C'è qualcosa che ti porta a tornare sempre negli stessi luoghi, a un certo punto del viaggio. Eppure pianifichi di non farlo, perché del poco che resta di non fatto, hai quasi bisogno. Meganisi, l'isola sempre sfiorata, toccata una volta per una breve sosta, ma per lo più lasciata sfilare ora a dritta ora a sinistra era l'isola in cui volevamo fermarci oggi.
Il molo dotato di corrente, come confermato dagli amici, era un'attrazione in più in giornate come queste in cui i pannelli solari restano a dormire. E poi la bottiglia di bianco messa in frigo da Filippo che ci aspettava lì con il suo Morgana, il suo amico chef che preparava manicaretti per noi.
E invece no.
Alla fine, quando non decide il vento, decide il cielo, anzi direi che il cielo è in certi casi più autoritario del vento. Verso nord, all'improvviso un muro nero, lampi educati ma decisi rischiaravano a tratti un'orizzonte comunque privo di visibilità. A ovest su Itaca, un chiarore maggiore, qualche sprazzo di azzurro in cielo. Come un richiamo. Lo sappiamo che arriverà pure lì, ma in queste situazioni e in questo tratto di mare staccarsi dal continente regala più possibilità.
Ma non è nemmeno questo il vero motivo. Torni nei luoghi che conosci più facilmente di quanto vai a trovarne di nuovi, in questa stagione. Torni nei luoghi che son già stati base della traversata di ritorno, come un ticket da prendere, come un commiato necessario. È rassicurante, consolatorio e confortante. Come una tazza di tè caldo tra le mani in un autunno che, contrariamente a quanto mi ostino a pensare non ha affatto deciso di rinunciare al suo ruolo.
Ovviamente, appena cambiata la rotta ha diluviato, lampeggiato e tuonato sopra di noi, davanti a noi e fino al nostro arrivo. Ma poi ha smesso, dispettoso cielo, e ci ha restituito i colori.
Chissà, magari domani torna l'estate, me la porta l'arcobaleno.
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