martedì 4 ottobre 2011

Polyegos. Finalmente Polyegos.


Il regalo per il mio onomastico è Polyegos. (Per inciso, uno, dico uno, della mia famiglia, pure allargata che se ne sia ricordato eh? Ottima scusa per ritardare il ritorno). Lasciamo l’ormeggio sicuro di Ios il giorno prima della fine del meltemi, una lunghezza avanti ai nostri compagni di banchina più saggi o solo meno coraggiosi di noi. 
Comunque è una bella navigazione, un po’ al lasco e un po’ al traverso con venti intorno ai 20 nodi e una mano di terzaroli che male non fa. Arriviamo a Polyegos e, per la prima volta, penso che mio fratello Paolo forse non romanza sempre le cose, che i suoi assolutismi qui hanno in qualche modo buona ragione di esistere. 
Polyegos è insieme a Kimolos (e Antimilos a ovest) una delle isole satellite della più grande e conosciuta Milos, quella, per intenderci, della Venere senza braccia custodita nel museo del Louvre. La nostra sosta a Polyegos sarà breve ma l’isola merita un capitolo a sé di questo racconto. Ci accoglie nella baia di Fykiada con una sorta di italico omaggio: bianco e rosso sulle alte scogliere e sui faraglioni e il verde scuro della macchia. 
Non voglio pensare a cosa significhi in questo geometria l’azzurro del mare, uno degli azzurri più belli dell’intera Grecia, troppo chiaro, lo dico subito, per ricordare la tonalità requisita dagli arcobaleni dei bambini e degli sportivi dal “vecchio che ha avanzato tanti anni fa e che ancora purtroppo non è diventato avanzi per bestie” .
Baia Fykiada è azzurro a perdita d’occhio, a terra un’edificio in pietra di cava abbandonata che fa sognare di ristrutturarlo trasformare i pilastri in pulene tonde, dargli una mano di calce e zitti zitti venirci a stare che magari non se ne accorge nessuno. Poco sotto la casa (ecco, basta poco per farla diventare casa), i resti semidistrutti di un pontile di carico per le navi. 
Ci spostiamo per vederne ancora di questa Polyegos che nel lato sud ha tre grandi spaccature nella montagna che rivelano la roccia di cui è fatta.  Fatte un paio di miglia torniamo indietro e ci fermiamo di nuovo qui ad aspettare il tramonto che accende ulteriormente i colori.  Nessuna barca turistica per mare, nella cala accanto alla nostra un Hallberg Rassy ben incastrato tra le rocce e con le cime a terra dà l’impressione di essere qui da tanto e di volerci restare per ancora più tempo. Impossibile dargli torto.

3 commenti:

  1. Per stare ben incastrati tra rocce, o nella cala accanto, ci vuole un fisico bestiale. Testa compresa. Sento folate di vento e l'apprensione che diventi fischio. Sono, in poltrona, con voi.

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  2. Però quando eri terricola romana eri molto meno permalosa.

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  3. Uh, in ritardo ma ...auguri!
    Baci onomastici.
    A.

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