venerdì 25 luglio 2014

Rodi. Passaggio a Mandraki.


Ci sono posti dove noi, di solito, non andiamo. Sono i luoghi a maggior densità di traffico, storicamente turistici, hub strategici del trasporto vacanziero estivo. 
A terra, l'aspetto internazionale prevale sul locale, le insegne in inglese su quelle in greco, il rumore sui suoni, i colori dei vestiti sui colori della vegetazione. Visto dal mare, sono quei porti dove trovare posto è un miracolo che si realizza solo a patto di litigare. Non son posti per noi, ci ricordano lo stress della vita terrestre, ci immergono in un prepotente andirivieni di barche che insinua la triste verità che il mare non è solo nostro. E questo, per quanto sia un concetto giusto, a me non piace per niente.
La Moschea di Solimano
Per tale motivo, in 4 anni di navigazione egea, non ci siamo mai fermati a Mandraki, il porto di Rodi. Non ci siamo mai neanche passati vicino, abbiamo fatto in modo ci sfilasse di lato con gli occhi puntati sull'altrove. E non ci saremmo fermati neanche quest'anno non fosse stato per un messaggio del caro Max Vecchietti. "Se andate a Rodi e volete fermarvi a Mandraki, chiama a nome mio Fotis, se lo avvisi in anticipo e eviti il week end vedrai che ti trova posto".
In effetti, il serbatoio piange l'esiguità di gasolio, abbiamo poi una meta distante 65 miglia, Kastellorizo, e nessuna voglia di passare in Turchia. Il nostro solito "Rodi, per carità" diventa quindi un "Rodi, perché no?". L'ultima cosa che mi convince definitivamente è la voce di Fotis. Gentile, ma non gentile come diciamo sempre, proprio gentile, nelle sue molteplici accezioni di "garbato", "amabile", "amichevole". Esattamente come sono sempre i greci che incontriamo, solo un filino di più, quel filino che si nota e ti rimanda indietro calore attraverso una linea telefonica. A questo punto, penso, regaliamoci 2 giorni a Mandraki, 1 per occuparci della barca e uno per la cittadella.
Il mare da una porta della cittadella.
"I'll wait for you" dice Fotis in chiusura della nostra telefonata e ho come l'impressione che le sue frasi abbiano il suono del significato originale e non della convenzione. La voce di Fotis è un filo sottile che ci tira a sé e che ci strappa con meno violenza dalla fabbrica del vento di Karpathos e Kassos, quel cortile fantastico, indiavolato e dimenticato che abbiamo eletto a casa per una ventina di giorni.
La rotta da Karpathos a Rodi è abbastanza tranquilla, ben diversa da quella vissuta nel 2011 dove fummo così ingenui da arrivare al sottovento di Rodi con il solo fiocco rollato. Subito dopo la punta sud il vento, già piuttosto violento in mare aperto, si incattivì a dismisura, ci spaventammo, provammo a chiudere il fiocco ma l'avvolgitore era bloccato.
Costa sud di Rodi, la spiaggia a ridosso di Ak Vigli
Attimi di panico e difficoltà nell'ammainarlo che significarono tempo sufficiente a trasformare in coriandoli la banda UV. Questa volta ci arriviamo invelati il giusto, con una mano di terzaroli alla randa e il fiocco non stritolato ma pieno. Il rinforzo è comunque notevole ma chiudere un fiocco avendo una randa dietro il quale sventarlo è affare assai più semplice da gestire. Detto questo, quasi come omaggio all'evento clou del nostro primo viaggio, riesco a far volare in acqua la maniglia del winch esattamente nello stesso punto dove lasciammo coriandoli di banda UV nel 2011. 
Legni portati dal mare a Vigli
Entrambi dobbiamo aver percepito questa magica assonanza perché nessuno dei due accenna alla possibilità di tentare il recupero, pur trovandoci in acqua bassa su fondale di sabbia e con una limpidezza incredibile. Lo consideriamo un obolo per grazia ricevuta e tiriamo fuori dal gavone una maniglia di scorta.
3 anni fa, mentre tentavamo di ammainare il fiocco, avvolti nel frastuono dell'attrezzatura che protestava e nel boato di un vento che avevamo appena imparato a conoscere, il mio cervello da qualche parte registrava l'informazione che quel putiferio stava avendo luogo in un angolo di mondo incredibilmente bello. 
"Fermiamoci qui!", penso, qui dove non ci sono più i surfisti che si affollano sulla punta di Prassonisi e dove ancora non c'è traccia delle orrende opere dell'uomo che, con tonnellate di cemento, hanno fatto scempio di Rodi neanche fosse un pezzo di Turchia. Fermiamoci qui, dove la grande isola dà ancora l'illusione di essere un luogo remoto.
All'ancora sulla costa sud di Rodi
E così, a 3 miglia a Est della punta sud di Rodi, troviamo una bella spiaggia di abbondante sabbia con duna deserta retrostante e la protezione di un piccolo promontorio. A terra un grappolo di persone sparpagliate, meno delle dita di una mano. Il turchese dell'acqua è quasi infinito. 
Di nuovo, la suggestione di sabbia sotto i piedi, ma qui è diversa da Armathia, è colore dell'oro scuro, meno fine, più pesante. Dietro la riva diventa deserto, punteggiato di cardi e ginepri, di rocce appuntite e di macchia mediterranea. 
Questa Rodi e questa sosta sono la nostra vitale anticamera con la civiltà, chiamiamola così, dei luoghi a normale densità di abitato.
L'imboccatura del porto di Mandraki
All'arrivo nel porto di Rodi, Mandraki, fa impressione pensare al Colosso di Rodi, una gigantesca statua del dio Helios innalzata all'ingresso del porto con un piede su una colonna e uno sull'altra e le imbarcazioni che passavano tra le sue gambe divaricate.
Era il III secolo avanti Cristo, la statua durò un millennio, fu fatta a pezzi dagli arabi nel 600 d.C. e se ne perse ogni traccia. Ora al posto delle gambe del dio Helios, sulle colonne ci sono due cervi.
Eppure la suggestione di questa statua c'è anche oggi. Invece del dio Helios,  c'è il grande capo George,  il boss di Mandraki, il boss di Fotis, il boss di tutti i i naviganti che vogliono trovare un posto. È lì,  all'entrata del porto con la postura simile a quella del dio, gambe divaricate e al posto della fiaccola un cellulare. 
La porta Marina sulle mura della cittadella
Lui è sul bastione di sinistra, con tutte e due le gambe: la suggestione non può far nulla sulle dimensioni, il grande capo non è alto 32 metri e non ha gambe così lunghe da mettere un piede a sinistra e uno a destra dell'imboccatura.
L'accoglienza di George è sintetizzata in un urlo al nostro indirizzo e in un doppio gesto: avambracci incrociati a X e successivamente una mano a fare il gesto della conversione a U. 
Traduzione: "Non c'è posto, iatevenn' uagliò". L'autorevolezza di George è tale che convince Giovanni per un attimo a ubbidire, poi torniamo indietro, ci avviciniamo e dico la parola magica "Fotis. He's waiting for us", memore suo "I'll wait for you".
Dal porto, la nuova agorà e dietro il Palazzo del Gran Maestro
C'è un attimo di concitazione, George parla nervosamente al telefono, mentre noi restiamo in stand by nell'avamporto e poi ci fa cenno di entrare. Un po' seccato ma vinto. Mentre passo sotto le gambe ormai immaginarie del Dio, sento un nuovo urlo di George e vedo di spalle i suoi avambracci incrociati: c'è qualcuno di nuovo da accogliere con "calore".
Fotis è in banchina che ci aspetta con un sorriso. Sale sulla barca vicina per porgermi il corpo morto e si giustifica con un "aspettavo una bandiera italiana, non sapevo foste francesi" per spiegare l'accoglienza di George. 
Il cortile dell'Ospedale dei Cavalieri
In 5 minuti ci allaccia alla corrente, ci porta il ricambio della bombola del gas, chiama l'autobotte per il gasolio. In 5 minuti abbiamo risolto ogni nostra esigenza. Gli porto i saluti di Max e, dal sorriso che fa, capisco che lo considera un amico, mi chiede sue notizie. La faccia di Fotis è fedele alla sua voce: gentile, amichevole. 
Sarà la presentazione di Max a renderlo così caloroso o forse è così di natura, fatto sta che Fotis è la mano che vorresti trovare sempre a prenderti le cime.
Le mura orientali della cittadella. 
L'arrivo a Mandraki dopo giorni e giorni nel paese incantato del mar di Karpathos è a dir poco sconvolgente. Il contrasto tra quel silenzio e questo rumore, tra quiete e caos, tra desolazione e folla. Fa paura e ci lascia inebetiti per diverse ore. Riusciamo a sopravvivere al momento solo dedicandoci alla barca e regalandole un lavaggio con abbondante acqua dolce e sapone. Le nostre energie vanno tutte nell'alternarci allo spazzolone e al tubo dell'acqua. Scivolano via mesi di sale dalla pelle di P'acá y p'allá. Di sale e di sporco, di ossido e di sabbia venuta da chissà dove con il vento. 
Ormeggio a Mandraki
Il porto è strapieno, siamo talmente stretti tra le barche vicine che potremmo tranquillamente mollare gli ormeggi a poppa e a prua e restare immobili. I rumori del porto sono già abbondanti, ci arrivano in banchina quelli della città, delle auto, dei bar. Sì, siamo in città.
A confortarci da questo shock della civiltà ritrovata, arrivano Claudio e Monica, quegli incontri quasi casuali che sono i migliori che puoi fare per mare. Claudio mi aveva scritto settimane fa " il 23 passo a Rodi per un imbarco veloce, se siete da quelle parti vediamoci". Dopo aver parlato con Fotis, mi accorsi che sarebbe stato proprio il 23 il nostro arrivo a Rodi.
La via dei Cavalieri
Una voce dalla banchina e un sorriso: sono loro. Ceniamo insieme, con noi anche i simpaticissimi figli di Monica. Claudio, che  tenendo la barca a Marmaris è un habitué di Mandraki, ci porta alla taverna Indigo dove mangiamo così bene da tornarci anche il giorno successivo. Ma non è solo per questo, le sedie di Indigo sono personalizzate con i nomi delle isole dell'Egeo: ogni sedia un'isola. Mi siedo su Chios e il giorno dopo su Karpathos, cerco con gli occhi la sedia di Gavdos ma non la trovo, non ha abbastanza coperti questa taverna per coprire quel rosario immenso di terre che è questo mare.
Il cortile dell'Ospedale dei Cavalieri
La nostra sosta a Rodi si limita alla cittadella, ce la giriamo in lungo e in largo, camminando per la via dei Cavalieri e ammirando il Palazzo del Gran Maestro e l'Ospedale dei Cavalieri che oggi ospita il museo archeologico. È un luogo magico, ben conservato, dove i compromessi con le attività turistiche sono sopportabili.  Il museo, a cui si accede da un cortile circondato da doppio loggiato su tutti i lati,  ha una ricca collezione di ceramiche e una bellissima statua di Afrodite con le mani nei capelli. 

Afrodite al bagno
Respirando l'atmosfera di questa cittadella medioevale, facciamo guadagnare dei punti nella nostra personale classifica all'isola di Rodi finora da noi considerata troppo grande, troppo turistica, troppo a portata di mano per rientrare tra le favorite. 
D'altra parte, il suo nome non poteva che nascondere qualcosa di unico e speciale. Rodos, la figlia di Afrodite e Poseidone, ossia della bellezza e del mare.

5 commenti:

  1. Rodi non è male, abbiamo tenuto in inverno per due anni la nostra barca in secca al Nereus Boatyard, dove il gestore/titolare (Elias) si è sempre dimostrato molto disponibile. Finora il cantiere più economico che abbiamo trovato in tutto l'Egeo. Per una barca di 18 metri 300 euri al mese. E poi andarci fuori stagione per i soliti lavoretti di manutenzione è stato sempre molto piacevole. Rodi è una vera città che vive anche al di fuori dell'economia turistica, si trova tutto quello di cui si può avere bisogno.Buon proseguimento di navigazione, vi seguo sempre sul blog, magari un giorno ci si incontra! Raffaele

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  2. Ottima dritta il cantiere Nereus, grazie Raffaele! Sì, questi posti di grande richiamo sono splendidi nelle stagioni che si chiamano estate. Ho sentito di molti che hanno svernato a Rodi e si sono letteralmente innamorati della sua magia. Buon vento e speriamo di incontrarci :-)

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  3. Favoloso il contrasto tra prosa e fotografia: la prima descrive il caos e la confusione, la seconda raffigura una pace rassicurante....naturalmente belle entrambi.
    Buon Vento

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