“Italiani?.... Ohhhh italiani! Ella, ella!” Una signora
molto anziana vestita di nero e seduta sugli scalini all’ombra di una casa
della Chora di Astipalea, richiama la nostra attenzione e, al cenno di assenso
sul nostro essere italiani, ci chiama a sé, ci prende le mani e inizia un lungo
discorso fatto di gesti, di sguardi e di parole nei tre vocabolari greco,
italiano e inglese. Non so se si commuove così ogni volta che vede un italiano,
cosa che non deve essere troppo frequente però neanche così rara quaggiù, ma
dall’enfasi con cui parla sembra che siamo i primi italiani che incontra dal
dopoguerra.
C’è del bello nel non parlare la stessa lingua, a volte. Ed
è tutto nella passione con cui il prossimo si impegna a spiegarti quello che
sente. La signora, che per inciso non intende venderci nulla, ha le lacrime
agli occhi, mi stringe la mano (Giovanni si è rapidamente ripreso la sua), mi
accarezza il viso e cerca di raccontarci la sua storia, o meglio, la Storia della
prima metà del secolo scorso, inanellando una trentina di vocaboli in tutto.
“Kastro” indicando il castello “Italiani mesa dormire, mangiare… Oh italiani!!! Latte,
formaggio, uva, ricotta. Mesa mangiare, mesa dormire” facendo il gesto di
cullare un neonato al seno. Poi, rabbuiandosi “Germans, vrooom” mimando con la
mano aerei che sorvolano in alto.
“Italiani Pum pum pum” sparando con due dita a pistola contro il cielo e con un
sorriso da “arrivano i nostri”. Alla fine, assume il tono dell’epilogo del saggio e
dice “Anglais arrivano… e… Perimene questa è Ellada”.
Praticamente, un bignami
di storia moderna, la nostra signora. Non so se, dal mero resoconto scritto, sia
a voi comprensibile quello che dal vivo era assolutamente cristallino e
inequivocabile.
In sintesi: i nostri soldati erano arrivati dopo aver
cacciato i turchi, si erano piazzati dentro al Castello e non facevano altro
che mangiare e dormire. Apprezzavano particolarmente i formaggi, l’uva e i suoi derivati , il
latte di capra. Il gesto di cullare il neonato credo fosse riferito ai piccoli
italiani illegittimi che nacquero in quel periodo, forse qualche figlio stesso
della signora. Quando poi sono arrivati i tedeschi, nella seconda guerra
mondiale, gli italiani (forse alla fine, quando avevano capito...) hanno cominciato
a usare la contraerea per difendere l’isola, gli astipaleani e soprattutto se
stessi. Poi sono arrivati gli inglesi, hanno liberato tutti e hanno detto “Mo’
basta occupazione, questa è la Grecia liberata”.
I greci sono un popolo abituato alle occupazioni cui hanno reagito con ritrosia e diffidenza solo all’inizio per poi
accettare piacevolmente gli intrusi e integrarli nella loro vita quotidiana. Un
esempio di quanto sto dicendo, nel bel film di Salvatores “Mediterraneo”,
ambientato nella remota Kastellorizo. L’affetto con cui la signora ricorda gli
italiani non è quindi affatto strano da queste parti.
Insomma, ci vogliono bene qui ad Astipalea, dovevano essere
assai meglio dei Turchi questi italiani, almeno nei ricordi della signora.
Ma anche nei ricordi di Elias, o meglio nei ricordi
tramandati al figlio dal padre di Elias che ha lavorato per i Carabinieri italiani per 15
anni quando la Stazione CC era a fianco dell’autorità portuale. Elias è l’uomo
dell’acqua di Astipalea, il water for boat che si legge nei cartelli scritti a
mano sulle banchine greche. Ovvero un signore che ha le chiavi del lucchetto
del tubo dell’acqua sul molo, tu chiami, lui prende il motorino, viene al
porto, ti apre il lucchetto ti aiuta a svolgere il tubo e ti fa fare
rifornimento d’acqua per 5 euro. Non hanno il conta litri, si paga 5 euro e
basta che il tuo serbatoio sia di 400 litri come il nostro o di 2.000 come
quelli dei caicchi. Elias ci incontra al tramonto in motorino che andiamo a
fare le foto ad Astipalea di notte e ci raggiunge in barca più tardi per farci
vedere sul monitor della macchina fotografica quale sia la sua casa.
Ci dice
che l’Italia è bellissima, lui non ci è mai stato ma deve essersela immaginata
così. Ci racconta che per anni ha fatto il meccanico dei motori ma che ora
basta, ora ha un figlio, ora fa l’uomo dell’acqua. Evidentemente procreare ha
più a che vedere con l’acqua che con i motori e la cosa, se volete, ha un senso. Elias ci
parla e con gli occhi viaggia con noi, ci dice che anche Sirna, isola disabitata a 20 miglia
a sud è splendida ma anche lì non c’è mai stato.
E poi c’è il bambino dei
fichi, che non si sa come si chiama e non si ricorda degli italiani perché per
lui, italiano, greco, tedesco, belga, non importa. Tu sei semplicemente uno di quelli delle
barche che arrivano al porto, quelli che quando la mamma li vede da casa sulla
collina, lo chiama veloce, gli
mette un paio di sacchetti di fichi appena raccolti e lo manda in banchina per
venderli a 4 euro. Ogni sacchetto è di circa un chilo e mezzo. Il bambino ha
un’aria un po’ triste, forse è solo la forma degli occhi, forse un innato
istinto di marketing. Quando gli compri i fichi e gli dici che non importa se
non ha il resto, accenna un lampo di piccolo sorriso ma poi indossa subito di
nuovo la faccia triste.
E siccome hai comprato, torna dopo 10 minuti e ti
chiede se ne vuoi altri, e poi ancora 10 minuti dopo. Vorrei smentire la teoria
sull’indigestione dei fichi che provoca il mal di pancia. A questo punto, dopo
il plurimo acquisto, la considero un’ingiusta calunnia. Forse è per questo che
il bambino aveva la faccia triste.
Quel che è certo è che al bambino gli avrei finanziato
l’intera piantagione, dopo aver visto la sua faccia triste trasformarsi in
espressione di dignitosa serietà nel rifiutare lo sconto chiesto da un orrido
armatore turco, esempio di nouvelle richesse, da imbarazzare persino i nostrani
Briatori. Il turco ha chiesto di assaggiare un fico, gli ha fatto cenno per dire che
valevano meno di quanto richiesto e gli ha offerto una cifra inferiore. Il
bambino si è ripreso il suo sacchetto, ha detto un educatissimo "No" e gli ha
girato le spalle. E quel fico di assaggio glielo ha regalato.
Vorrei insegnare
al bambino a dire la parola “Pezzente” in tutte le lingue del mondo. Ma forse
la sua dignitosa risposta valeva di più. Astipalea è luogo di incontri e
facciamo amicizia con Alberto e Paola che ci invitano a bordo del loro
Franchini 53 per un aperitivo e scambio di informazioni da naviganti in Egeo.
Con loro a bordo due amici e l’espertissimo Hans, marinaio austriaco
naturalizzato in Turchia. Raccontiamo loro Creta, dove portano a svernare la
bellissima “Atrevida”. Gli piacerà, Creta non può non piacere.
Ad Astipalea torniamo dopo 27 anni. L’isola è
sostanzialmente la stessa. Nel porticciolo di Skala c’è qualche costruzione
nuova ma neanche poi tante. La Chora è decisamente più animata ma l’indole del
posto è rimasta quella. Gli autobus sono di nuova generazione e hanno una
frequenza maggiore di allora. Per il resto è assolutamente la stessa isola. Con
sorpresa, seduti al tavolino di una taverna sulla spiaggia di Ormos Marmari,
sentiamo la stessa canzone greca che suonavano sugli autobus quasi 30 anni fa. Deve
essere un classico, oppure la canzone di Astipalea. Un po’ un loro “O sole
mio”, la coincidenza è commovente.
Astipalea, dimenticata dagli dei in un buco di solo mare, a 25 miglia dalle sorelle egee, dodecanesica sulla carta ma cicladica nel carattere, è un’isola a forma di farfalla, con
un istmo sottile che divide la costa nord da quella meridionale, la parte Ovest
montuosa da quella Est più collinare. È frastagliata e costellata di isolette
satellite. Splendido l’ancoraggio nella cala Ovest di Kounoupi, Landa Bay, dove
restiamo a dormire abbastanza tranquilli nonostante un forza 6-7 che imperversa
tutta la notte. Bellissima anche la baia di Kaminakia con la taverna in riva al
mare. E le acque cristalline di Ormos Steno e quelle blu profondo di Ag. Fokas
con le scogliere a picco nel mare. Il resto di Astipalea lo vediamo in motorino,
con la strada che a ogni curva ti fa cambiare versante, su strade sterrate e
piene di sassi che chissà quanto turismo ci vuole prima che le riescano ad
asfaltare. È brulla, rocciosa, sarebbe silenziosa se non fosse per la colonna
sonora potente del vento. Astipalea è bella e dolce in tutto, fin dal nome, fin dalla
forma, sicuramente per la sua gente.
Dopo il comandante H.M.Denham e Goran Schildt, ampiamente saccheggiati da chiunque abbia scritto sul Mediterraneo, finalmente qualcosa di originale sull'Egeo, le sue isole, la sua gente. In tempi di navigazione di massa esiste ancora la possibilità della scoperta del bello attraverso il difficile.
RispondiEliminaSilverio
Cara Francesca,non so se mi è piaciuta di più la signora poliglotta e la sua enorme capacità di sintesi dell'antropologia europea, l'uomo dell'acqua che per semplificarsi la vita applica i 5 euro a prescindere e a priori, o questa sensazione di anni '50 che mi ha pervaso leggendo il post. Ad un tratto mi è sembrato un po' Pane, amore e tzatziki (perdonerai la pessima ortografia greca ma - si sa- ho probolemi anche con quella italiana) e mi aspettavo che tu ti allontanassi a dorso di mulo, novella Lollobrigida, con Giovanni facentefunzioni De Sica (Vittorio, per carità, Vittorio. Mancava solo una strepitosa Tina Pica, ma ella è una delle mie personalità e quindi non la cedo.
RispondiEliminaMa alla fine quello che mi è piaciuto di più è il bambino vendi fichi e il suo aplomb da grande uomo (il censo nulla può davanti al carattere). Leggerai questo commento quando sarai lontana, purtroppo, mi piacerebbe chiederti di comprarme, per me, un sacchetto di fichi al bambino e di fargliene omaggio.
Cocò
Cocò, prima o poi, lo sento, molli tutto e ci raggiungi in barca. C'è una marinaia ansiosa di terra vista da mare dentro di te, ben nascosta ma saldamente ormeggiata :-)
RispondiEliminaSilverio, mi monterò la testa con questi riferimenti decisamente troppo elevati per la mia prosa disordinata e affetta da mancanza di disciplinata rilettura. Mentre è epoca di restare umili, mi sa: l'inverno incombe, i conti languono, le tasse aumentano, il mercato ha sempre meno bisogno di consulenti in comunicazione con un occhio puntato sulla bussola e l'altro sulle previsioni meteo. Ma che ci importa, la realtà ha poi sempre il dono di riportarci con i piedi per terra, magari a questo ci pensiamo tra un po' :-)
Fuori e dentro di me abita un amante dei viaggi in luoghi non necessariamente lontanti ma assolutamente "fuori rotta". Per questo il tuo diario delle isole greche è una lettura imprescindibile.
RispondiEliminaChe vuoi, Francesca, fatte non fummo per il mercato ci veniamo ogni tanto a
patti per le necessità primarie. Nulla più.
Ma all'inverno manca ancora un po'. Cicaleggia ancora per mare e fai marameo al Malteni. Io ti aspetto a Roma per alleviare l'attesa con cene innaffiate di vino, chiacchiere e sigarette.