Vento bastardo, io con te non ci parlo più.
Quest'anno volevo un settembre settembre. Con te che fai le valigie e vai a dormire, che con un ultimo assolo esaltato fai l'uscita di scena trionfale dicendomi "ti ripiglio, tanto ti ripiglio" e dandomi appuntamento al prossimo anno.
Quest'anno, dopo una rotta difficile, volevo un settembre di calma. Oddio, lo voglio sempre un settembre di calma ma quest'anno lo volevo di più. E sai che c'è? Me lo meritavo!
Ma tu la meritocrazia non sai che è, te ne freghi tu del curriculum vitae et stagionis. Volevo quel mare a specchio e quella terra che si trattiene il calore addosso, quell'aria immobile e quelle giornate miti con il cielo ritagliato nel cartone e quelle nuvole basse a ricordarti che comunque è settembre, non luglio, ma a ricordartelo in modo materno, gentile.
Volevo l'acqua calda del mare di settembre che ha accumulato il sole nei mesi estivi e lo rilascia lentamente con la delicatezza di una musica lieve. Volevo l'aria frizzantina, sì, quella che ti fa dire "certo si sente che è settembre", non l'aria artica che chissà dove hai preso e mi stai portando a casa.
Volevo lasciare l'Egeo con rimpianto, come sempre, non tentare vanamente di fuggirne via.
E ora siamo così, io qui, tu dall'altra parte del monte, senza guardarci in faccia, senza parlarci. E aspettiamo. O meglio, io aspetto, tu non lo so che fai.
Stiamo litigati, Meltemi.
L'anno prossimo mica lo so se ti saluto quando arrivo. Anzi facciamo una cosa, non salutarmi neanche tu. E comunque, se proprio devi dirmi qualcosa, dimmela alle spalle.