I gravi fatti degli ultimi giorni arrivano qui a frammenti, attutiti da miglia e miglia di distanza fatta di acqua di mare capace di alleggerire ogni inquietudine.
Dopo il golpe fallito in Turchia, puntuale arriva la telefonata del mio papà. "Ma voi siete al sicuro lì?".
Si è trattenuto, lo so, avrebbe voluto farmi la stessa domanda dopo la tragedia di Nizza, ma in questo caso può fingere un minimo di perdonabile confusione geografica.
Si è trattenuto, lo so, avrebbe voluto farmi la stessa domanda dopo la tragedia di Nizza, ma in questo caso può fingere un minimo di perdonabile confusione geografica.
Mi guardo intorno prima di rispondergli. Chi può dirsi al sicuro, oggi? Per mare non sei mai al sicuro ma allo stesso tempo elimini dalla tua vita quei rischi più frequenti che fanno poca paura solo perché siamo loro statisticamente abituati.
Mi rendo conto di essere ai confini su quest'isola che è lontana dall'Europa, lontana dall'Africa, a cui gli ultimi rilevamenti attribuivano una trentina di abitanti in questa stagione rafforzati forse da una dozzina di turisti, camminatori per lo più. Ai confini non del mondo o dei conflitti, ai confini della tua stessa anima.
Ciò che vivresti con ansia e partecipazione, piena di stupide certezze sul bene e sul male derivate dalla difesa ottusa in discussioni continue e sostanzialmente inutili, ora lo leggi solo con tristezza e umana pietà, comprendendo che non vi sono ricette per il mondo se non quelle individuali del fermarsi e chiedersi cosa c'è di sbagliato e cosa si può cambiare.
"Sì papà, non c'è posto al mondo più sicuro di questo"
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