È il periodo delle scuse, questo di campagna elettorale. Delle promesse che non servirà mantenere e delle giustificazioni non richieste che evidenziano colpe non ancora svelate. E volentieri mi ci immergo in questo periodo, a mio modo e nel mio piccolo contesto. Grazie al cielo, al contrario di quello politico, il mio mondo è deresponsabilizzato. Le mie scuse non verranno smontate punto per punto, nessuno citerà le mie pregresse affermazioni semplicemente perché nessuno le ricorderà. Fassino disse "Questo Grillo, fondi un partito e vediamo quanti voti raccoglie…", io semplicemente dissi "settimana prossima scrivo" e questa settimana è sempre la prossima. Non avevo quindi mentito, né tantomeno sbagliato previsioni.
Scrivere e navigare. La barca che scivola sull'acqua, gli orizzonti infiniti, il tempo scandito dal percorso giornaliero del sole, gli incontri e gli incontri mancati. Sono tutti ingredienti che stimolano a scrivere.
Peccato che in quelle condizioni, le lunghe pause di pensiero, quando le mani si fermano sulla tastiera, segnano il tic tac del consumo della batteria, quella lenta erosione della tua autonomia energetica che è la cosa più importante per mare. E allora, pensi, scriverò quando sono a casa, dimenticando che la tua musa sarà allora troppo lontana. O forse, ecco pronta un'altra scusa, forse semplicemente non ti piace la fine. C'è chi non riesce ad andare a dormire se non ha completato un'opera, chi si sente uno sconfitto se lascia le cose a metà, chi di questo, invece, pur senza volerlo, fa una professione. Eccomi qui: l'imperitura autrice di opere incompiute.
Sì lo so, siamo rimasti a Lefkada. Non noi, ma il racconto di noi. Come un personaggio di romanzo incastrato a un incrocio, indeciso sulla strada da seguire. Forse deluso dall'ipotetica fine di quel romanzo e impaziente di saltare in un'altra storia, che sia solo all'inizio, che sia tesa verso lo svolgersi del mistero nel suo divenire. No, non siamo rimasti lì, sulla costa ovest di Lefkada a bolinare verso Paxos, ci siamo arrivati a Paxos e ci siamo fermati nel piccolo porticciolo di Gaios, fuori stagione, a metabolizzare il nostro annuale "arrivederci Grecia" .
Abbiamo incontrato Fabrizio degli Amici della Vela ed è stato bello essere accolti da un "Che ci fate qui, non dovreste essere alle Cicladi?" da parte di qualcuno che non hai mai visto. Abbiamo ri-accolto Roberto e il suo Denecia, i suoi strumenti musicali, la sua allegria, la sua malinconia del ritorno dipinta su un viso che somiglia ai nostri. Abbiamo celebrato il nostro navigare confrontando di nuovo le nostre rotte e immaginando quelle future. Abbiamo navigato affiancati fino a Rocella Ionica, dove per la prima volta abbiamo deciso di entrare, sfidando i bassi fondali. Ci siamo ormeggiati alla banchina, decisamente pensata per barche sotto i 10 metri, senza corpi morti ma con i pontili a dritta e a sinistra dove legare le cime. Roberto è arrivato poco dopo di noi con l'invertitore rotto e non è piacevole entrare in porto in queste condizioni. Ma gli amici servono per questo ed è bello trovarli pronti a saltare a bordo e a darti una mano. Il tempo di una serata insieme in un porto deserto d'autunno e abbiamo ripreso la via, noi verso la Toscana, lui verso Napoli con deviazione su Siracusa.
Come al solito il nostro ritorno è una battaglia con le perturbazioni che incombono e ci regala lunghe navigazioni, brevi e costose soste nei porti italiani per riposare, trombe d'aria da schivare e l'accoglienza della guardia di finanza che si avvicina, resta delusa dalla nostra bandiera francese e si allontana di nuovo. Con la faccia un po' così, come quella di uno scippatore che dopo aver buttato a terra la vecchietta, si ferma dietro l'angolo a guardare il bottino e scopre che nel portafoglio ci sono solo 5 euro. Per fortuna i finanzieri non tornano indietro a prenderci a calci.
Il 13 ottobre siamo tornati a casa, al nostro pontile, per l'ultima volta. Non possiamo continuare a pagare 7.000 euro per un posto che utilizziamo 3 o 4 mesi l'anno. Ci siamo nati, ci sentiamo a casa, ma è una casa troppo costosa. Se abbiamo deciso per noi stessi di essere nomadi e provvisori, tocca che anche P'acá y pallá si abitui e faccia i conti con il suo nuovo stato di "Senza fissa dimora". Addio posto barca annuale, dal 1° gennaio la nostra barca rientra a tutti gli effetti nella categoria degli scrocconi, ormeggiata a un rinnovato pontile di Cala Galera, ospite di un'altra barca che d'inverno se ne sta a terra. Fino ad Aprile siamo a posto, poi saliamo a terra pure noi, facciamo il necessario rimessaggio e quando si tocca di nuovo l'acqua sarà per partire. Dove rientreremo a fine stagione? Chi lo sa. Rientreremo? Chi può dirlo? A fare cosa?
Tornare in città, anche stavolta, ha il sapore dell'incognita prolungata. Ma mai come questa volta la ripresa della vita cittadina mi appare un'inutile opposizione al destino. Schivando i pronostici pessimisti di chi a terra ci è rimasto da quando noi l'abbiamo lasciata, mi sono adoperata per dare un senso al ritorno e per cercare di mettere un po' di confortanti righe in nero nel mio estratto conto bancario che è un deserto rosso. I passi sostanzialmente sono 3: 1) Cercare un'opportunità di lavoro 2) Fare un'offerta economica che possa essere accettata dal cliente e lavorare. 3) Ottenere che quell'offerta venga anche saldata previa presentazione fattura.
Quando ti accorgi che il punto 3 fallisce miseramente, capisci anche perché il traguardo 1 e 2 siano stati estremamente semplici da raggiungere.
Perché se c'è una cosa che unisce gli imprenditori italiani è questa: pagare le tasse e pagare i fornitori è roba d'altri tempi, non s'ha da fare. D'altra parte c'è la crisi, c'è un Governo ladro, domani andrà meglio e soprattutto "tanto se non ti pago, tu che puoi fare?"
Da parte tua, la pretesa di essere pagata per il tuo lavoro, rende anche difficile trovare altri clienti. Inizia a girare una pericolosa voce sul tuo conto "…Sì, brava è brava, ma rompe i coglioni sul pagamento…" E son cose che il mercato non perdona.
Be' in tutto questo 2 buone notizie ci sono: ricordate il mio lamentarmi che nessun editore fosse interessato a me? Qualcuno saggiamente mi disse che forse per vincere il Superenalotto bisognava fare il minimo gesto di giocarlo, chissà magari bastava questo. Una mail inviata al classico indirizzo info@ di una casa editrice nautica ed ecco che il sogno si avvera. "Ci piace il suo lavoro, vorremmo commissionarle un libro, anzi, se ritiene anche due". Forse fra qualche anno riceverò le provvigioni necessarie a pagare la bolletta di questi mesi per il consumo energetico dell'uso del computer, magari mi ci prendo anche un caffè ma… volete mettere che soddisfazione? Tutto da vedere, per ora c'è solo una bellissima pagina bianca e il cursore che lampeggia e aspetta curioso. Comincio a detestarlo, mi sembra Grillo con il suo ghigno aggressivo che guarda Bersani dicendo "Arrenditi, sei circondato".
L'altra buona notizia? È inesorabile, la stagione sta per arrivare. Per noi naviganti di lungo periodo "la stagione" è la pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno. Quel momento in cui puoi dimenticare la realtà, rimandare i problemi, guardare il bicchiere mezzo pieno e dire "Quando torno la prossima volta sarà diverso. Finirà questa crisi e tornerà un'epoca di intelligenza". Tanto non sono Fassino e nessuno registrerà quello che dico. E poi sono più brava di lui, resto sul generico. La mia frase consueta è "Domani è un giorno nuovo e il vento soffierà più forte", col senno di poi la si può circostanziare in milioni di modi e, volendo, anche darle un significato di funesto presagio.
A noi non piace molto programmare il nostro viaggio, cerchiamo di abbozzare una rotta di massima, una meta che funga da sirena incantatrice, ci immaginiamo lungo la rotta nell'evolversi della stagione. Ma appena ci accorgiamo di aver approfondito troppo, chiudiamo le carte e tentiamo di dimenticare. La scoperta dell'ignoto vale più del viaggio. Vogliamo stupirci, non trovare conferme.
L'obiettivo di partenza è fissato per maggio: ai primi, metà o fine mese. Non oltre, perché la stagione se ne frega dei nostri indugi, lei parte e se ne va. O prendi il mare con lei o ti troverai sempre a doverla inseguire.
Non siamo stanchi di Egeo, non lo saremo mai, penso. Anche se in questo terzo viaggio esauriremo i luoghi mancanti: verso nord, correndo per risalire veloci prima che il bastardo meltemi entri di ruolo e arrivare in Calcidica prima del primo consiglio dei ministri eolici. Rotta su Istàmbul, probabilmente senza arrivarci, e poi di nuovo a zonzo per l'Egeo toccando le isole che abbiamo saltato.
Quel che non è chiaro e dove torneremo. Per ora ci siamo fermati a Brindisi, pensando di svernare lì, ma sento già P'acá y pallá che si lamenta "Cosa???? Così lontano da voi? non ci penso proprio!". È una barca decisamente bambocciona.
Viziata e bambocciona. Il deserto rosso del conto corrente ci ha portato a tagliare praticamente tutto per noi (senza obiettivamente sentirne il sacrificio) con l'obiettivo di prolungare la riserva di ossigeno costruita in tanti anni di risparmio. Ma a lei non possiamo negare nulla: 2 nuove vele sono attualmente in lavorazione, per correre più veloce, per essere ancora più bella ed elegante nel suo incedere da regina. Sul resto sta a digiuno pure lei. Niente Code Zero (quella bella vela per venti leggeri, tanto i venti leggeri chi li ha mai visti?), niente cambio della cuffia del sail drive, niente incremento di strumentazione. Sei giovane, Paquita, ti puoi permettere un po' di fame…