domenica 20 luglio 2014

Kasos, l'ultima frontiera dell'antiturismo.

Non so se Kasos non ha bisogno del turismo perché ne ha sempre fatto a meno o se ha sempre fatto a meno del turismo perché non ne ha bisogno. 
Fatto sta che qui, più di qualunque altro punto dell'Egeo toccato, più ancora dell'avamporto libico di Gavdos o della remota Psara o della dimenticata Ay Stratis, si respira un'aria totalmente immune da questa leva economica.
Per raggiungere Kasos, rimettiamo prua a Est in un falso ritorno a casa. 
La breve traversata da Karpathos è completamente diversa da quella che facemmo in senso inverso 3 anni fa, nel nostro primo viaggio, quando eravamo solo di passaggio nella rotta da Creta a Rodi. Allora fummo ingenuamente sorpresi dalla violenza del catabatico sottovento a Kasos che con 50 nodi ci impedì qualsiasi possibilità di avvicinamento alla costa e di disarmo delle vele. 
L'alba su Karpathos da Ormos Skaloma
Spintonati con i fazzoletti di vele che avevamo, scorremmo questa costa in uno stato d'animo che vagava dal terrore puro (il mio) allo stupore entusiasta (quello di Giovanni). Ricordo che, mentre compilavo mentalmente l'annuncio per la vendita della barca e avevo strane visioni di camosci sulle vette montane e illusioni olfattive della lasagna della mamma a Natale, Giovanni strillava per superare la furia del vento "Però guarda, è stupendo!"
Io ero confinata in quel "però" e non registrai che fulgide istantanee di un blu cobalto mischiato al rosso della roccia e al bianco, tanto bianco della spuma del mare.
Verso Kasos.
Ora invece, siamo molto meno ingenui e decisamente più fortunati. Karpathos ci ha abituato - e ci riabituerà al ritorno da Kasos - alla sua fabbrica del vento, le raffiche vissute ieri sono solo frutto della montagna, segno che  non è Meltemi ma un vento tutto suo. Lo dimostra anche il fatto che la notte che passiamo sulla punta sud, zona dove tre anni fa l'effetto venturi aveva preso il testimone dal catabatico senza lasciarci il tempo di respirare,  sia tranquilla. Ci affacciamo timidamente,  guardiamo a Est e richiudiamo lo stopper della drizza. Una traversata a motore con vento nullo e ondina formata, perché il mare ha i suoi tempi e, soprattutto in assenza di vento, vive di forza di inerzia. Sottocosta a Kasos, l'onda cala, il vento è troppo debole per superare la montagna e aggira l'ostacolo prendendo una dominante Ovest. È il momento migliore per fare il periplo dell'isola, il porticciolo a nord può attendere. 
Ormos Skaloma a Est di Ak Troutsoulas
Ci immergiamo per un paio di giorni in una solitudine incomparabile. Qui, come e più di Karpathos, le barche non arrivano. La nomea infernale di questa coppia di isole, anello di congiunzione tra Creta e il medio oriente, dove la terra energica combatte con un vento che arriva rafforzato dal mare aperto, tiene lontano i naviganti che hanno i giorni contati. Gli altri, quelli come noi che navigano a lungo, scelgono periodi più adatti e più consigliati dai portolani per venire qui. Possono farlo perché la loro barca li aspetta in Egeo, possono metterla come prima tappa primaverile o come ultima tappa autunnale. 
Lo scoglio di Vouno, sulla costa sud
Per noi non c'è scampo: un migliaio di miglia almeno scorrono sotto la nostra chiglia prima di poter arrivare qui. E con le miglia, le settimane e i mesi. Allo stesso tempo però, il tempo che abbiamo a disposizione ci permette di restare qui, magari a vele ammainate, in attesa anche lunga delle condizioni ideali per affrontare questo mare. 
C'è chi dice che il vero marinaio è quello che sta in mezzo al mare, con tante miglia di nulla avanti e dietro e nessuna terra all'orizzonte. La vera patente di marinaio, dicono, sia la traversata oceanica. Sarà. Il nostro essere marinai ha invece bisogno delle terre emerse. Il mare è solo il nostro migliore alleato per andarle a trovare. Il mare completa la terra che completa il mare. 
Le scogliere verticali a Ormos Skaloma
La roccia di quest'isola è da togliere il fiato: la costa sud di Kasos è ripide scogliere che si tuffano in mare con ampie e continue franate che aprono piccoli anfratti di sabbia e roccia. Restiamo affascinati dalla conformazione di questa roccia, in alcuni punti stratificata con disegni orizzontali, in altri verticale sul mare come lamiera di ferro. A terra il nulla più assoluto, solo una cicatrice di strada sterrata che compare per piccoli tratti. Nel punto più bello fissiamo la nostra "casa vacanze", chiamiamo così' quei posti dove torniamo più volte nello stesso viaggio.
Veduta dal monastero di Ay Mamas
Si chiama Ormos Skaloma, un lungo tratto di costa esposta, protetta a ovest dal piccolo promontorio di Ak. Troutsoulas. I 200 metri d'acqua verso la riva hanno un fondale di massi, frutto della montagna franato a mare. Più a largo tanta abbondante sabbia su 10 metri di profondità. Un ancoraggio perfetto, sicuro anche se il Meltemi si alza e se le raffiche scendono giù dalla montagna come arpie furiose. Il sole tramonta presto dietro il monte Kapsalos (583 metri) proprio in verticale sopra di noi. Oltre a noi non c'è nulla di vivo. Solo i falchetti che a sera riempiono l'aria di suoni ancestrali. La luna piena si specchia sul monte verticale e lo illumina a giorno. Sono quelle occasioni di vita che rasentano la perfezione e ti interroghi su cosa ti abbia portato a cercarle e a trovarle. Il vento di notte rinforza un poco ma arriva soprattutto sotto forma di suono, la montagna lo ingloba, lo ferma, vince. E vincendo ci protegge.
Costa sud di Kasos
Il mare qui è pieno di vita, faccio un incontro molto ravvicinato con una murena a pochi metri dalla riva, in quella striscia di acqua in cui io di solito mi sento al sicuro dal mio squalo assassino che vive con me - nella mia fantasia, forse, ma non è detto - da quando ero piccina. Rientro in acqua con la maschera e me la trovo lì, con la bocca aperta e lo sguardo cattivo, a pochi centimetri dal mio braccio, pronta ad azzannarlo nella sua morsa mortale. In realtà non punta me ma un pesciolino e, come mi dice Giovanni dopo i pochi secondi in cui percorro una distanza di 4 vasche, la bocca la tengono sempre aperta, serve loro a respirare. Non è cattiva, dice, l'hanno disegnata così. 
I suoi incontri con la vita del mare danno frutti migliori e capovolgono i ruoli: per cena mettiamo in teglia un cefalo e un sarago. 
Ag. Georghios sulla costa nord
Molto al largo, vediamo passare una nave, forse diretta a Creta, forse proveniente da Suez. Toh, il mare è navigabile. Son giorni che non vediamo nulla a parte noi stessi galleggiare.
Ma siamo anche un po' distratti e dimentichi di essere in un luogo dove l'instabilità del vento è cosa certa. Mentre ce ne stiamo in quadrato a scrivere e a far passare le ore del giorno in cui il sole è più alto, i nostri cuscini volano via con un paio di raffiche. Trovarli è impossibile ma ci proviamo: io valuto quanto possano aver galleggiato prima che la piuma d'oca si impregnasse d'acqua e li facesse affondare. Il tessuto per quanto avrà ostacolato l'acqua? E le raffiche, per quanto li avranno fatti rotolare leggeri sulla superficie? 
Veduta dall'alto di Ormos Skaloma
Nel frattempo Giovanni scandaglia il fondale in un improbabile tentativo di trovarli, considerata la vastità del campo di ricerca. Ci rassegniamo, diciamo loro addio, immaginiamo soste in cui potremmo trovarne di nuovi. Ridiamo quasi di noi stessi alla fine, guardando l'immensità che abbiamo intorno, scandagliando le probabilità che avevamo al cui confonto la vincita del Superenalotto parrebbe una bazzecola.
Invece li ritroveremo poi, 5 giorni dopo, a seguito della nostra sosta in porto quando torneremo qui, richiamati da qualcosa che non è facile descrivere ma che sicuramente non era il pianto dei cuscini. Seduto in pozzetto, Giovanni contempla col binocolo la scogliera e la spiaggia alla ricerca dei falchetti ed urla "I cuscini!!!". Erano lì, affiancati, poggiati sulla spiaggia a due metri uno dall'altro, perfettamente asciutti e intonsi, con solo un lieve accenno di salsedine. Il vento li ha portati proprio qui, non sappiamo che giro abbiano fatto, forse erano lì da sempre e non ce ne siamo accorti, forse hanno navigato un po'. Fatto sta che ora sono di nuovo con noi. Bello ritrovare qualcosa che il vento ti ha portato via.
La piccola darsena peschereccia di Bouka a Limin Fry
Ma torniamo al momento della perdita. Dopo due giorni di nulla e di tutto, nell'immensità di una natura selvaggia che ci ricorda la costa meridionale di Creta, continuiamo il periplo e andiamo al porticciolo di Fry, sul versante nord per incontrare la gente di quest'isola.
Limin Fry ha sostituito il porto antico di Emborios, 1 miglio più a Est, che è affetto da maggiore risacca. 
Fry, il porto e la diga frangiflutti
Ci troviamo sul versante dell'isola esposto al Meltemi e da nord arriva una versione di questo vento particolare, rinvigorita da 150 miglia di mare aperto. Praticamente, Kasos è come se si trovasse alla base dello scivolo del Meltemi.    Un lunghissimo molo di sovraflutto protegge l'avamporto e la piccola darsena di Fry, una darsena originariamente costruita per ospitare le barche da diporto ma considerato lo scarso traffico della zona è interamente - e giustamente - occupata da barche da pesca, il traghettino per Karpathos e piccoli motoscafi dei locali. Ci resta solo il molo esterno della darsena su cui è già ormeggiato all'inglese un Hallberg Rassy di un gruppo di italiani che ci aiutano in quello che è uno dei nostri peggiori approcci in banchina. Appena prendi confidenza col mare, qualcosa ti ricorda che non devi mai abbassare la guardia. 
al porto di Fry, sullo sfondo Karpathos
La lunga diga protegge bene ma c'è un discreto movimento di mare all'interno che ci tiene schiacciati sul molo e, con la marea, mette a dura prova le calze già usurate dei nostri 14 parabordi. Solo davanti ai brandelli delle calze, il giorno dopo, decidiamo di mettere un'ancoretta per tenerci un po' discosti dalla banchina e la manovra rivela di ottima efficicacia. Per sanare il senso di colpa della nostra pigrizia, offro ai compagni di banchina di approfittare del bagno di Giovanni per fissare un'ancora anche per loro. "Sicura che non sia un peso?" mi chiede il capitano dell'HR. "Figuriamoci, che vuoi che sia?" gli rispondo, sapendo che personalmente non devo fare alcuno sforzo: non c'è niente di più facile e gratificante dell'essere generosa con il lavoro degli altri. 15 minuti dopo ci arriva a bordo una bottiglia di vino bianco e comincio a pensare di farne un bel business di questa "mia" generosità. 
barca da pesca e campanile a Limin Fry
Gli italiani ci conoscono da internet, hanno letto il nostro blog e seguito i nostri suggerimenti per percorrere la loro rotta che è stata quella del nostro primo viaggio. Finalmente conosciamo qualcuno che ha navigato a sud di Creta e il fatto di essere stati il loro apripista non può che rendermi felice.
Sono di passaggio veloce, imbarchi e sbarchi di equipaggio li costringono a tappe serrate. Vanno via e restiamo soli, con il nostro albero che svetta al centro del paesino, in un contesto tanto poco turistico da apparire surreale.

Ay Triadha, fuori dal villaggio di Poli.
La sensazione che hai a Fry, e a Kasos, in genere è che la popolazione sia totalmente indifferente alla tua presenza. Sono gentili ma non curiosi, ti salutano e ti aiutano se ti serve qualcosa ma devi chiederglielo. Le tre taverne e i pochi bar sul porto sono discretamente pieni di gente locale, la mancanza di turisti non lascia vuoti, tutto ha la dimensione del luogo. Ti senti come trasparente, eppure sai, lo percepisci che la tua presenza è un evento raro. Bastano 3 giorni e ti accorgi che non è così. Ti hanno notato quasi tutti e hanno notato che la tua non è una sosta tecnica. 
Riunione in chiesa.
Bastano 3 giorni e ti considerano parte della loro comunità. Gheorgios ci ferma fuori dalla chiesetta di Aghia Triadha nel villaggio di Poli e ci invita a sederci all'ombra con lui e un anziano signore. Quest'ultimo, sentito che siamo italiani, inizia a parlarci tradotto da Gheorgios di quanto era bella la vita a Kasos quando c'erano gli italiani. "Ora non è più così, ora è tutto più triste". Si sente un forte odore di decadenza nell'isola, unito a una fierezza e un'indipendenza dal resto del mondo che non ha eguali. Si respira nell'aria e si legge negli occhi della gente, la storia difficile di quest'isola che ha vissuto un vero e proprio Olocausto durante la guerra di indipendenza quando un esercito ottomano guidato dal governatore d'Egitto Pasha assediò l'isola  e massacrò 7.000 persone. 
Il cimitero a terrazze di Ag. Marina
Gli uomini vennero uccisi, le donne e i bambini deportati al mercato degli schiavi di Alessandria. I pochi che riuscirono a sopravvivere abbandonarono questa terra e vi fecero ritorno solo moltissimi anni dopo. Ovvio quindi che l'occupazione italiana, coincisa con la rinascita dell'isola, sia ricordata come un momento di splendore. 
Panaghia, uno dei villaggi sulle colline della costa nord
Gli abitanti oggi sono raccolti in una mezza dozzina di villaggi, per lo più sulla costa nord. All'interno, una strada in parte accidentata si inerpica sulle montagne e scende sull'altro versante. La percorriamo con un'auto a nolo e vediamo la Kasos di terra, spettacolare e selvaggia, aspra e bellissima, senza alcuna concessione ai dettami moderni. In tutto il giorno incontriamo si  e no un furgone, un paio di altre macchine e altrettanti scooter. 
Ellinokamara Cave
La scarsa vocazione turistica si recepisce anche dalla segnaletica stradale: i pochi cartelli sono solo in greco, i siti archeologici non sono segnalati e per trovarli dobbiamo chiedere in giro. Eppure ci sono siti bellissimi e particolari, come la grotta di Ellinokamara che la leggenda vuole fosse quella dei Ciclopi di Ulisse, o le Exi Ekklisies (sei chiese contigue con le cupole rosse), o ancora il monastero di Ay Mamas a strapiombo sul mare. Tutti siti chiusi, in fase di lavori o di restauri. 
Exi Ekklisies, a Panaghia
E' come se Kasos fosse dormiente, in attesa che il mondo si decida a guardarla con benevolenza. Loro a noi ci guardano così dopo pochi giorni e uno dei rimpianti più grandi di questo viaggio è quello di non aver aderito all'invito ripetuto da più persone di unirci a loro per la festa del 17 luglio nel villaggio di Aghia Marina. "Siete nostri ospiti, si festeggia tutto il giorno, si balla, si canta, si mangiano tante cose buone" ci dicono Georghios, la fornaia e la gentile addetta del piccolo museo. "Tutto gratis" specificano, quasi pensassero che solo un poveretto viene in visita a Kasos.
Il monastero di Ay Mamas, in ristrutturazione
Ma noi abbiamo fretta di andare, abbiamo quell'urgenza di riprendere il mare che è ormai una malattia conosciuta e che quando si presenta rende impossibile rimandare di due giorni il lasciare gli ormeggi. 

E' la costa sud che ci chiama di nuovo a sé, i falchetti, il silenzio irreale della notte alla fine dello scivolo del meltemi, proprio sotto l'ultimo pezzo di lamiera che ti protegge dalla sua caduta. O forse sono i cuscini. O forse è stato solo un modo di dire a noi stessi che qui ci dobbiamo tornare.

12 commenti:

  1. :-)))))))))))))))))))))))))))))))))))))

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    1. Adolfo, spero che in minima parte queste immagini e questi racconti ti consolino della mancata navigazione. E ti facciano mettere tutto a posto per farti venire in Grecia il prossimo anno. :-)

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  2. Bellissimo tutto: il racconto, le foto, il posto. Segnato anche questo e la lista si allunga più di uno scontrino della coop :)

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    1. pensa Fernando, mi restano solo 7 isole dell'Egeo ancora da vedere. Credo che ne farò l'idea del prossimo viaggio. Stanno sparpagliate un po' dappertutto, bisognerà andare p'acá y p'allá ;-)

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  3. Complimenti come sempre, bel racconto , si percepisce nel tuo racconto che Kasos è un isola "triste"
    Pietro

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    1. non direi un'isola "triste", più un'isola indipendente nel suo disincanto, Pietro. :-)

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  4. Tutto molto bello
    fai venir voglia di esserci
    non tanto nei posto,
    ma lì accanto a voi ad ascoltare quel che vedi.

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