Crotone - Tropea. 63 miglia in linea d’aria che, non potendoci issare P'acá y p'allá sulle spalle per un originale Calabria coast to coast, diventano inevitabilmente 160 miglia per la via naturale del mare. Il vento a favore ci spinge ad affrettarci, l’ingenerosa costa calabrese in termini di porti o ridossi ci porta a considerare la validità di questa lunga tappa come un no-stop. Intendiamoci, 160 miglia non sono poi tante per chi va per mare, la maggior parte dei naviganti sulla nostra strada sceglie di tagliare dalla Grecia alla Sicilia facendo un’unica tappa da 300 miglia. Di solito però sono in equipaggio più numeroso, navigando di notte è consigliabile che ci sia sempre più d’uno di turno al timone e noi siamo appena appena più d’uno, di cui uno è valido capitano, l’altro decisamente meno. Facciamo quindi 29 ore di navigazione consecutiva incluse 3 ore di sosta tecnica davanti a Bova Marina, proprio sotto la punta dello stivale, giusto per aspettare che albeggi prima di intraprendere lo Stretto di Messina.
Ci capita di fare questa tappa proprio la notte di luna nuova e quella del passaggio all’ora solare. Ora, dovete sapere che per qualsiasi argomento di natura matematica io ho una fiducia totale in Giovanni e una resa incondizionata sulla mia incapacità di fare qualunque tipo di calcolo. Per questo motivo, non oppongo nessuna resistenza alla sua decisione, arrivati a Leuca, di non sincronizzare gli orologi sull’ora locale.
“Non cambiamo l’ora, tanto domani in Italia con l’entrata dell’ora solare, dovremmo rimettere gli orologi avanti e quindi tornare a quella che oggi consideriamo l’ora greca”. Il ragionamento non faceva una piega, era perfettamente in linea con la mia pigrizia e la mia voglia di restare greca ancora per un po’, per non parlare del fatto che da più di 6 mesi non porto l’orologio. Quindi, aderisco senza protestare alla brillante iniziativa. Peccato che è proprio su questi calcoli che Giovanni basa l’ora della sveglia a Bova Marina, le 5, ovvero 2 ore dopo aver buttato l’ancora. Ma c’è qualcosa di strano nell’aire al risveglio che mi obbliga a cimentarmi, nel nero di una notte senza luna, in un’attività che, come sopra ammesso, non mi è affatto congeniale: ragionare in maniera concreta e matematica. Una volta usciti dai bassifondi e issate le vele, un tarlo nella mente (e il buio che persevera) mi spingono a compiere un’attività cerebrale decisamente superiore alle mie possibilità del momento con esercizi del genere "se tu hai una mela e io ti dò un’altra mela, quante mele hai?", per arrivare infine a dedurre che, se il tramonto arriva prima, anche l’alba arriva prima, quindi gli orologi degli italiani non vanno spostati un’ora avanti ma un’ora indietro. Da quel momento, il passaggio a comprendere che non sono le 5.27 ma le 3.27 è gioco da ragazzi.
Alle 3.27 ora locale, un grido spezzò l’incanto della notte calabrese: il mio. Il capitano a quel punto, dopo essersi sbellicato dalle risate per il mio accusarlo di avermi defraudato ingiustamente di 2 ore di sonno, abusa della mia ormai ridottissima capacità intellettiva per tentare di convincermi come, errore o no, i tempi da lui scelti per l’arrivo nello stretto fossero perfetti . Non saprei dirvi di più, non ho neanche tentato di capire, un altro tarlo si affacciava alla mente: se i calcoli dell’ora solare erano sbagliati, che ne è del timing delle correnti sullo stretto elaborate dal capitano per sfruttare le cosiddette montanti?
A chi non conosce il tema, va detto che lo stretto di Messina è soggetto a forti correnti in un senso o nell’altro a seconda dell’ora e del giorno. Tali correnti possono arrivare a 5 nodi e incidere quindi notevolmente sulla velocità della barca, non serve sottolineare che se sono contrarie può essere totalmente inutile tentare di avanzare, tanto vale fermarsi e aspettare 6 ore che cambi. Non solo le correnti erano state calcolate sull’ora solare sbagliata, peggio, non era stato considerato che le tabelle che riportano i dati sono basate sull’ora di Greenwich, la cosiddetta UTC, ovvero navighiamo con un’errore di 3 ore. Ciò però non fa danno alcuno perché le correnti durano 6 ore, anzi, ci troviamo a percorrere lo stretto nel momento di massima della montante registrando velocità record di oltre 11 nodi, roba che per vederle ci vogliono 40 nodi di vento in poppa. In tutto questo, lo stretto è una meraviglia, mi perdo lo spettacolo dell’alba perché la fatica cerebrale mi fa crollare in un breve sonno ristoratore subito prima, ma non rinuncio al minuetto di traghetti da una sponda all’altra che, me lo dite voi che fine fanno se si fa il ponte? Ma per fortuna il Ponte non si fa.
Il porto di Tropea ci accoglie come un amico fraterno e lì riesco anche a riconquistare un sapore perduto: la liquerizia. Lo sapete che in Grecia e in Turchia non esiste in commercio la liquerizia? Non per i canali ufficiali, almeno. Nei supermercati trovi tutti i prodotti italiani, dalla pasta ai pelati, dal tonno ai biscotti, alle cioccolate e alle caramelle ma nulla, proprio nulla che abbia come ingrediente la liquerizia. A Fetiye ho anche azzardato chiedere alla gentile commessa del Turkcell shop se sapeva dove potessi trovarla. Non aveva idea di cosa fosse “Liquorice”, incuriosita ha digitato su Google translator e, visto il risultato, ha sgranato gli occhi e mi ha chiesto con uno sguardo a metà tra l'ammirato e l'allarmato “e cosa deve farci???”... neanche avessi parlato di oppio. Ecco un lavoro che potrei fare, esportare liquerizia in Grecia e Turchia, non prima però di aver fatto una adeguata campagna pubblicitaria per il lancio del prodotto.