domenica 18 settembre 2011

Amorgòs. Le discese ardite e le risalite e poi ancora in alto.


Partiamo da Levitha all’alba con rotta Ovest per anticipare il vento che, lo sappiamo bene, ci verrà incontro regalandoci quelle belle raffiche violente sottocosta. Passiamo vicino a Kinaros, un isolotto roccioso in mezzo al mare, con un unico ridosso che è affrontabile, come dice il portolano, solo con calma di vento. Adesso, questa sembra anche una bella presa in giro qui in Egeo, la descrizione di tanti ancoraggi da avvicinare solo in caso di vento assente. Ovvero? Quando? Lasciamo stare, noi proseguiamo. 
Da lì in poi perdiamo due nodi di velocità a causa di una forte corrente contraria, contemporaneamente il mare si alza disordinato e ci fa sentire come dentro una lavatrice. Scomodo ma non pericoloso. Ci accorgiamo che un passerotto, o uccelletto similare, si è appollaiato su una draglia e ha deciso di sfruttare il passaggio. E lì resta. Indifferente ai nostri movimenti, al servizio fotografico di Giovanni, al genoa che srotoliamo per stabilizzarci, al rollìo fastidioso che questo mare ci sta riservando. Aggrappato con le sue zampette al filo d’acciaio, spettinato dal vento, ci fa capire che non ha nessuna intenzione di andarsene. 
Non che dia fastidio, per carità. Il punto è che deve essere salito a Kinaros o addirittura partito da Levitha con noi, impossibile che abbia attraversato il mare da Amorgos, così come, non riuscirebbe a raggiungere terra se decollasse ora. Mentre io penso a come fare per evitare che si spaventi e voli via prima di essere abbastanza vicini ad Amorgòs, Giovanni mi chiede se conosco una ricetta per fare l’uccelletto al forno. L’animale lo guarda sprezzante. Ammiro la sua dignità e il suo portamento, ad ogni onda più grande, si gira di 90° senza perdere la presa e praticando con le zampette dei continui movimenti di assestamento. 
Quando ci avviciniamo ad Amorgos e doppiamo l’isoletta di Nikouria per andare a fermarci nel grande golfo chiuso a ridosso, gli dico “ok, puoi andare caro, qui non conosci nessuno probabilmente, ma sopravviverai”. Niente, non ha nessuna intenzione di lasciarci, anzi, ci guarda con aria imperiosa quasi fossimo noi i clandestini a bordo. Neanche il rumore dell’ancoraggio lo spaventa. Solo dopo, quando sto fissando il baffo a prua, mi accorgo che non c’è più, è volato via senza neanche salutare. “Si dice Grazie per il passaggio eh?” gli grida dietro Giovanni ma lui ha altri pensieri ormai, come rifarsi una vita in questa isola e farsi nuovi amici o chissà se c'è da mangiare qui in giro, roba così...
L’ancoraggio bellissimo nella baia di Mandraki ci consola della navigazione scomoda e ci regala una 24ore di relax e silenzio in uno scenario di mare calmissimo, come sempre benedetto da una chiesetta in riva al mare, aperta per chi volesse accendere una candela.
Al  porto di Amorgòs troviamo facilmente posto, affittiamo un motorino e via su per i tornanti fino alla Chora. In qualche maniera Amorgòs sostituisce la Karpathos che abbiamo solo sfiorato quest’anno. 
Me la ricorda a suo modo. L’isola è montuosa, aspra, selvaggia e le sue vette sono spesso avvolte in una nebbia grigia. Salendo su per i tornanti, senti rapidamente scendere le temperature e ad ogni curva il vento gioca a sferzarti con un bel freddino più che autunnale. La cittadella è bella come quella di Patmos ma più vivace e vissuta, tante taverne nelle stradine, vecchietti che giocano a backgammon e bambini che corrono. 
Il vento che si insinua nei vicoli, le terrazze con i tavolini colorati rivolti verso il tramonto, le bouganville che contrastano con i muri in calce bianca, gli scorci  quasi verticali verso il mare e la cantilena “Ella, ella” che senti ad ogni angolo: questa è Grecia e io ormai la sento così familiare che è commovente. 
Al Monastero di Hozoviotiza, tappa che da sola vale un viaggio in quest’isola, è bene andarci la mattina presto quando la facciata è illuminata dal sole. Si tratta di una fortificazione letteralmente incastonata nella montagna verticale che cade a picco sul mare nel versante Est di Amorgòs. Non esiste un modo per descrivere l’impatto visivo se non le immagini. È la conferma che i religiosi, quelli sì che hanno capito tutto della vita. Ci accolgono al monastero in abiti borghesi e scarpe da tennis e terminata la visita ci offrono un bicchiere di Raki e dei loukumades (tipico dolcetto turco). La vista dalla terrazza del monastero toglie il fiato. 
Oddio, anche la scalinata per arrivarci contribuisce. Ma ne vale la pena, davvero. Insomma, il nostro primo impatto con le Cicladi è magico, Ad Amorgòs senz’altro torneremo. Ah, e prima che me lo chiediate… Sì, potrei viverci ad Amorgòs, d’altra parte abbiamo lasciato un amico qui, pennuto, ma sempre amico è.

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