Una mezza dozzina di isole sono passate sotto i ponti tra l'ultimo post e ora. Avete presente come si fa con i pomodori che restano in frigo e nessuno li mangia? A un certo punto li si butta tutti insieme in padella e ci si fa un bel sugo. Ecco, fare un sugo con le isole non è così facile ma ci si può sempre provare.
Questo tempo intercorso è stata una veloce discesa, un bruciare le tappe e mangiarsi i gradi di latitudine, nella rincorsa di una meta, Karpathos, che avrebbe rappresentato la novità per P'acá y p'allá. Ora che sono qui e che abbiamo finalmente smesso di correre, posso guardarmi indietro e raccontarvi del resto.
La metafora dei pomodori però non funziona più, forse è più adatta quella delle ciliegie, una tira l'altra, o i grani del rosario. Ma sono isole, diamine, chiamiamole isole.
Da Siros, la sirena della bellissima Rinia cantava troppo forte perché l'ignorassimo e siamo tornati lì, per la 4a volta (quante cose stiamo facendo per la 4a o 5a volta, ma è sempre diverso, riscoprire vale come scoprire, forse un po' meno, ma a volte anche di più). Ci siamo ancorati nella nostra baia preferita, quella sulla costa ovest a passare un paio di giorni di rada pura, tra acqua turchese e silenzio assoluto.
Abbiamo inaugurato la magnifica canoa che da 2 anni viaggiava con noi chiusa ad occupare spazio prezioso in un gavone. Ci può essere oggetto meno utile nel ventoso egeo di una canoa gonfiabile due posti? Non credo. Grazie all'indecisione del meltemi che fa un'irruzione veloce poi dice " Ah no scusa, ho dimenticato una cosa a casa" e torna indietro abbiamo approfittato della lieve brezza a Rinia per gonfiarla e farci un bel giro. Una prima volta per noi e si vedeva, sembrava impossibile remare all'unisono, senza schizzarsi, procedere in una direzione lineare. Per i primi 5 minuti, poi tutto funziona perfettamente. Un po' come il primo giro in bicicletta, all'inizio la ruota davanti si muove scompostamente a destra e a sinistra, il manubrio sembra avere vita sua e poi, miracolo, si prende ritmo e la strada procede sotto di noi. Un po' come il primo giro in bicicletta ma senza rotelle.
Dalla taverna di Pory a Koufonisi, con vista su P'acá y p'allá |
Traffico scarso per mare quest'estate. Inferiore allo scorso anno e al precedente. Un grande panfilo arriva a sera e occupa l'angolo di costa che ha posto solo per uno. L'ancoraggio migliore, protetto da tutti i venti e le risacche, ma lontano dalla mia piscina preferita che non posso fare a meno di tenere sotto la chiglia. Ricordiamo la Rinia dello scorso anno, in agosto con i nostri amici Alessandra e Giacomo, quando la bellezza di questo posto che già conoscevo la leggevo nei loro occhi, nella loro voglia infinita di mare, nella loro sorpresa, nel loro amore tutto nuovo. Ora Ale e Giacomo aspettano una bimba e magari, chissà, P'acá y p'allá porta fortuna. Rinia è immutabile: le solite tre case di pastori a terra e un universo di turchese a disposizione.
Siamo passati veloci tra Paros e Naxos con un buon vento, vivace ma non troppo. Scorrevamo tra queste due isole pensando che a destra e sinistra avevamo le barche di amici in attesa dei loro armatori ancora in Italia: Il My Song di Gioia e Aldo a Naoussa, Paros; il Waskambu di Salvatore a Naxos. Sembrava di passare in una sfilata, quasi come se i nostri amici fossero già lì.
Siamo approdati poi a Kato Koufonisi, la piccola Ciclade dalla roccia dorata, poi Pano Koufonisi, in rada da soli davanti al marina che ospitava un'unica barca. Siamo tornati anche a Pori Bay, la baia circolare a Nord Est e alla taverna sulla spiaggia, ricordando la cena con Federico e Maria Paola di poco meno di un anno fa. Un percorso della memoria, insomma, tappe consolidate della strada di casa.
Navigare nel noto ha qualcosa di bello e di doloroso insieme: mi sento tirata da tutte le parti.
In rada a Pano Koufonisi. Sullo sfondo, l'isola di Keros |
Da Rinia guardo Tinos con la voglia di tornarci in condizioni diverse dal meltemi pieno, da Naxos vedo Donoussa e il richiamo è fortissimo. Facciamo fatica a seguire una linea quasi retta e a rinunciare a perderci in un percorso senza meta.
Di nuovo ci abbiamo messo un ancoraggio a Keros, sul lato nord, approfittando di un raro vento da sud. Un mulo a terra strillava e correva, non so se ce l'avesse con noi o con un coniglio. O magari con un vento che lì è decisamente straniero.
entrando nel fiordo di Kinaros |
Poi Amorgos per la 5a volta. Ne mancano 2. La canzone dice che Amorgos ha un magnete che ti fa tornare 7 volte sull'isola. Ne mancano 2 ma non prometto di non andare oltre.
Una sosta a quel pezzo di roccia tra Amorgos e Levitha che si chiama Kinaros. Lieve deviazione dalla nostra rotta per il tempo di un bagno in quella profonda ferita sulla costa sud che chiamiamo fiordo. Legati solo per la coda a un gavitello, il tempo di un bagno, un saluto al pastore e via, si riprende a volare.
Una sosta a quel pezzo di roccia tra Amorgos e Levitha che si chiama Kinaros. Lieve deviazione dalla nostra rotta per il tempo di un bagno in quella profonda ferita sulla costa sud che chiamiamo fiordo. Legati solo per la coda a un gavitello, il tempo di un bagno, un saluto al pastore e via, si riprende a volare.
La magnifica Chora di Astipalea dalla rada di Ormos Livadia |
E finalmente Astipalea, la farfalla, l'isola del dodecaneso con vocazione cicladica. E' il primo luglio e il Meltemi entra di ruolo. Ci dà il tempo di un paio di giorni sulla costa sud a scoprire nuovi ancoraggi e poi ci chiude in porto per 3 giorni. E lì viviamo per la seconda volta l'esperienza francese, quella del "Italien, merde!" simpatico appellativo che già ci capitò di ricevere in acque nostrane. Quella volta però lo meritavamo: l'ancora ci aveva spedato mentre eravamo tutti a fare un bagno e la barca su cui eravamo ospiti si era messa a girare all'impazzata in rada come un boccino minaccioso.
Non successe nulla, salimmo a bordo velocemente e riuscimmo a manovrare senza fare alcun danno. Mentre mettevo via il parabordo di sicurezza e alzavo lo sguardo sui vicini per scusarmi con un sorriso del pericolo corso, incontrai 4 occhi assassini dallo sguardo sprezzante. "Italien, merd!" dissero lentamente in faccia al mio sorriso. Ci restai malissimo. Da allora, ogni bandiera francese, tolta quella di P'acá y p'allá, mi fa inevitabilmente dire sottovoce come un mantra, "Italien, merd!"
in navigazione verso Astipalea |
Ma stavolta è diverso. Stavolta mi sembra di essere davanti a un film dove gli attori stanno facendo esercizi di overacting. Ci troviamo a vivere nel porto di Astipalea un teso ma non preoccupante forza 7 come ci trovassimo di fronte a un forza 11. Ma facciamo un passo indietro. Entriamo in porto di mattina presto, il vento è già teso ma ancora perfettamente sostenibile per un ormeggio in sicurezza. Conosciamo bene la piccola darsena e sappiamo che il vento è di prua ma quando rinforza tende a venire da dritta. Caliamo l'ancora un po' sopravvento e sfruttiamo tutto il poco spazio disponibile dando 60 metri di calumo su un fondale di 4 metri.
Katapola, il porto di Amorgos. |
Giovanni compie una manovra perfetta e guadagniamo il nostro posto tra altre 3 barche di francesi. Mettiamo le cime in banchina, poi tiriamo fuori quelle con i molloni per ammortizzare l'ormeggio e incrociamo le prime due sulla poppa. Il francese accanto a noi ci saluta, ci aveva già incontrato ad Amorgos, guarda il nostro incrocio di cime e dice che non serve. Gli dò ragione per farlo felice e anche perché a che serve questo eterno confronto tra chi la sa più lunga? Gli dò ragione ma le lasciamo lo stesso. Mentre chiacchiero amabilmente col francese, Giovanni va in acqua ad aggiungere una seconda ancora afforcata, la nostra mitica Bulldog già sperimentata in questo porto e che trova nel fondale di sabbia la sua massima apoteosi.
il cimitero alla Chora di Astipalea |
A guardarci ora, le nostre manovre sembrano esagerate, ma sappiamo bene che se arriva davvero il forza 7/8 previsto, queste precauzioni saranno la nostra tranquillità. La doppia ancora limiterà il brandeggio della prua e l'incrocio di cime dietro, quello di poppa. Regoliamo le cime per guadagnare un posto barca a dritta, casomai arrivasse qualcun altro.
Il mio amabile colloquio con il vicino in realtà è amabile solo da parte mia. "Bella barca" gli dico (non è vero, non così enfaticamente come lo dico, ma non costa molto, si chiama gentilezza). Lui mi risponde "Prima di comprarla, ne avevo vista una come la vostra ma poi ho scelto questa, molto meglio, più bella, più veloce". Forse la sua si chiama sincerità e infatti mi viene da ridere, poi però penso che i suoi piedi poggiano su un Feeling 416, una barca decisamente meno bello e meno veloce di Paquita, e decido che forse gli regalo solo un altro paio di battute amabili poi me ne vado a fare un giro.
Astipalea, veduta dalla Chora sulle isolette a sud |
Giovanni torna dal suo giro di sommozzatore, sale a bordo e mi dice "Avvertilo che lui e il suo vicino hanno le ancore incrociate, tra l'altro hanno dato pochissimo calumo ma questo non glielo dire, lo saprà". Eseguo, lo avverto dell'incrocio e mi sento rispondere "Lo so, sono nostri amici, viaggiamo insieme, non c'è nessun problema, va benissimo così".
Come al mio solito, faccio per insistere, forse mi sono spiegata male, forse non ha capito ma Giovanni, che intuisce sempre prima di me gli animi malevoli, mi ferma con un pragmatico "Lascia perdere….Tanto sono sottovento a noi". Vale a dire, se fanno danni se li fanno tra loro.
Il porticciolo di Astipalea |
Passa una giornata molto tranquilla, recuperiamo il nostro rapporto con Astipalea, andiamo alla Chora, giriamo per caffè. La notte è serena, il vento non supera i 25 nodi, l'ormeggio è tra i più sicuri e noi dormiamo 8 ore filate. Al mattino il vicino francese riprende la sua amabile conversazione con me. Io parlo delle isole che abbiamo visto, lui parla delle previsioni meteo. Io gli racconto della Chora e degli ancoraggi splendidi che quest'isola offre, lui ritorna sulle previsioni meteo. Io gli dico "come si è dormito bene stanotte", lui mi dice che è rimasto di guardia in pozzetto…. C'è qualcosa che non va. O io sto sottovalutando qualcosa o stiamo vivendo due situazioni diverse.
Durante la giornata il nostro french captain, coadiuvato dal suo amico sulla barca accanto vanno in over-performance ansiogena sulla burrasca che arriverà. Controllo 10 volte i siti meteo per vedere cosa mi è sfuggito ma il responso è sempre quello: forza 7/8, normale, normalissima amministrazione in Egeo.
Qualche ora dopo, il francese mi raggiunge al bar del porto e trafelato e eccitato insieme mi dice che la barca sopravvento a noi ha messo una traversa a terra e ha acconsentito a che tutti noi sottovento mettiamo delle traverse tra le nostre barche fino a lui.
"Buona idea" gli dico, anche se la precauzione mi sembra eccessiva. Poi capisco che è eccessiva per noi che abbiamo un'ottima linea di ormeggio raddoppiata, mentre forse è basilare per lui che ha questo sistema d'avanguardia tutto francese di ancore incrociate che "vanno benissimo così". Si vede che i francesi quando stringono amicizia, incrociano le ancore….
Tendiamo una mano al vicino sottovento, quindi e fissiamo la sua traversa alla nostra prua e una traversa tra noi e il vicino di dritta.
Il francese persevera, nella sua ricerca dell'immobilità terrestre e ci chiede di cazzare tutto a ferro. Con pazienza e il solito sorriso gli spiego che preferiamo lasciarle lasche, non vogliamo esagerate sollecitazioni sulle gallocce e sulle bitte e che queste traverse devono fungere solo da linea di sicurezza, non da ormeggio principale. Insiste almeno tanto quanto Giovanni rifiuta. Nel mezzo, tento di cavarmela dicendogli che le mie bitte non sono solide quanto le sue.
Questa cosa lo inorgoglisce per dieci minuti, non di più. Poi riparte con la sua richiesta di trasformare la darsena in un parcheggio di roulotte. Provo a mediare con Giovanni: "Forse potremmo cazzarle giusto un po', tanto per metterlo tranquillo" ma lui, spietato "Potremmo ma non ha alcun senso, spiegagli che sono barche, che sotto c'è il mare, che è sano che si muovano un po'".
Do le dimissioni da mediatore, ruolo che non mi è mai riuscito granché bene, e mi faccio i fatti miei. Da lì in poi, un'escalation da film del terrore.
I francesi ci tengono svegli con il loro camminare sul molo e correre aventi e indietro da poppa a prua. Per non parlare della loro traversa che fissata sulla bitta di prua, fa dei cigolii insopportabili. La burrasca è arrivata, finalmente. Sì finalmente, perché è sempre bello avere un 35 nodi dietro le spalle, testi l'ormeggio, vedi che tutto funziona e puoi andare a dormire. Potresti, se non avessi un francese terrorizzato che impreca contro il fatto che le barche sotto raffica si muovano. Va detto che anche sotto raffica massima, la nostra fiancata è rimasta lontana dalla sua almeno 2 metri.
Alle 3 di notte, in una situazione di totale normalità egea, con un forza 7 tenace ma discreto e un Meltemi che dà prova di understatement, mentre noi serenamente ci godiamo le raffiche e la tenuta dell'ormeggio nostro e di quello dei vicini, il francese salta su dal pozzetto dove si è sistemato per la notte ed esplode in un "Italien, merd!", con un gesto molto poco francese mette fine alle mie amabili offerte di conforto e parte a tessere una nuova linea di ormeggio tra la sua barca e il faro. Lo facesse da solo, potrei anche capirlo, ma non ha una cima lunga e la chiede in prestito a un terzo.
Il forza 7 a Astipalea |
Questo terzo, un vegliardo con cappello da ammiraglio indossato giorno e notte, salta su un gommone e gliela porta al faro, poi va sulla loro barca e gliela fissa a prua, poi li aiuta a tendere una nuova rete tra lui e il suo amico. Poi se ne va, supplicandolo, ora però, "andiamo tutti a dormire eh?"
La mattina dopo, la burrasca è passata ma lui è ancora nel gavone delle cime a racimolare le ultime sagoline pensando forse di aggiungere qualche linea diretta con le cozze in banchina. Il vento è calato, potrebbero arrivare altre barche e troverebbero un reticolo di ragnatela che impedisce loro l'ormeggio. Sto per proporgli di togliere tutte queste vesti ridicole ma mi ricordo che sono un'italien merd e decido di non aggravare l'immagine del mio popolo.
Lasciando Astipalea medito su questa differente percezione della burrasca vissuta. O io mi son fatta le ossa e sono, incredibilmente, diventata un lupetto di mare o il mare è pieno di matti. Propendo per la seconda ipotesi.
Anche la prima ipotesi ha un suo che..........
RispondiEliminaVi siete comportati da veri signori! Io avrei anche pensato di tagliare qualche cima nottetempo! Se c'e una cosa che non sopporto è chi non apprezza la solidarietà marinaresca: per le ipotesi propendo per entrambe ;)
RispondiEliminaSia la prima che la La seconda! Matti! Ce lo disse anche un francese che sopraggiungendo da poppa e sorpassandoci a sinistra, per tentare di rubarci l'ormeggio, al mio tener rotta senza cedere al sopruso gridò: "Matti, siete matti!"
RispondiElimina:)
Siete tutti e 3 molto generosi :-)
RispondiEliminapurtroppo, l'arroganza per mare è simile a quella a terra. Si vede solo più raramente perché in acqua c'è molto più spazio. Ma fa più danni, questo sì
Anche io mi sono preso un bel "Italien Merde" unito a "se non sapete andare a vela statevene a casa vostra" ;-)
RispondiEliminaE non vi dico il motivo, perché ci sarebbe da ridere...
Arroganza e maleducazione non hanno nazionalità, purtroppo
Io però Francy, una pisciata sul pozzetto gliela averei fatta a sti francesi :))
RispondiEliminaFranzosi mangiarane... Da un popolo che non usa il bidet, che cosa ti vuoi aspettare? :)
RispondiEliminaBaci campanilisti
A.