Ok, ok, lo so. “Ce ne hai messo di tempo a scrivere,
Francesca eh?”. Lo sento che lo state dicendo. Voi, quattro fedeli gatti che
passate di qua, per lo più parenti e amici, per sentirvi raccontare un po’ di
questo mare e di questo viaggio. Avete presente il foglio bianco? Ecco, ad
iniziare a parlare di Grecia, ci vuole un po’, perché la Grecia prima che tu
possa parlare di lei, deve rivolgersi a te, farsi riconoscere, entrare in
contatto. Belle scuse. Macché, era solo pigrizia...
Quindi, con diversi giorni di ritardo rispetto al nostro
arrivo a Cefalonia, vi parlo finalmente di lei.
La prima cosa che facciamo nelle acque di Cefalonia, dopo una traversata lunga 24 ore e impegnativa solo per il nostro
serbatoio di gasolio, occupato a cantare per buona metà del percorso, è accogliere
a bordo un simpatico clandestino. “Un delfino!” sento strillare Giovanni,
indicando a dritta della barca. “Ancora???” penso io, visto che abbiamo visto
molti più delfini che onde, finora. Ma il tono di sorpresa, che sarebbe stato
ingiustificato ormai per un delfino vero, aveva in questo caso un senso. Non è un
delfino come gli altri, è un’interpretazione in pvc del simpatico
mammifero marino. Un delfino gonfiabile, insomma, perduto da qualche bambino su
una spiaggia, chissà dove e chissà quando. E’ disegnato in maniera stranamente
realistica e ha gli occhietti aperti in una strana e sinistra fissità.
Due
maniglie montate sul dorso fanno capire chiaramente il suo scopo e la sua
totale inutilità per chi ha un peso superiore ai 20 chili. Non possiamo lasciarlo
lì, da solo, in mare aperto. Così, al grido di “Chi abbandona un delfino
gonfiabile è una bestia” lo issiamo a bordo, sistemandolo sulla tuga accanto al
nostro fedele tender. Che ci faremo, non lo so proprio. Magari lo regaleremo al
primo bambino simpatico che incontriamo. E non mi venite a dire che tutti i
bambini sono simpatici perché sappiamo bene che non è vero. Al momento
comunque, Delfi è lì ad oziare, totalmente inutile, non aiuta nelle manovre,
non serve a condurti da nessuna parte, non nobilita P’acá y p’allá né la rende
eroica, irrita a dismisura il tender Bomby che ha già dovuto digerire l’imbarco
di una canoa gonfiabile a bordo. Ti vedo male, Delfi…
A confortare la nostra preferenza per gli animali vivi e in
carne e pinne, mentre nuotiamo in una cala a Sud di Cefalonia, incontriamo una
bella tartaruga. “Tu tienila, mentre io vado a prendere la Go-Pro”, dice
Giovanni. (per chi non lo sapesse, è il caso di sottolineare che la Go-Pro è
una micro-telecamera e non un’arma da combattimento…). Mentre si allontana
penso al significato di “Tienila”, come si tiene una tartaruga? Dopo un paio di
minuti, risulta chiaro che è lei che tiene me e non viceversa. Le nuoto
accanto, con discrezione e rispetto, lei prosegue e a tratti rallenta per
aspettarmi, ogni tanto gira la testa a controllarmi e capisce che non sono
offensiva, oltre al fatto che, se vuole, può seminarmi in un battito di pinne,
o di zampe. Ben altra accoglienza riserva a Giovanni da cui capisce presto che
è meglio darsela a pinne levate. Tranquilla, tartaruga, a bordo non c’è certo
spazio anche per te. Per completare lo zoo, Cefalonia ci regala anche la vista
di una buffa foca monaca in navigazione contromare.
Il piccolo paese di Argostoli, incastonato dentro un fiordo
sulla costa sud-ovest di Cefalonia è una piacevole sorpresa ionica. Porto di
entrata per la Grecia, è fuori dalle rotte dei charter, troppo fuori mano per
chi prende in affitto la barca a Corfù, a Lefkada o a Itaca, in una parte di
costa normalmente battuta dal vento. È invece il luogo ideale per quelli che
hanno fretta di Egeo, come noi quest’anno. Quelli che tagliano dritto da
Rocella Ionica o Crotone perché le Ionie sono un passaggio e non una meta. Al
molo insieme a noi, una splendida vela di 100 piedi, il Nilaya e il “Paroa” un
Hallberg Rassy 42 piuttosto stagionato, come la proprietaria, una arzilla
75enne vedova di Palermo che per ritrovare le atmosfere di viaggi fatti con il
marito è partita per l’avventura greca imbarcando skipper e compagna a bordo.
Siamo ormeggiati proprio di fronte l’autorità portuale e riviviamo con una
certa commozione il rituale delle procedure di ingresso. Compiliamo fogli su
fogli ad una apparentemente sveglia giovane ufficiale che duplica i nostri
fogli in decine di fotocopie, apponendoci sopra centinaia di timbri e facendoci
la consueta domanda “Your next port, please?”. Ora lo so, e invece di
risponderle “E chi lo sa, signorina” me ne invento uno qualsiasi sulla rotta.
La tassa di ingresso annuale è sempre la stessa, 15 Euro, perché nonostante la
grave crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese, i Greci si guardano
bene dal farne ricadere il peso sulla nautica da diporto, uno dei principali
serbatoi di benessere ellenico. (Capito, Mario?). Ti chiedono di pagarla, quasi
scusandosi, e ti avvertono che se riparti entro sera non dovrai pagare anche
l’ormeggio di altri 15 euro. (15 euro per il transito. Capito, marina
italiani?).
Il Paese di Argostoli ha un piacevole sapore di città di
frontiera. Tranquillo e attrezzato, il bar sul porto ha il wi fi gratuito e
riesci a prendere la rete pure dalla barca. Il supermercato Tzanetos è
fornitissimo e io posso risolvere facilmente la mia ansia da scarsa fornitura
di cous cous, saccheggiandolo di tutte le scorte. La cena da Arxontiko è buona
e abbondante, mai prendere più di un piatto in Grecia! In meno di 24 ore,
archiviamo Cefalonia. Lo avevo detto che avevamo fretta di Egeo!
Finalmente! Una goduria questi due aggiornamenti in successione, grazie di aver condiviso le tue impressioni
RispondiElimina