A meno di 35 miglia da casa, la casa di P'acá y p'allá intendo, Pontile YCSS, Porto Santo Stefano, mi chiedo se il meteo non si stia in qualche modo burlando di noi. Facciamo questo ultimo tratto di mar Tirreno in giornate dichiaratamente estive, accompagnati da venti gentili da nord est, che spianano il mare, quello stesso mare devastato nei giorni scorsi dal ciclone di stampo tropicale che ha investito la Liguria. Il sole splende nel cielo azzurro, piccole nubi da buon tempo sulla terraferma. P'acá y p'allá fila che è una meraviglia un po' solo a vela, un po', quando il vento cala, con l'aiuto del motore. Noi, orgogliosamente sfiliamo di fronte alla costa laziale, come in parata militare, tra schiere di pescherecci, barchini con pescatori intenti al vertical jigging, grandi navi traghetto per la Sardegna.
Ne eravamo sicuri ed è successo, sia ieri che oggi: dopo 6 mesi in cui le autorità greche o non c’erano o se c’erano erano lì per aiutarti, eravamo sicuri che al nostro rientro in Italia avremmo trovato subito la motovedetta di turno che veniva a romperci i coglioni.
Ieri: davanti a Torre Astura, tra Anzio e Fiumicino, sentiamo intorno a noi i boati tipici delle esplosioni, guardiamo le carte e i portolani, nessun avviso di zona militare o di interdizione alla navigazione. Siamo comunque a 3 miglia dalla costa e con la radio accesa sul canale 16. “Attenzione alla barca a vela a 3 miglia da Torre Astura” tuona il VHF a un certo punto, ci inseriamo nella comunicazione per verificare se hanno indicazioni da darci, ma, silenzio, non ci risponde nessuno.
Dopo poco si avvicina a passo di cavalleria la motovedetta dell’esercito con tanto di sirene spiegate di cui, diciamocelo, nella desolazione che avevamo intorno, non si sentiva il bisogno. Obbligandoci di fatto ad ammainare il fiocco e lascare la randa per fermarci, uno dei 3 tipi a bordo esordisce con un “siete entrati in area militare, dobbiamo verbalizzarvi”.
Adesso, un piccolo inciso che mi sono a stento trattenuta dall’esplicitare al nostro valido drappello di difensori della patria. Perché, mi chiedo, il burocrate italiano deve necessariamente parlare così male? È una cosa che mi fa soffrire dai tempi in cui ero a capo della Pubblicità di Ferrovie dello Stato, quando facevo una fatica immane a convincere altri dirigenti che la definizione “velocizzazione della relazione” non era né bella, né comprensibile ai più e che se volevamo annunciare che il viaggio in treno durava meno bisognava dirlo in maniera più semplice. Quelli erano i “ferrovieri”, che lavoravano in FS da sempre e che ci tenevano a essere ben distinti dagli “esterni”, quelli come me, appunto, che venivano anche definiti “i professionisti”, ma dal loro punto di vista non era un complimento.
Tornando al nostro manipolo militare su scafo, perché, caro caporale, tenente o colonnello che tu sia, quel “dobbiamo verbalizzarvi”? “Ver-ba-liz-zar-vi”, che orrore…. non esiste un modo diverso, meno ridicolo e sgradevole di comunicare che intendi farci pagare una multa per un reato che, secondo te, abbiamo commesso?
E poi, perché prima ancora di aver detto “buongiorno” dici “Dobbiamo verbalizzarvi” quando sappiamo tutti e due che poi non lo farai? Perché in Italia funziona così, le autorità al primo approccio devono minacciarti, tanto per farti sapere che loro sono su un piano decisionale rispetto a te.
Quando ti diciamo che su nessuna carta viene riportata un'interdizione alla navigazione non sai cosa risponderci, della verbalizzazione non parli più, il tono cambia e diventa gentile, però ci chiedi di allontanarci a 5 miglia dalla costa, fare un centinaio di metri e poi rientrare. Una deviazione ridicola, lo capisci anche tu e appena ci adeguiamo all’ordine, richiami la nostra attenzione di nuovo per dirci che non serve più, l’esercitazione è finita, possiamo riprendere la nostra rotta originale. Saluti gentilmente e sembri tornato un essere umano. E il mio verbale? Non se ne è più parlato. E se io ci tenevo a essere verbalizzata? Vabbé, lasciamo stare.
Oggi, invece, a largo di S. Marinella, una motovedetta della Guardia di Finanza ci raggiunge allegramente, ci chiede di fermarci, ce lo chiedono nuovamente e con tono più autoritario mentre siamo già in folle e con la randa lascata, evidentemente ignari del concetto di abbrivio... mettono fuori i parabordi per affiancarsi, poi guardano sulla nostra poppa, vedono il tricolore francese, fanno un gesto di scuse e di saluto e, velocemente come erano arrivati, vanno via. Giovanni ci resta persino un po’ male. Io, invece, trovo un altro ottimo motivo per indossare bandiera francese, anzi magari la cambiamo con quella inglese che si vede da lontano che è diversa da quella italiana.
Capisco che non c’è molto da fare per le forze armate, che a novembre per mare non ce ne sono molte di barche da controllare e quando ne capita una è una festa, che i pescherecci che lavorano anche con il fermo pesca è meglio che li lasciano stare perché se no finisce male, ma non sarebbe meglio se tutte queste braccia rubate alla guerra dedicassero le loro energie a cose più utili? tipo, ripulire il mare, che dopo le mareggiate è pieno di pericoli per la navigazione? Così, è solo un’idea, chiamiamola “riconversione”.
Ora che ci penso sarebbe bello che qualcuno dicesse alle truppe “Dobbiamo riconversionarvi”….
Torniamo al mare, che è meglio.
Stiamo facendo rotta sulla Feniglia, la grande spiaggia a sud dell'Argentario a sole 12 miglia da casa, sarebbe un'inezia. Ma vogliamo fermarci lì stasera perché è da lì che siamo veramente partiti 6 mesi fa. Poi, stasera c'è luna piena e non me la sento di guardarla da terra. Ma soprattutto vogliamo entrare in porto domani, alle 11 e 11 dell’11/11/11. Che sia di buon auspicio per i viaggi a venire.
Quello del sofferto rapporto tra Stato e cittadino, marinaio o meno, è argomento tanto interessante quanto anticamente complesso. Per usare una parola abusata ma sintetica trattasi di problema culturale. Ineludile. E non basta nascondersi dietro rispettate celate sembianze. Anche questo è problema della medesima natura. Ma la politica, perchè di politica parliamo, dicono non essere, come la salute, argomento da gentiluomini. Torniamo al mare, quindi. Ottimo l'ormeggio davanti alla Feniglia con la luna piena. Molto romantico, come tutto il resto peraltro: dalla scelta del lungo ed impegnativo itinerario al numero perfetto e ben amalgamato dei componenti l'equipaggio. Vivi complimenti. Che la nottata sia lungamente serena e l'alba rosa vi saluti con il canto dei gabbiani.
RispondiEliminaTi sconsiglio la Union Jack perché poi avresti scritto da qualche parte UK e le nostre forze armate di prenderebbero per Ukraina, salvo poi scoprire che l'Inghilterra è solo una parte del Regno Unito di Gran Bretagna e Nord Irlanda e comunque stabilire che sei ugualmente extracomunitaria perché ì c'è la sterlina.
RispondiEliminaQuanto al parlar male condivido, ma noi che facciamo pubblicità siamo gli ultimi a poter fare le pulci linguistiche. Tu, io e pochi altri siamo innocenti ma il resto "asappa".
Ti aspetto.
arrivati? avvolti dalla tristezza della terraferma? svuotati di ogni voglia di scrivere sul rientro?
RispondiEliminaSto digerendo l'impatto con la città ed è dura. Appena supero l'orrore, scrivo l'ultimo doveroso post. L'ultimo della prima serie, sia chiaro :)
RispondiEliminaL'Urbe(qualsiasi urbe) e gli urbanizzati sono indigeribili. Sono curioso di sapere se riuscite a ricalzare le scarpe chiuse. Coraggio, tanto si fa per risalpare.
RispondiEliminacontrolli, maleducazione, arroganza... si, siete tornati! Io l'anno prossimo porterò la barca in Grecia; qui mi sono davvero stancato.
RispondiEliminadal treno (tanto per cambiare). Sembra fuori tema, ma non lo è visto che le FFSS mi hanno appena comunicato che il mio treno "ha maturato un ritardo di 10 minuti". Che sia dovuto a questo freddo arrivato tardi? Che il treno sia come il cardo gobbo che deve prendere il primo gelo ed ha maturato il ritardo per aspettarlo? Scherzi e facezie a parte, Francesca, tu che di FFSS te ne indendi ... MA CHE SIGNIFICA? Come fa un ritardo a maturare? Forse in compagnia degli "effetti letterecci" che quando girollavo per cuccette stava a significare "lenzuola di tessuto-non-tessuto" ....
RispondiEliminacara Ada, sii lieta di un treno che matura, visto che spesso, troppo spesso, marciscono. Lunga vita al treno, veicolo poetico dai suoni meravigliosi.
RispondiEliminaCari P'acà y p'allà, state diventando il mio idolo ( ho una voglia di navigare che mi stravolge...).Vi dico una sciocchezza : essendo napoletana pensavo che il nome della barca significasse in dialetto"per qua e per là" cioè navigare-andare in giro, ma la y mi ha insospettito ed ho scoperto essere invece il titolo di una canzone.Ma credo il senso sia lo stesso.Mi piacerebbe un cenno da parte vostra !L.
RispondiEliminaBenvenuta Ludovica! I napoletani qui sono sempre di casa :)
RispondiEliminaP'acá y p'allá è il titolo di una poesia di Neruda e vuol dire, come da te intuito, un po' di qua e un po' di là" ma è espresso meglio dalla traduzione inglese "here, there and everywhere". La canzone non la conosco, la cercherò!
Buon vento anche a te, spero tu prenda presto il mare, il mondo è migliore visto da lì.