Bene, siamo in ritardo. Non per il rientro, perché non abbiamo appuntamenti, ma siamo in ritardo per il meltemi, anzi che quest’anno è stato pure gentile e ha aspettato parecchio, cincischiando indeciso come Nanni Moretti “che dici vado, non vado, vado e mi metto in un angolo tranquillo, oppure faccio finta di andare e poi torno a casa?...”. Ormai però non c’è dubbio, è arrivato e sulla cartina meteorologica colora di rosso cupo il centro dell’Egeo, in particolare tra Est di Creta e Rodi. E lì, non c’è niente da fare, ci dobbiamo proprio passare. Ci mettiamo ai blocchi di partenza nella baia di Kouremenos, circondati da entusiasti surfisti, la nostra sfortuna è la loro fortuna. Consultiamo le previsioni per sfruttare una finestra tra una burrascona e l’altra. Finestre vere e proprio non ce ne sono, ci dobbiamo accontentare di una sorta di feritoia per gatti e i gatti hanno il vantaggio di correre ben più velocemente di noi.
Il viaggio inizia con un bel 30 nodi e mare formato, entrambi per fortuna di lasco, all’orizzonte dovrebbe esserci Kassos. Una cosa buffa qui in Grecia, o meglio che non ci aspettavamo, è che il vento toglie visibilità, ovvero più è forte, più la visibilità è scarsa. Kassos ci appare quindi a meno di 10 miglia dall’arrivo, la guardiamo impazienti, contando di sfruttare, girata la punta sud, un po’ di ridosso, magari fermarci lì per un bagno e poi proseguire per Karpathos con un po’ meno di stress per noi e per le attrezzature. Ma scopriamo presto che Kassos e Karpathos sono i fratelli indemoniati dell’Egeo. Probabilmente le due isole più belle della Grecia ma, almeno in questa stagione, flagellate dal vento che urla senza soluzione di continuità. Girata la punta sud di Kassos, ci troviamo a fare un bel traverso molto impegnativo con vento cattivo e raffiche a 40 nodi, non riusciamo neanche a fare un po’ di foto, l’isola è semplicemente splendida, forse ci torneremo quando finisce il meltemi. Proseguiamo per Karpathos e ci fermiamo in rada, letteralmente distrutti, davanti alle spiagge dell’aeroporto che sono il regno dei surfisti. Il vento resta una colonna sonora sproporzionatamente rumorosa per tutta la notte. La mattina dopo, decidiamo di proseguire, fermarsi qui è impossibile e vorremmo sfruttare tutta la nostra feritoia (chiamala feritoia….) prima che arrivi il forza 9 previsto per domani. Per arrivare a Rodi, Giovanni adotta la strategia di risalire tutta Karpathos sotto costa a motore in modo da non avere mare per poi sfruttare meglio la traversata con un bordo al lasco. L’ idea funziona, il mare è piatto ma bianco di schiuma, l’anemometro segna 43,2 nodi, arriviamo a Diafani, a Nord di Karpathos verso le 12 e da lì traversiamo usando il solo genoa e cavalcando onde di 2 metri e mezzo. A Karpathos ci siamo stati 20 anni fa, anche allora, per 10 giorni, il vento non ha mai smesso di soffiare. L’isola è meravigliosa, frastagliata, selvaggia, con spiaggie di ciottoli bianchi e mulini a vento sulle montagne dove c’è anche il remoto e incontaminato paesino di Olimbos, tanto lontano dalla civiltà da aver conservato un sapore di antico. Peccato non potersi fermare, Kassos e Karpathos forse sono tanto belle proprio perché così inospitali. L’ultimo tratto della traversata che abbiamo definito “il culo dell’Egeo” è ancora più impegnativa, girata la punta sud di Rodi, le raffiche aumentano e noi che siamo senza randa, cerchiamo di ammainare il genoa prima che il vento rinforzi ulteriormente ma il rollafiocco si è incattivito per la pressione del vento e forse anche per i quintali di acqua salata che da due giorni gli piovono addosso, siamo costretti ad ammainarlo mollando la drizza. Ora, la violenza di questa operazione sotto le raffiche suddette, non è facile da descrivere. Io sto tra il timone per tenere la barca al vento e la drizza del genoa, Giovanni a prua per ammainare, tra me e lui un genoa indemoniato che sferza l’aria con la violenza di una mitragliatrice. In tutta questa operazione, la scotta riesce a incastrarsi in un boccaporto e la serratura di questo salta via. Dopo pochi minuti, abbiamo la meglio sulla forza del vento. Il genoa è ammainato, parecchio ferito nella già sofferente banda UV ormai a brandelli, ma intero, resta il problema del boccaporto che in queste condizioni di mare non può certo restare aperto in navigazione, ovvia pena l’imbarcare acqua a prua che non è proprio salutare. Intuiamo facilmente che l’unico modo che abbiamo di tener chiuso l’oblò è quello di posizionarci sopra un peso stabile e significativo che individuiamo facilmente nel mio di dietro. Le ultime dieci miglia di navigazione quindi le affronto così, seduta sul boccaporto a prua, nel punto più esposto e più bagnato della barca. Sono momenti topici, visto che normalmente quando in barca becchi una secchiata d’acqua, ti alzi e ti sposti da un’altra parte, difficilmente te ne stai ferma lì senza far niente a farti innaffiare. Ho retto abbastanza bene l’urto, infagottata nella mia cerata zuppa d’acqua. Meglio Giovanni che ridacchiava guardandomi dal posto di comando. L’arrivo nella baia di Lardhos, un miglio prima della più famosa Lindos, con una doccia calda ristoratrice è stato un momento paradisiaco da ricordare.
Ancora lle prese con il Meltemi ? Come mai non ci sono più aggiornamenti ?
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