprende proprio più. 
6 ore e 50 miglia dopo siamo a Santa Maria di Leuca, vedremo in seguito sostare  nell'avamporto lo Swan e poi andare via. Avrà chiesto il prezzo per il transito e pensato bene di continuare a navigare. 1 ora e mezzo dopo. P'acá y p'allá distacca uno Swan 55 di 90 minuti su un tragitto di 50 miglia. Non so che le ha preso quest'anno ma questa barca sembra davvero correre di più del solito.
Abbiamo cambiato la bandiera francese che sventola a poppa. Il blu era decisamente sbiadito e rischiava di sembrare un verde. Questa nuova ha un bluétte brillante che non rischia malintesi. Siamo in Italia e sembrare francesi per mare vuol dire semplicemente evitare seccature. Le motovedette della Guardia di Finanza si avvicinano, notano la bandiera e si allontanano. Potrebbero fermarti, è facile che tu sia italiano ma, anche in questo caso, i controlli che possono fare a bordo di una barca straniera sono limitati. Insomma la previsione di incasso per sanzioni perde quotazioni, non ne vale la pena. Il mare è pieno di pesci, in fondo. 
Tutto questo ovviamente vale di giorno perché in notturna, prima che il blu del tricolore appaia come blu, son già arrivati, affiancati e a quel punto - per forza di inerzia - ti controllano.
Non abbiamo nulla da nascondere allo Stato italiano e infatti è tutto documentato e facilmente verificabile. Nel nostro Paese, però, ha preso piede la pratica del controllo in mare, in qualsiasi condizione meteo, con tempi da burocrazia dell'era pre-informatica e atteggiamento vessatorio e intimidatorio. Da non sottovalutare, inoltre, il fatto che spesso alla guida di queste motovedette che ti abbordano in mezzo al mare mosso ci sono persone non dotate di elevate capacità marinare: l'avvicinamento rischia quindi di essere doloroso per la tua barca. Insomma, ottimi motivi fanno oggi dei finanzieri per mare la reinterpretazione in chiave moderna della suora incontrata per strada. "Tua, senza ritorno" si diceva. 
Appena arrivo in acque italiane, tengo sempre pronto passaporto e biglietto da visita, se mi fermano in condizioni meteo difficili nulla mi impedirà di dire loro, una volta aperte le stive e dimostrato di non aver imbarcato clandestini né merce di contrabbando,  "Ecco i miei dati. Facciamo che ci si vede a Roma, con calma e davanti a una bella tazza di caffè. Adesso togliete la vostra sporca fiancata dal nobile corpo di Paquita". Dato il mio carattere e le leggende che si narrano sulla mancanza di ironia dei finanzieri, la bandiera nuova che attesta la nostra nazionalità di barca estera è un ottimo compromesso che limita i danni.
nei pressi di Punta Stilo
A S.Maria di Leuca, abbiamo davanti quasi 600 miglia di costa italiana. Servono tutte. Mettono giorni tra una vita e l'altra, tra il mare e la terra, tra il viaggio e la casa, tra il silenzio e il rumore. Servono tutte queste miglia per accomiatarsi dal viaggio con i tempi giusti, sedimentando la nostalgia e trasformandola lentamente in voglia di arrivare. 
Mettiamo tappe e soste nella nostra via crucis perfettamente laica. Mi sento complice delle perturbazioni nella cautela del ritorno e silenziosamente grata ad ogni temporale che procrastina il rientro e ci rallenta.
L'Italia che risaliamo è via via meno simile alla Grecia ma la prima che incontri ha lo stesso spirito accogliente anche se parla una lingua diversa. Lo Ionio è il mare peggiore e, insieme, il mare migliore. Mare ignorato dalle istituzioni di un'Italia che è forse Paese di poeti e di santi ma che certo ha dimenticato di essere patria di navigatori. 300 miglia di costa senza ridossi in cui qualche eroe porta avanti la gestione di approdi. 
Perturbazione nel Golfo di Squillace
Varcare il confine è come Il primo giorno di scuola: una tragedia. Ero come tutti i bambini, ogni anno con quella per nulla originale, ingenua illusione che la tortura fosse finita, che fosse stata varata la grande riforma democratica per cui studiare diventava una scelta facoltativa e non necessariamente saggia. Ogni anno la speranza cadeva al suono melodico della mamma che entrava in camera canticchiando "di studiare è giunta l'ora, è finita la cuccagna". Non avevo idea di cosa fosse la cuccagna ma, nascondendomi sotto il lenzuolo, celebravo ogni anno il funerale di quella cosa dal suono allegro che veniva spodestata da un'orrida imitazione di sistema organizzato quale, appunto, la scuola era ai miei occhi.   
Verso Punta Stilo
Il primo giorno di scuola era il passaggio dai sandali coi buchi agli scarponcini chiusi. Era lacrime e un braccino spietatamente tirato, era righe del marciapiede da non calpestare mai. 
Ma il primo giorno di scuola, la pizza bianca di Finicelli era più buona che nel resto dell'anno, proprio perché aveva un ruolo consolatorio.
Nel cibo ho sempre trovato grande protezione dagli strappi violenti. Così, oggi, la via crucis del rientro è per me un tour gastronomico all'insegna della rassegnazione. 
Santa Maria di Leuca significa burrata. Ed è obiettivamente, per qualunque navigante non sia allergico al latte e derivati, l'unica buona ragione per fermarsi in porto.
La Burrata di Santa Maria di Leuca
Tanto inutile, quanto terapeutica è la discussione con l'addetto del marina sull'ozioso e discutibile argomento "il 4 ottobre è o non è bassa stagione?". Qui a Leuca è alta e il prezzo per l'ormeggio è di 65 euro al giorno. Ci si consola pensando che anche il 31 ottobre è alta stagione mentre il giorno successivo il prezzo scende a 21 euro. Non esistono più le mezze stagioni, insomma.
Mentre affrontiamo questa pantomima di inutile trattativa con qualcuno che sai già che finirà col dire "non dipende da me", entra l'americano del motoscafo saltellante che ci ha seguito fedelmente nel canale di Otranto e chiede la password per accedere a internet. "Non funziona, purtroppo" dice l'addetto pensando di aver liquidato la questione. Ma l'americano resta lì, in attesa. Dopo qualche minuto prova a riformulare la domanda e ottiene la stessa risposta. Sorride, pensa a uno scherzo, pensa che una cosa che non funziona in un posto dove ha pagato 65 euro per un pezzo di acqua salata è una cosa che potrebbe e dovrebbe essere riparata all'istante. Non è così e lui, meno avvezzo di noi alle conclusioni italiche, resta interdetto e basito di fronte all'inevitabile e conclusivo "Non dipende da me".
sottomarino nel golfo di Gioia Tauro
Dò all'americano indicazioni su dove comprare la burrata, contando sul fatto che tuffarsi in un mondo di bianca meraviglia a lui totalmente sconosciuta, possa consolarlo dell'accoglienza italiana così tristemente famosa nel mondo dei naviganti.
Questi prezzi di ormeggio significano una sola cosa: domani si parte qualunque cosa preveda il meteo. E, tra l'altro, il meteo dà sole 24 ore di tregua poi promette l'arrivo di Penelope, una forte perturbazione da sud che interesserà tutto la penisola per almeno 4 giorni. Noi, l'americano e un Baltic 39 rosso ci mettiamo in marcia sulla rotta per Crotone, il porto italiano migliore dove fermarsi a far passare il maltempo. Facciamo 70 miglia alternando vela e motore a solo vela. Raggiungiamo e superiamo il Baltic 39, Paquita continua la sua corsa da "barca sola al comando". Intorno a noi saltella nuovamente l'americano, ci supera e si ferma, ci aspetta, poi si decide a anticiparci in porto. 
P'acá y p'allá allo Yachting Kroton Club
Non a caso si chiamava Magnagrecia, non a caso Pitagora era nato qui, non a caso siamo su un fazzoletto di storia che vale millenni. Vorrei che l'Italia del mare iniziasse a Crotone, che la prima faccia italiana che i naviganti stranieri incontrano fosse quella di Ugo e del suo entourage dello Yachting Kroton Club. Spirito ellenico, servizio di qualità dell'Italia semplice e con la vocazione del mare. I prezzi allo Yachting Kroton Club sono la metà di quelli di Leuca ma quando ti fermi più giorni per le condizioni avverse, ti vengono incontro senza neanche ci sia bisogno di chiederlo. Un'associazione che si è assunta il  rischio imprenditoriale in un Paese dove, per la mancanza di una carta bollata, il fallimento è sempre dietro l'angolo. Lo Yachting Kroton Club ha lottato con la burocrazia italiana, le regolamentazioni assurde in materia portuale, gli ostacoli ambientali. E ha vinto. E una volta vinto, non ha pensato di rivalersi e recuperare gli investimenti esagerati sulla clientela, pur essendo l'unico ridosso sicuro in oltre 300 miglia di costa esposta. Prima delle regole del mercato, viene la legge del mare per lo Yachting Kroton Club. 
Graffetta alla crema a Crotone
A Crotone sei a casa, l'ospitalità è nel DNA della città e della sua gente. Crotone per noi è la prima pizza italiana, i carciofini selvatici e la provola fresca. Ma soprattutto è graffette alla crema bianca, bomboloni fritti ripieni di crema chantilly al limone. 4 colazioni con graffette alla crema bianca e la mia ferita dello strappo dalla Grecia inizia lentamente a cauterizzarsi. 
Penelope ha devastato lo Ionio settentrionale con 4 giorni di temporali e mareggiate. Meno male che Ulisse è arrivato a Itaca da tempo, se no questa sfuriata alla moglie non gliela perdonava e le lasciava il Palazzo con i Proci continuando la sua avventura.
Al 3° giorno, il canadese quasi solitario (la moglie resta sottocoperta anche durante le manovre) e un grande gozzo Aprea decidono di tentare l'uscita dal porto e intraprendere la via del sud. Tornano spaventati e feriti. Il canadese ci mette una mezz'ora, il tempo di uscire immergersi in un temporale nero, girare la barca su onde di 4 metri e rientrare allegramente al suo posto accanto a noi. "It was not that good, outside there" dice con una certa sportività mentre compie la manovra d'ormeggio. La signora, se esiste realmente, è sempre sottocoperta.
I temporali vanno verso il Canale di Otranto
L'Aprea invece torna indietro dopo 4 ore, il ritorno sui propri passi a questa distanza di tempo è un chiaro segno che qualcosa di grave è accaduto. Nello specifico, un'onda frangente ha sfondato un oblò a murata.
Come si fa sempre in questi casi, ci si conforta vicendevolmente con lo scambio di rassicurazioni sul meteo: domani si va.
La tappa è lunga, 180 miglia da Crotone fino a Vibo Marina, visto che con questa mareggiata il porto di Roccella è diventato impraticabile e nella fogna di Reggio Calabria non vogliamo fermarci. Evitiamo anche la Sicilia perché spendere 110 euro per un posto sull'altalena di Messina affetta dalla continua risacca dei traghetti non è assolutamente una nostra priorità. (Peccato per gli arancini, ma troveremo altre forme di consolazione gastronomica).
Punta Stilo
Il mare è in scaduta, ma lascia percepire addosso la forza dei giorni passati. Il cielo variabile promette emozioni nel golfo di Squillace e insieme punti di vista spettacolari. Essere per mare nell'instabilità ha un sapore di inquietudine e allerta ma ti permette di vivere immagini irripetibili. 
Navighiamo a vista col canadese per un breve tratto e con il Baltic 39 che, invece, mantiene il nostro passo fino alla fine. Alterniamo vele e motore, entriamo e usciamo da groppi temporaleschi ammainando velocemente tutto. In ognuno di questi groppi neri, di quelli che per estensione non possiamo evitare, lo sguardo va da te stesso alle altre barche. Ne esci indenne, ti rilassi e guardi incuriosito come reagisce l'altra barca. Sempre felice di vedere che se la sta passando peggio di te. Non è cattiveria, è solo semplice, rassicurante constatazione della superiorità della tua barca. Niente vale di più, in quei momenti.
Ma forse le stesse considerazioni le fanno sul Baltic, visto da fuori l'evento sembra peggiore, quando capita a te, mentre lo attraversi, inizi uno spontaneo processo di rimozione. Questione di sopravvivenza.
Nei pressi di Roccella Ionica
Gli occhi sono ben aperti a guardare l'orizzonte dalla parte da cui viene il vento, l'unico vero timore è di scorgere quella forma tanto naturale quanto innaturale della tromba d'aria, il grande spauracchio di chi va per mare.
Superato il Golfo di Squillace, la navigazione si fa più tranquilla, la perturbazione si sposta a est, ci lascia per investire il canale di Otranto. Sarà una lunga, nera notte senza luna ma la strada è ormai in discesa, il cielo al tramonto ha toni rassicuranti.
Stimare le rotte di collisione con navi e traghetti nello Stretto aiuta a passare il tempo. Nel mio turno di guardia un cargo di dimensioni importanti passa a 200 metri, l'allarme radar non smette di suonare e mi costringe a restare al timone per tacitarlo ogni minuto ma accantono l'idea di eliminarlo per due motivi: scongiurare la mia atavica distrazione e soprattutto perché non ricordo mai come si fa.
Stretto di Messina
"BipBipBip Pericolo-in-zona-di-guardia" e io ci teniamo quindi compagnia per un bel po'. Lui puntuale e ripetitivo, io eclettica negli insulti che gli rivolgo affettuosamente. Sorge il sole e tutto torna normale amministrazione. 
Sono davvero poche le notti che facciamo in navigazione, 3 o 4 l'anno, non di più e solo se non se ne può fare a meno. La paura è di ciò che non vedi - né con gli occhi né sul radar - boe delle reti, oggetti semi-sommersi regalati dai fiumi in piena, tutto ciò che nella notte immagini possa trovarsi sulla tua prua. E che per fortuna quasi sempre resta nella tua immaginazione.
Pescatore di Ischia all'alba
A Vibo Marina, iniziamo la nostra navigazione con soste nel mare più costoso del nostro viaggiare. Quel Tirreno via via più arrogante che si approfitta della stagione difficile per applicare prezzi al transito che ti fanno passare la voglia di transitare. Al terzo passaggio, siamo diventati più preparati e stiamo imparando ad affrancarci da questa tirannia insopportabile del nostro Paese. 
Trovo cinicamente imperdibile la consueta telefonata al marina di Capri: "vorremmo un posto barca per venerdì prossimo" chiedo, imitando un accento francese e calcando sull'erre moscia. "195 euro? Solo? Certo che Capri non è più quella di una volta, ora è posto per cani e porci".
Giuro, non ci metterei piede neanche nella settimana dei grandi saldi, un porto con questi prezzi è antipatico per definizione.
Tirreno Meridionale
Il Marina Stella del Sud a Vibo, non è economico (55 euro a Ottobre) ma almeno hai l'accoglienza e l'assistenza che finora ho incontrato solo nei marina turchi. Gli ormeggiatori vengono ad accoglierti in gommone, salgono a bordo per aiutarti, ti collegano alle utenze, sono gentili e amichevoli. Il marina, piuttosto vuoto in questa stagione, non sembra avere guardiana notturna e dalle 7 di sera alle 9 di mattina l'ufficio è chiuso. Mi segno mentalmente che sarà possibile il prossimo anno arrivare tardi e partire presto senza pagare dazio. Pare brutto, lo so. Ma vi assicuro che è ancora più brutto quando sei in condizioni difficili in mare e vuoi fermarti solo qualche ora a riposare senza chiedere null'altro che un pezzo di mare calmo e qualche ora di sonno, dover pagare per averlo.
L'ultimo tramonto in navigazione davanti alla costa laziale
Stavolta invece ci godiamo la sosta a Vibo da regolari fruitori del marina,  e colmiamo la nostra esigenza gastronomica con a scoperta dei "mini-cachi", una versione mignon del dolce frutto autunnale che qui trova un'apoteosi di sapore e di consistenza. Ceniamo in una pizzeria aperta solo per noi, la TV trasmette il nostro primo TG da 5 mesi a questa parte.
Berlusconi urla la sua persecuzione giudiziaria, Renzi attacca il suo partito, i ministri del PDL minacciano le dimissioni, Grillo insulta il capo dello stato. 
Ok, nulla è cambiato, anche stavolta. 
L'alba a Ponza
Il mare si è calmato, Penelope ha ripreso a tessere la tela e noi facciamo il nostro primo rifornimento di gasolio italiano, sapendo che purtroppo, perso il vento, non sarà l'ultimo.
Visto che l'investimento energetico diventa importante, mettiamo in gioco la nostra astuzia per risparmiare sul resto. Ce ne pentiamo nella baia degli Infreschi dove arriviamo a tarda sera e ci mettiamo a un gavitello che un paio di ore dopo prenderà ritmicamente a capocciate la nostra prua. Verso le 2 di notte ci decidiamo a fare qualcosa e, spostandoci  a motore, prendiamo un secondo gavitello a poppa in modo da tenerci distanti dalle boe e il più possibile con la prua all'onda. Va meglio ma è una notte d'inferno, altro che di infreschi. La mattina dopo decidiamo che ci siamo meritati una sosta al vicino Marina di Camerota dove Giovanni va a trattare il costo d'ormeggio, ottenendo di trasformare l'originale 120 euro in un accettabile 34 euro. Avevamo un negoziatore a bordo e non lo sapevo. 
Alba al gavitello nella Baia degli Infreschi
Avremmo potuto anche approfittare del molo di transito che ci aveva lasciato molto perplessi sulle profondità ma che, invece, una volta testato con lo scandaglio a mano, si rivela una buona alternativa per il futuro. Siamo al 3° acquisto di mozzarella di bufala e via via che ci avviciniamo a Paestum ritroviamo quel sapore di cui, non so come, abbiamo saputo fare a meno per tanti mesi. 
Mozzarella di Bufala di Agropoli 
Ma la celebrazione dell'evento "bufala", come ogni anno, trova il suo momento divino a largo di Capri con il mezzo chilo acquistato ad Agropoli e non c'è prova migliore dell'esistenza di un Dio, pardòn degli dei, visto che una prelibatezza del genere non può essere creata da una sola entità divina. Ci leggo tracce di Afrodite e di Apollo, di Dioniso e di Minerva, ritrovo la grandezza di Zeus e l'ira di Giunone. Non ho idea del perché gli dei greci non abbiano fatto lo stesso miracolo con la feta, ma tant'è. A me la mozzarella di bufala serve qui, in questo mare, dove non trovo altri motivi di consolazione. In Grecia ho altro.
Andando avanti nella mia vita di mare, ho constatato che la richiesta di un posto in transito nei porti, non viene generalmente intesa come "posto di transito gratuito o a costi irrisori a fronte di sosta breve e senza servizi", quelli della direttiva Burlando (mai trasformata in legge) secondo la quale ogni approdo italiano, inclusi i marina, dovrebbe riservare il 10% degli ormeggi a navigatori di passaggio per un massimo di 72 ore.
Alba a Ischia, Sant'Angelo
No, quando dico "avremmo bisogno di un posto in transito" vengo quasi sempre indirizzata a concessionari privati. Manca la parola magica che non ho mai amato usare: "gratuito".
Adesso, da un punto di vista linguistico non è sbagliato che il transito sia esteso a tutti coloro che sono di passaggio, indipendentemente da un ormeggio con o senza servizi e con o senza un dazio incomprensibilmente alto da pagare.
A largo di Agropoli, facendo su me stessa un training autogeno piuttosto significativo, mi decido per la prima volta ad utilizzare la parola magica e per incanto ottengo la risposta desiderata "Il molo di transito è a ridosso del sovraflutto, se trova posto può ormeggiarsi dando fondo con l'ancora".
Evviva! 
Sant'Angelo d'Ischia
Esaltati dal record di budget porti italiani più basso del nostro triennio navigante, continuiamo così la nostra strada e dopo esserci fermati in rada a S.Angelo d'Ischia, snobbiamo Ventotene e approfittiamo del molo di transito di Ponza che dalle 17 alle 8 di mattina ti consente l'ormeggio gratuito al molo dell'aliscafo. 
A Ponza, ritrovo la mia Milos che quest'anno è mancata all'appello delle isole dove tornare sempre. Qualche colore in meno nelle falesie ma quella stessa atmosfera lunare, friabile, eterea e perenne. 
Manca una sola lunga tappa, Ponza - Argentario, quando l'amico Carlo mi scrive "Sarò a Ponza  con un collega dopodomani, riusciamo a vederci?" In teoria no, in pratica sì. 
Lo scoglio della Botte, sullo sfondo Ponza
Siamo in una sorta di limbo, in attesa che il posto barca invernale a Cala Galera di cui siamo ogni anno omaggiati da un affezionato cugino, si liberi. Siamo in anticipo sui tempi, il meteo è stabile, la fine del viaggio fin troppo vicina. Quindi, grazie dell'ottima scusa Carlo, ci si ferma un paio di giorni.
E passiamo una bella serata insieme a bordo di Paquita a raccontarci pezzi di Grecia, di mare e di scrittura. 
Ponza - Cala Galera: 125 miglia che si annunciano subito come le più care della storia. Il vento non sale mai oltre i 6 nodi di reali e perfettamente in poppa, quasi completamente inutili le nostre vele se non a dare un messaggio di pace al mondo intero. 
Ponza, Cala del Core
A Ponza abbiamo riempito il nostro serbatoio  con un gasolio che deve essere di buon'annata o millesimato considerato che lo paghiamo più di 1,90 Euro al litro.
Bentornati in Italia....
Davanti a Torre Astura ci sono le esercitazioni militari, scoppi ripetuti ci fanno sentire assai poco desiderati e danno l'impressione di volerci tenere lontano. Davanti a Civitavecchia facciamo lo slalom notturno tra enormi navi da crociera, su una contiamo 13 piani.
Quando mancano solo 15 miglia all'arrivo, verso le 10 di sera, mentre a bordo la tifoseria si divide tra tifosi della Roma e del Napoli all'ascolto della buona vecchia radiocronaca che ha il suo perché in termini di suspense, ecco che, improvvisamente e dalle spalle…… "arrivano i nostri".
Incrocio con nave crociera al largo di Civitavecchia
Un potente rombo, non assimilabile a una ola da stadio, ci giunge all'orecchio e ci fa temere che il nostro amato motore abbia improvvisamente deciso di moltiplicare i suoi cavalli e diventare un turbo. Per fortuna Volvy sta bene. Giovanni si affaccia fuori e nel buio più totale vede sopraggiungere a grande velocità il gommone della Guardia di Finanza. Mannaggia, è notte, la bandiera mostra le sembianze di Giovanna d'Arco solo a a affiancamento avvenuto.
"Buonasera, che è successo?" gli chiede Giovanni fingendo di non sapere che questi abbordi in mare sono la stupida prassi del nostro Paese e che non hanno bisogno di  essere giustificati da un urgente e importante motivo.
Il porto di Ponza
"Controllo documenti" è la lapidaria, se pur gentile, risposta. 
Poco consci del concetto di abbrivio, i nostri eroi ci ripetono un paio di volte di fermare l'imbarcazione. Mi trattengo dal far riferimento al freno a mano guasto.
Esco con passaporti e biglietto da visita pronta a lanciare il mio "Teniamoci in contatto, mo' son stanca, ci si vede tra qualche ora in porto e davanti a un bel caffè, eh?" ma colgo lo sguardo ammonitore di Giovanni che tradotto per chi non ci vive insieme da quasi 30 anni, vuol dire "Non ti ci appiccicare come al solito tuo che, se no, qui si fa l'alba"
E va bene, il mare è calmo, sopportiamo questa angheria.
Ora, qualcuno deve spiegarmi il senso di un abbordo in mare di notte se non finalizzato a scoprire cosa nascondiamo a bordo. Clandestini? Cocaina? Tabacco e Alcool di contrabbando? Insomma, volete dare un'occhiata visto che siete lì?
L'ultimo tramonto
No, non gli interessa, vogliono solo i documenti nostri e della barca, l'assicurazione e soprattutto le ricevute del pagamento di una tassa nautica che è stata abolita.
A cosa serve il libretto della barca, non lo so, visto che ci chiedono se siamo noi i proprietari e se è scaduto il leasing, cosa che ovviamente è riportata sul documento. Forse vogliono vedere se siamo preparati.
Mentre scendo sottocoperta per prendere il fondamentale "porto d'armi" del motore fuoribordo da 2,5 cavalli, i nostri chiedono a Giovanni quale è il valore di acquisto della barca.
Scoglio Rosso all'alba (Ponza)
Ora, non so cosa sia scattato nella sua testa, forse la sensazione che la domanda fosse in qualche maniera sconveniente, forse il dubbio che fosse opportuno o meno rispondere ma decide, in modo molto peculiare, di prendere tempo e di gettare la palla nel mio campo. Da sottocoperta sento quindi il Capitano chiedermi con una nonchalance lievemente annoiata stile Flavio Briatore "Ti ricordi per caso quanto abbiamo pagato QUESTA barca?".
Calcando sul "questa" come avessimo un'intera flotta aziendale di barche da crociera, da scegliere in base alla stagione e al miglior abbinamento con il costume da bagno.
Condividerete che non è la migliore impressione da dare alla Guardia di Finanza da parte di chi può, grazie alle follie del redditometro e del vissuto italiano per cui la barca è oggetto di lusso, essere considerato un perfetto incongruo.
"E me lo ricordo, sì, che me lo ricordo" intervengo io cercando di ridimensionare l'aplòmb da miliardari che abbiamo improvvisamente assunto.
Arrivo nel Tirreno Settentrionale, ultimo mare
Va bene,  ci sarà modo e tempo in futuro di far capire a questi signori che forse siamo incoscienti, forse siamo poco lungimiranti, forse un giorno perderemo tutto e vivremo sotto un ponte facendo barchette di carta su cui scriveremo P'acá y p'allá e che lasceremo scivolare sul Tevere, ma che non vi è proprio niente di incongruo nel prendere la propria vita e giocarsela in mare. 
Speriamo che per il momento in cui dovremo spiegare tutto questo, l'approccio italiano sarà cambiato, altrimenti - e comunque - avremo almeno qualcosa da raccontare.
Per ora, il nostro reddito non interessa loro, in una mezz'ora trascrivono a mano e su carta carbone i dati che gli interessano, ci rilasciano un foglio che attesta la regolarità del pagamento della tassa nautica (ma l'avevamo già con il nostro F24) da mostrare per eventuali nuovi controlli.
Il bollino blu? No, quello non c'è più, era un'iniziativa che scadeva il 15 settembre. Una promozione estiva, insomma. Meglio così, non avrei mai offeso la mia splendida barca con quell'orribile adesivo.
Mentre la radio in sottofondo ci dice, per la gioia del Capitano, che la Roma trionfa, riprendiamo il mare e torniamo a casa.

5 mesi e 3.700 miglia dopo, torniamo da dove siamo partiti. Il nostro marina invernale ci accoglie con il silenzio della notte e un'aria tiepida ci illude che il tempo di ripartire sia a poco più di un soffio di vento.

giovedì 3 ottobre 2013

Le Ionie diverse.

Ormos Variko e la Grecia continentale di fronte a Levkas
Il canale di Levkas e, soprattutto, la sua uscita a nord hanno sempre rappresentato, per noi, un deterrente alla via continentale delle Ionie. Il canale, scavato nella palude salmastra tra l'isola di Levkas e il continente, è costantemente dragato ad una profondità di 6 metri, ridotta a volte dall'interrimento a un minimo di 3,5 mt. 
Esperienze di navigatori, o leggende chissà, narrano di boe di delimitazione spostate a mano dai pescatori locali per favorire l'incaglio delle barche in transito e poterle liberare dietro dazio pesante. Non è questo che ci ha fermato, non credo a questo modo di fare così lontano dai greci che conosco. Il peschereccio che per 50 euro ti tira fuori dai guai trainando la tua drizza del gennaker e sbandando la tua barca c'è ma staziona all'uscita del canale ed è una mano santa per un prezzo davvero ragionevole. No, la nostra preoccupazione è sempre stata l'ingresso Nord del canale dove una barra di sabbia rende molto variabile il fondale e crea, negli armatori di barche con pescaggio importante, quel brivido adrenalinico che non è per niente piacevole avere. 
Per questi motivi, abbiamo finora preferito la via esterna, quella che passa a occidente di Levkas e ti permette di costeggiare un tratto di terra davvero bello e selvaggio che, nella punta sud dell'isola, coincide con la famosa rupe del salto di Saffo e con un litorale di ciottoli bianchi che possono essere annoverati tra le meraviglie della Grecia.
Nuvole greche
Come rovescio della medaglia, questa è una rotta decisamente scomoda sia verso sud che verso nord: mare quasi sempre disordinato e formato, onda che torna indietro dalla costa e ti ridonda addosso, ridossi assenti fatta eccezione per un ancoraggio precario di poche ore in condizioni di meteo stabile.
Per esperienza - su questa rotta, andando verso Nord e coi venti dominanti - è sempre meglio fingere per un paio d'ore di avere come destinazione Siracusa, poi ravvedersi e dire "abbiamo sbagliato strada, Paxos è d'all'altra parte!"
Insomma, fare due bordi.
Con questi presupposti, abbiamo sempre tralasciato nei 5 passaggi precedenti tutta una serie di isole o parte di esse che apparivano fuori rotta: le Ionie diverse, appunto. Quelle tanto vicine al continente da essere differenti per definizione. Il mio bisogno di nuovo, quest'anno, ci fa cambiare strada.
Dragonera - Echinades
Superiamo quindi le nostre perplessità sul canale e decidiamo la rotta Ionia: Echinades, Kastos, Kalamos, Meganisi, Est di Levkas, il canale maledetto e poi, di nuovo sulla strada principale, Paxos, Corfù, Erikoussa, Othoni. Certo, per tornare a casa è una strada ben più lunga della traversata Cefalonia - Stretto di Messina ma che fretta c'è? 
La voglia, data la stagione, di traversate brevi e solo diurne sigla, nel bene e nel male, la nostra scelta.
Dopo la solitudine egea, l'arrivo allo Ionio, persino nel mese di Ottobre, è decisamente traumatico. Il charter nautico sembra in piena stagione: flottiglie di 10 barche, con a bordo per lo più tedeschi e nord europei in genere, prendono la quiete del mare e ne fanno carne di porco. Atokos è inavvicinabile, c'è la fila sulla punta per guadagnare un ancoraggio a One House bay. Il porto di Vathi a Itaca alle 5 è preso d'assalto da marinai affamati di terra e di posto in banchina. 
Itaca, il porto di Vathi
Avvisiamo lo skipper di un 37 piedi che il suo tender sta andando alla deriva fuori dal golfo. Nella foga di sistemare i parabordi miglia prima del porto ha evidentemente sciolto per sbaglio la cimetta del gommone. Lo skipper ci ringrazia ma allo stesso tempo ci guarda con odio perché per andare a recuperarlo perderà posizioni nella fila e probabilmente l'agognato ormeggio a terra. Noi non ci proviamo neppure a competere: in certe situazioni stare all'ancora è una benedizione. Per la barca, per il sonno, per le orecchie e per il tuo stato mentale. 
Le isole Echinades sono una manciata di scogli disabitati poste tra la costa dell'Etolia e le isole di Levkas e Cefalonia. Il loro nome è, già di per sé, un segnale per i naviganti. Viene da echinus=riccio di mare e rappresenta bene la caratteristica di scogli appuntiti e frastagliati, poco accoglienti per chi desidera buttarvi l'ancora. 
Nel mito, le Echinades sorsero per opera del permaloso dio fluviale Acheloo che seccato di non essere stato omaggiato dalle distratte ninfe Naiadi, con una furia inaudita provocò una piena improvvisa del fiume e scaraventò le 5 sfortunate fanciulle in acqua trasformandole in isole appuntite. Nella storia, invece, questo specchio di mare fu teatro della importante e sanguinosa battaglia di Lepanto che rappresentò la prima fondamentale vittoria delle flotte cristiane sull'armata ottomana. 
La costa meridionale di Kalamos
Torniamo a oggi.  Dalle flotte, alle flottiglie. Non meno armate, quest'ultime e di gran lunga più devastanti. 
Campo di regata eccezionale con venti sempre a regime di brezza e mare abbastanza calmo, le isole ionie sono terreno fertile per le basi del charter nautico. Kastos e Kalamos, insieme a Itaca, Lefkada, Meganisi e la vittima sacrificale Atokos, sono il terreno di battaglia. Qui l'estate non finisce mai, neanche sotto gli acquazzoni o con le giornate che si accorciano. Nei porti, dalle 5 di sera inizia una lenta processione con capi-flottiglia a bordo di gommoni che coordinano l'ormeggio di skipper improvvisati. 
I navigatori di lungo periodo, su barca propria, hanno tutti la stessa espressione di orrore dipinta sul volto e una sola importante domanda nella testa: "dove andranno questi vandali domattina?"
Scatta la solidarietà tra armatori, ci si individua, ci si riconosce, si parla più del solito mentre ci si scambiano informazioni preziose su ancoraggi non ancora scoperti dai barbari del nuovo millennio. 
La processione delle flottiglie charter al porticciolo di Kalamos
Imperdibile è il briefing alla flottiglia sul bar del porto. Su una grande lavagna il capo ha disegnato la rotta dell'indomani e assegnato i posti nelle rade; vi è anche, disegnata grossolanamente, una mappa della baia della destinazione finale dove sarà tenuto il rumoroso banchetto del giorno. Fondamentale saperlo, per poter cambiare i propri programmi e andare decisamente altrove.
Giorno di grazia è il sabato, quando i charter prevedono la riconsegna della barca per fare le pulizie e riparazioni di rito e affidarla a nuovi vandali della settimana che viene. E il sabato il mare si rigenera, respira, prende ossigeno, si prepara al nuovo assalto. Gli armatori tornano a sorridere e l'incanto riprende il suo posto.
"Wellcome in Kalamos, my name is George"
Kalamos ha un piccolo porticciolo grazioso sormontato da un paesotto anonimo e senza particolari note. La magia delle chore cicladiche è lontana anni luce, qui l'architettura è molto più vicina alla nostra: la semplicità della calce bianca e degli schemi semplici che ben ammortizzano il gusto della costruzione, lascia il posto ad una varietà di materiali costruttivi e alla fantasia di pessimi geometri.  Nulla di orrendo ma niente di particolare. La cosa più bella di Kalamos è George, proprietario della taverna sul porto che ha attuato la miglior politica di marketing vecchia come il mondo. Io ti dò una mano e poi ti dico come puoi sdebitarti. George corre ad aiutarti, ti indica dove ormeggiare, dove buttare l'ancora e ti prende le cime d'ormeggio. Ha pronta anche un dinghy con cui aiuta i capitani meno coraggiosi ad affrontare il vento laterale. Finché il porto non è pieno, George sta all'erta. Se al tramonto avanzano posti, esce col dinghy e va a cercare qualche nuovo adepto in rada. 
P'acá y p'allá a Meganisi
Dopo averti aiutato a ormeggiare,  con la cantilena tipica dei messaggi ripetuti più volte, ti dice: "Benvenuto a Kalamos, io sono George, la mia taverna è quella laggiù". Semplice, diretto, efficace.
E la taverna si riempie ogni sera. Ah, se solo potessi far vedere tutto questo ai miei colleghi e clienti della vita precedente. Far capire loro che il successo nella vita, come nella comunicazione, è tutto nella semplicità, nell'essenzialità, nell'onestà degli intenti. 
Buttate a mare quei viral, quelle promozioni falloppie, quei diavolo di pop-up internet invasivi e aggressivi, quelle mail spam e quelle ridicole telefonate dei call center. E imparate da George come si fa. Cortesia, discrezione, fantasia e informazione. E il successo viene da sé.
Continuiamo il nostro viaggio nelle Ionie diverse, alla disperata ricerca di pezzi di sabbia dove gettare la nostra ancora. Sono molto verdi e molto rocciose queste isole, con acque profonde e cale costellate di barche con le cime a terra. Meganisi, incredibilmente frastagliata, offre molti ridossi ma l'atmosfera ricorda molto la Turchia. Grandi cale vuote al centro e costellate di barche ormeggiate a terra. Lo strappo con l'arida bellezza della Grecia egea è ormai definitivo. 
Cantiere a Ormos Vlikho (Levkas)
Per curiosità, entriamo a Nidri a Levkas e scendiamo nel golfo di Vlikho dove molte barche giramondo si fermano a svernare nei cantieri a terra o fermi alle boe. Un grande golfo, completamente chiuso al mare, un lago tranquillo dove, due anni, fa una violenta tromba d'aria portò devastazione e terrore. Decine le barche distrutte e gli armatori sconfitti. Il mare e il vento comandano ovunque.
Una bella scoperta è la baia del campo di grano, sul continente di fronte alla costa est di Lefkada. Una grande baia sabbiosa sormontata da una collina dai colori dell'oro. 
La baia del Campo di Grano - Costa continentale dell'Etolia
Affrontiamo il canale di Levkas di mattina. Ricorda molto il canale di ingresso a Mesolongi. Le boe ci sono quasi tutte e sono al loro posto, gabbiani e aironi cinerini sfilano al nostro passaggio. Subito dopo il marina e il porto della città c'è un ponte girevole che collega l'isola alla terraferma. Si apre allo scoccare di ogni ora, giusto il tempo di far passare le barche in attesa. Il mare è tranquillo fuori e questo facilita il passaggio. Le barche che si accodano a noi tirano un sospiro di sollievo: hanno pescaggio inferiore al nostro, basta che ci seguano ed eventualmente ci fosse un ostacolo lo prendiamo noi e loro si salvano. Il peschereccio del salvataggio è lì e probabilmente si augura che tu abbia bisogno del suo aiuto ma inganna il tempo a pescare e gli uomini a bordo mascherano bene qualsiasi forma di cinismo.
La barra sabbiosa all'ingresso N del canale di Levkas
La barra sabbiosa è bella e ben visibile, procediamo con cautela, Giovanni con l'occhio sul profondimetro, io sull'acqua a prua. Il fondo non scende sotto i 3, 2 metri si passa in modo indolore, P'acá y p'allá si rilassa e riprende il mare aperto che le è decisamente più congeniale. 
Troviamo un'Antipaxos insolitamente tranquilla, poche le barche in rada, nessuna flottiglia. I colori di queste acque ci rinfrancano delle atmosfere lacustri in cui siamo passati. L'ultimo bellissimo bagno greco è a Paxos, nella baia di Agrilas. Il problema degli ultimi bagni è che non sai mai quale sarà, ne fossi consapevole te lo vivresti ancor più pienamente. 
Paxos, Ormos Agrilas
Facciamo un veloce stop a Gaios, prendiamo il nostro posto nel canale interno, arrivando sufficientemente presto. Una roccia a destra e una sinistra della nostra abbondante pala del timone, ci obbligano ad un ormeggio sgradevolmente largo e al dover spiegare alla processione di barche che arriva al tramonto che non possiamo farci più in là. Alla decima spiegazione, suggerisco di mettere un bel grippiale (così finalmente gli diamo un senso) nello spazio vuoto con cima a perdere sul fondo con la finalità di scoraggiare futuri approcci e mascherando il tutto dietro una faccia che dice "boh, non so, deve essere un ormeggio fisso di un pescatore". Metodo molto partenopeo ma decisamente più pacifico e riposante di ottenere lo stesso risultato.
Inizio della navigazione verso Corfù, il cielo minaccia...
Il giorno dopo c'è una forte perturbazione con venti da sud e temporali che fa da prologo a una settimana di forti venti da nord. Avendo noi rotta nord, decidiamo di salpare per Corfù, il vento quando lo hai alle spalle favorisce decisamente i tuoi spostamenti. All'abbandono del nostro ormeggio, decine di barche a litigarsi il posto, sembra di essere in metropolitana solo che qui i contendenti sono decisamente meno discreti.
La perturbazione è di quelle coi fiocchi. Cielo nero, lampi, tuoni, temporali. Non ci risparmia nulla. Navighiamo col solo fiocco per il primo tratto, un assetto che non amiamo per nulla perché tende a sbandare la barca e l'assenza della randa rende difficile sotto raffiche ammainare la vela. Facciamo 12 nodi di velocità, letteralmente voliamo anche se poco invelati. Cerchiamo di schivare i temporali ma il cielo si copre di nero e la nostra è una battaglia inutile. 
Temporali a Corfù
Fulmini cadono intorno a noi. Assistiamo increduli alla processione al contrario di 3 barche. Assurdo, pericoloso, privo di senso, cavalcare questo mare con questo tempo e onda contraria. Soprattutto quando è scritto che domani il vento torna da Nord. Il nostro incedere, nella direzione giusta,  al loro confronto diventa agevole. 
I groppi temporaleschi si susseguono e le raffiche sporadiche diventano costanti raggiungendo il picco di 49 nodi. Vediamo un paio di barche sparire dentro i groppi di pioggia battente a poche centinaia di metri e anche noi facciamo lo stesso in uno strano e per nulla divertente modo di giocare a nascondino. Sono momenti che durano anni. Con una palesemente finta nonchalance, Giovanni mi chiede di accendere il winch elettrico e sperimentiamo l'arrotolomento del fiocco in maniera controllata, centimetro per centimetro.
Tra un temporale e l'altro
Un'ottima manovra, sgradevole per il fiocco che viene un po' stritolato ma sicura per noi e per la barca in generale. Sarà sufficiente srotolare la vela e rollarla nuovamente a mano appena cala il vento per evitare questa tortura inutile. Siamo a secco di vele, a motore spento, siamo un pezzo di vetroresina e teak sospinto dal mare e dal vento. La nostra velocità pur non avendo alcuna forza propulsiva interna è di 8,5 nodi. La barca si governa benissimo. Sarà la mano del comandante, sarà la pala del timone lunga due metri o la forma della carena ma non sbandiamo per nulla. Ancora una volta, sono stupita dalla nostra barca, dalla sua capacità di reagire al mare, dal suo essere in grado di proteggerci e di portarci via veloce.
Vento in poppa, poco prima dei 50 nodi
Arrivati a Corfù, cerchiamo il primo riparo possibile. Qualcuno dica a Rod Heikell, autore del portolano,  che si naviga anche fuori stagione e con venti diversi dai dominanti. Ergo, sarebbe il caso di parlare anche degli ancoraggi buoni con vento da sud e, soprattutto, quando si bolla un approdo con il bollino "totalmente esposto" va chiarito a quali venti lo sia. 
Troviamo il nostro bel riparo nella grande baia con fondo sabbioso a Ovest della punta di Ak Levkimnis e finiamo di lavare la barca con abbondante acqua piovana all'àncora. Per la notte ci spostiamo davanti a Petriti, ridossati dal vento che gira a Sud Ovest. 
Cieli d'autunno a Corfù
La buona stagione è definitivamente tramontata e, se qualcosa ci toglie, molto ci regala: i cieli in costante cambiamento sembrano tele dipinte da artisti. 
La luce del sole più bassa, toglie trasparenza e colore al mare ma satura e polarizza i colori della terra. Sono immagini che ti riempiono gli occhi e l'anima e che spiegano bene, meglio delle parole, perché si sceglie di star tanto tempo in mare.
All'ancora sotto la fortezza di Corfù
Continua la perturbazione e noi continuiamo a salire, velocemente perché a questo punto del viaggio, le miglia da fare diventano più importanti delle cose da vedere. È una sorta di partita a scacchi con il meteo, ogni passo deve essere calcolato, misurato e preciso e non indulgere mai nella distrazione. 
I groppi temporaleschi di ieri hanno lasciato il segno e di quei segni che a vederli ogni marinaio si sente male. Vediamo 3 barche a scogli, una arenata sulla spiaggia sotto il forte di Kerkyra città. Lavorano per rimetterla in acqua, controllando bene lo scafo perché se ci son falle è meglio lasciar perdere, meglio lasciarla a terra se non si vuole colare a picco in un attimo. Deve essere successo stanotte, un ancoraggio troppo vicino a terra, una raffica violenta che speda l'ancora, un motore che nulla può in questi casi. Un capitano disperato. Sono scene in cui è impossibile non immedesimarsi. Può capitare a chiunque di noi, lo sappiamo bene.
Tramonto a Othoni
Aspettiamo che il cielo si rischiari un po' per proseguire l'ascesa. Il bordo su Othoni è una bella bolina stretta, il vento ha girato e ha acquistato violenza. 2 mani di terzaroli e fiocco e continua a aumentare. Ripieghiamo su Erikoussa e diventa bolina larga. Ci fermiamo in rada davanti al porticciolo da pesca ad assorbire i colpi di questo vento freddo che viene dall'Italia e che ci dice che forse non ci vuole far tornare a casa. 
Procediamo per piccoli passi. Le 7 miglia fino a Othoni sono dure, impegnative per noi e per la barca. A volte 7 miglia sembrano 70 e l'ultimo miglio è come un filo infinito che tiri tiri ma il capo non arriva mai. 
Il trattamento Meltemi alla bandiera greca
Il mare monta subito dietro la punta della rada di Othoni, onde frangenti a poche centinaia di metri e noi qui ad aspettare che passi. Se passa. 
E abbiamo finito la Grecia, anche per quest'anno. Ammainiamo la bandiera di cortesia che porta addosso i segni di questi mesi e, come una clessidra capovolta, ci mostra, con il suo consumo, che il tempo è scaduto. La strada ancora è lunga e d'ora in avanti si chiama Italia.

Ciao Grecia, mio Paese, mio mare, mia nuova vita. Torno presto, ormai puoi fidarti.