martedì 25 ottobre 2011

Stand by Paxos. Se partire è un po’ morire, tornare cos’è?


E ce ne stiamo qui, tranquillamente ormeggiati al porticciolo di Gaios, nell’isola di Paxos. Autunno o non autunno, c’è un andirivieni di barche, sono soprattutto charteristi inglesi e scozzesi che sfruttano le settimane low price in questo campo di regata ideale che sono le Ionie. Vanno, vengono, a volte ritornano. Noi, invece, stiamo. Noi,  il Pela, una barca svedese e una barca in acciaio di una coppia francese. Loro aspettano di proseguire verso sud, noi invece di partire per la lunga tappa verso Crotone, 140 miglia di Ionio o quella più breve per S.Maria di Leuca, 90 miglia. 
Il vento è favorevole a noi – oh, finalmente uno scirocco che ci è favorevole -  ma le perturbazioni continue sul litorale ionico italiano ci impigriscono e ci portano ad aspettare. Aspettare cosa, poi? Sarà una credenza popolare ma dicono che più si va avanti più il tempo tenderà a peggiorare. D’altra parte c’è una sola certezza, il vento favorevole da qui si accompagna alle perturbazioni, c’è poco da fare, solo da scegliere se prendere più vento e mare e meno acquazzoni e lampi o viceversa. Propendiamo per la prima ipotesi e attendiamo. 
Non tanto però, non è il caso. Il 28 ottobre si celebra l’anniversario della “Giornata del No” a Gaios, stanno allestendo le bandiere lungo il molo, gli studenti verranno a sfilare in processione. Beh, carino da vedere, direte voi, perché andarsene? La giornata del No, rappresenta la celebrazione del 28 ottobre 1940, giorno in cui Metaxas rifiutò di cedere le armi all’invasore italiano Mussolini, riportando poi una secca vittoria e costringendo il duce a ritirarsi fino a Valona. Mai come oggi sono contenta che P'acá y p'allá vesta bandiera francese…
Il vero motivo della nostra attesa di un tempo più stabile è che stare bloccati in porto a Gaios rispetto ad esserlo a S.Maria di Leuca o Crotone comporta una differenza notevole in termini economici. 
Mentre qui te ne stai tranquillamente ormeggiato gratis, il paese è contento lo stesso perché fai la spesa, vai a cenare fuori, prendi il caffè e questo si chiama indotto, in Italia, dove ottobre non è ancora bassa stagione, un porto come S. Maria di Leuca ti chiede 65 euro al giorno.  E parliamo dello Ionio, se sei bloccato a Procida arrivi a 90 euro. Il costo dei porti italiani è scandalosamente alto ed è motivo di sdegno da parte dei marinai di tutto il mondo. “Sharks” li abbiamo sentiti definire più volte. D’altra parte anche gli stipendi dei parlamentari italiani sono i più alti d’Europa, quindi di che stupirsi? Comunque sia, fa uno strano effetto, a noi italiani pensare che in situazioni di tempo avverso sia più confortevole stare in Grecia che nel nostro Paese.
Si sta bene a Gaios, un cane ci adotta e si accomoda sul moletto davanti alla nostra barca a fare la guardia, un gruppo di oche passeggia starnazzando su tutta la banchina e ogni tanto, quando è stufa della compagnia, si alza in volo. Il viavai delle barche a vela che entrano e escono da un porto obbligato per conformazione alla sovrapposizione delle ancore movimenta un po' la giornata e ti fa fare amicizia.
Abbiamo il privilegio di incontrare Andreas Gabriel, un avventuriero, quello che nell’accezione comune viene definito un vero e proprio sciroccato. La sua sì che è una sfida, con tanto di sponsor e di record da segnare su un libro dei primati o da guardare su Discovery Channel. 
Questo ragazzo di Amburgo è partito a maggio dalla Germania, ha percorso acque interne di fiumi e canali fino a sfociare nel mar nero, poi Istambul, mar di Marmara, Egeo cicladico, Corinto. Da qui, scorrerà la lunga penisola italica, poi la costa francese, quella iberica fino a Gibilterra e da lì Atlantico e poi mare del Nord per rientrare in Germania. Quando? Non si sa, è questa la sfida. Come? Qui sta il bello: si è creato un catamarano artigianale fatto con due kayak uniti insieme da pezzi di alluminio, ha issato due pali, cucito due vele latine e via. 
Con sé, nello spazio limitato ed estremamente bagnato dei kayak, qualche cosa per sopravvivere: una tenda e una sedia da campo, un gps chiuso in una scatola stagna e poco altro. La sua velocità media è tra i 5 e gli 8 nodi anche se in Egeo ha toccato i 17 nodi. Ha la barba lunga, quando tornerà a casa ci penseranno i suoi due bambini a sbarbarlo. Forse lo incontreremo di nuovo in Italia anche se lui ormai viaggia più lentamente, max 50 miglia al giorno, quel che la resistenza al freddo e all’umidità gli consente. Quando arriva, su una spiaggia o a un porto che sia, svuota i kayak, mette tutto ad asciugare, si prepara il giaciglio di fortuna e racconta la sua storia a chi si dimostra un po’ curioso. Non oso immaginarlo in Italia dove sarà sicuramente fermato dalla Guardia Costiera che vorrà verificare le dotazioni di sicurezza… Vagliela a spiegare "la sfida" alle nostre moderne autorità portuali.

4 commenti:

  1. Se partire è un po' morire, tornare potrebbe essere un po' rinascere. La bandiera italiana a poppa, è vero, crea qualche imbarazzo in alcuni luoghi del Mediterraneo. La francese, come peraltro l'inglese e la statunitense, l'imbarazzo lo crea in alcuni luoghi del globo terracqueo. Non è semplice. Un amico, grande viaggiatore, navigava munito di bandiere di varia nazionalita' che esponeva secondo attente convenienze geopolitiche. Nei casi dubbi bandiera svizzera.

    RispondiElimina
  2. Bello sarebbe poter indossare una bandiera multietnica, ognuno personalizzandola sulla propria indole, con un po' di Italia, un po' di Grecia, ma anche di Norvegia e Spagna e un pezzetto di sud-america, perché no...

    RispondiElimina
  3. una bandiera multietnica...bel sogno davvero! Vi seguo dall'inizio del vostro bellissimo viaggio e leggo volentieri i vostri racconti scritti veramente bene. Teneteci aggiornati. BV
    Fabrizio

    RispondiElimina