“Bentornati, stronzetti! Ve la siete presa comoda eh? Che
pensavate che mi ero fatto commissariare dalla Merkel?”. Così ci accoglie il
Meltemi. Lui che ogni mattina si alza, continua ad alzarsi e il giorno dopo
ancora di più. E non scende mai. Lui al cui confronto lo Spread è un novellino
con manie di grandezza. E arriva a sorpresa questo eroe ellenico, come sempre
per fare un dispetto. Tutto tranquillo al marina di Alimos, usciamo e
constatiamo felicemente che il nostro motore funziona bene, mi sarebbe davvero
seccato di ricredermi su Manolis.
Mettiamo su la randa e fiocco e constatando
una brezza 10 nodi da sud, Giovanni fa l’errore che fa sempre. “Aho, ma il
meltemi?”. Ecco appunto. Io che lo so, invece, non apro bocca. Mi limito a
pensare guardando Capo Sounion che questo punto focale, leggendario per
l’incattivirsi dei venti, visto oggi sembra una punta qualsiasi del tirreno
centrale in un giorno di bonaccia. Ecco, appunto. Anche solo pensarle, certe
cose, chiamano vendetta. Il “Bentornati, stronzetti” ci raggiunge appena
superato Capo Sounion. Eolo gira a nord, si trasforma in Meltemi. Se il vento
avesse un colore, il meltemi sarebbe verde, come l’incredibile Hulk, potete
scommetterci.
Bene, una cosa l’abbiamo imparata lo scorso anno.
La prima
mano di terzaroli va presa subito appena il Meltemi si conclama, ovvero prima
che abbia finito di dire "Bentornati". Tanto sai che è solo questione di tempo
per prendere la seconda, no? A rischio di sembrarvi poco sportiva, io sono
sempre quella che propende per prendere la coppiola di mani di terzaroli fin da
subito. È che lo conosco, il ragazzo, lo so che quando si sveglia e inizia a
superare i 20 nodi, poi fino a 35 non si accontenta. Propendo, ma perdo. Pare
sia usanza che le mani di terzaroli vadano prese una alla volta, quasi che sia
un rito, un percorso sacrificale. E quello, il bastardo (il meltemi, non
Giovanni), se la ride. Se la ride dei miei lividi, che soprattutto grazie a
lui, puntano a superare in termini assoluti il numero di isole greche presenti
in Egeo.
Dicevamo, Capo Sounion.
Se il Meltemi mi avesse lasciato
terminare il mio pensiero, mi sarebbe piaciuto rendere omaggio a Egeo, da cui
questo bellissimo mare prese nome. Egeo, papà di Teseo, si gettò suicida in
queste acque a causa di un malinteso con il suo figliolo. Per meglio dire, per
colpa della distrazione del suo figliolo. Vero è che il povero Teseo era dovuto
andare a sconfiggere il Minotauro, seminare l’esercito di Minosse… Per non
parlare del liberarsi poi di quella piattola di Arianna (che fu lasciata a
Nasso, da cui il famoso detto “piantata in Nasso” e non, come credono tutti, “in
Asso”…). Insomma erano stati giorni difficili, non v’è dubbio, ma dimenticarsi
del patto con il padre di cambiare le vele da nere a bianche per dare il segnale
di essere vivo e vincitore, non è stato un gran bel gesto, considerate le
nefaste conseguenze. Ovviamente che fa Teseo? Dà la colpa a Arianna. E ti
pareva… Forse si nota, Teseo non mi è mai stato simpatico, facevo il tifo per
il Minotauro, io.
Così, gentilmente sospinti, abbandoniamo subito l’invernale
dubbio, covato dentro le mura domestiche, sulla rotta da percorrere. Tagliamo
l’Egeo in diagonale a favore di vento o tentiamo la risalita verso la
Calcidica? La prima che ho detto, senza dubbio. Tutto ciò che è a nord di Capo
Sounion, sembra richiedere una partenza più intelligente, con passaggio da
queste parti prima del mese di giugno. Ecco quindi che cominciamo a dare una
forma alla nostra rotta che quest’anno, come potete vedere in mappa, avrà la forma
di un 8, o meglio di un ∞, il bellissimo segno dell’infinito. Una rotta furba e
un po’ vile, che gira le spalle al bastardo che soffia, offrendogli appena un
tre quarti di lombo, tanto per smettere di farsi sputare in faccia. Risalire si
dovrà, ma meglio farlo a ridosso della Turchia, dove tende a smorzarsi e a
diventare quasi umano. Ecco, l’ho detto. Vuoi vedere che quest’anno si
organizza?
Scivoliamo molto velocemente lungo le coste di Kea (chiamata
Tzia dai locali, come a far pensare ad una zia un po’ arcigna e malevola). La tzia
con il suo sottovento più maligno ci convince a guadagnare la seconda mano di
terzaroli per queste ultime 6 miglia che ci dividono da Kythnos, nostro punto
di arrivo del giorno e prima delle isole Cicladi che toccheremo quest’anno.
Siamo sulla rotta dei traghetti che dal Pireo vanno verso Patmos, grandi navi
ci passano vicino e ci superano con la loro imbattibile velocità.
Kythnos si
avvicina, brulla e selvaggia, con le sue rocce rosse e la sua macchia
bassa.Troviamo riparo nella sicurissima baia di Fykiada dove un piccolo
promontorio legato a terra da un tombolo di sabbia crea uno scenario bellissimo
dal confortante perimetro lacustre.
Il giorno dopo, snobbiamo il porticciolo di
Merikha particolarmente soggetto a risacca e conseguentemente diciamo alla Chora
di Kythnos che sarà per un’altra volta, tanto torniamo. Quest’isola ci ricorda
in qualche modo Agathonissi, molto distante da qui, situata all’apice del Dodecaneso. La
roccia, le baie protette, il colore del mare. Non solo. Anche la scarsa densità
di barche. Siamo a una ventina di miglia dal Pireo, nella seconda metà di
luglio e ti ancori in baie quasi deserte. Lo so qual è il segreto della Grecia,
tante isole, tante baie, tanti ridossi: le barche ci sono ma si sparpagliano.
La terra da mare è sempre accessibile e facilmente. Mario (sempre Monti) se
vuoi risollevare le sorti italiane, fai un miracolo e riempi di isole i nostri
mari, poi concedi le licenze ai ristoranti sul mare, fagli fare qualche moletto,
fagli mettere due corpi morti ogni tanto, butta a mare quella cartaccia
complicata dei parchi marini che è fatta coi piedi e si vede, per esempio alla
Maddalena. Roba così, Mario. Si chiama "turismo nautico" ed è quello che fa
sorridere i Greci. E soprattutto fa sorridere noi italiani che preferiamo
navigare in Grecia. Vabbé, lo so che lo faresti, è che hai le mani legate.
Torniamo a Kythnos, tu intanto fatti venire un’idea per moltiplicare le isole
che mi sembra la cosa più complicata, il resto, volendo, si può fare.
Risaliamo la costa est dell’isola e ci sistemiamo all’ancora
nella baia di Ag. Ioannis, monopolizzando l’unica chiazza di sabbia pulita
sott’acqua dell’intera cala. Per i profani, le chiazze di sabbia in acqua,
specie in giornate rafficate come questa, sono l’equivalente del parcheggio
auto all’ombra a Roma a metà luglio: qualcosa da non perdere. L’ancora,
infatti, ama la sabbia dove letteralmente sprofonda, aiutata dalle forti
raffiche che, spingendo la barca, la mettono in tensione.
In quelle condizioni è
impossibile ancorare sugli scogli, la tensione cui sarebbe sottoposta la catena
è troppo forte e ancorare su fondi poco puliti, macchiati da alghe rischia di
provocare antipatiche sorprese, un po’ come tenersi aggrappati ai capelli di
qualcuno, a parte gli strilli e gli improperi, dopo un po’, si sa, si spezzano.
Chi arriva dopo il monopolista della chiazza di sabbia è
destinato a tentare l’ancoraggio più e più volte per rassegnarsi alla fine ad
aggiungere all’ancora delle cime da fissare a terra. Un’operazione laboriosa e
spesso la soluzione meno ideale in caso di raffiche contrapposte. È questo il
caso di un professionalissimo 60 piedi battente bandiera di Jersey (n.b. porto franco) con armatore non nativo dell'isola della Manica ma della verde Svizzera, che dedica in due giorni almeno 6 o 7
ore a questa manovra di ancoraggio.
Dotato di equipaggio numeroso e tender con
ecoscandaglio in avanscoperta, è un piacere vederlo all’opera. Loro ci odiano
sicuramente, per buona metà delle ore di manovra, penso che si augurino di
vederci tirare su l’ancora e andare via, per prendere possesso della nostra,
ormai decisamente nostra, esclusiva chiazza di sabbia. La loro barca è più grande
della nostra, decisamente. Secondo loro sarà anche più bella, io direi invece
no, ma è difficile da sostenere. Diciamo comunque che con la sua barca delle
nostre ne puoi comprare una decina. Per l’assioma “Più ricco = più privilegi”,
asse portante dell’insegnamento nelle scuole di tutto il mondo, i signori del
60 hanno l’aria di pensare che la nostra chiazza di sabbia, gli spetti di
diritto. E invece no, la sabbia è democratica. La sabbia greca anche di più.
Fossimo stati sul punto di andare via, saremmo rimasti. Insana invidia per quei
15 piedi in più? No, solo il Meltemi che contagia e rende un po’ dispettosi.
confermo: le mani di terzaroli si prendono una alla volta... nel frattempo "giochi" con il carello della randa...
RispondiEliminabuon vento
Giorgio