sabato 17 settembre 2011

Levitha. Entrare nelle Cicladi dalla porta di servizio.


Detto così, pare spregiativo. E invece no. Non so voi, noi ormai lo abbiamo capito da tempo: è dalle entrate secondarie che si vedono le cose più interessanti, è nelle cantine delle grandi case nobiliari che si respirano gli odori più buoni. Non ci siamo capitati per caso qui a Levitha, l’abbiamo proprio scelto come entry pass per l’egeo cicladico. Si è fatto tardi e l’idea di bighellonare a zig zag  per le Cicladi è diventata piuttosto utopistica, per cui scegliamo una rotta Est-Ovest e privilegiamo le piccole Cicladi meno di massa e più vicine ai nostri gusti. Coooosa???? Non andate a Mikonos, Naxos, Paros? No, non ci andiamo, sarà per un’altra volta, o forse neanche. Quel che rimpiango è l’Egeo del Nord, Chios e soprattutto la vicina Psara, le Sporadi settentrionali, la Calcidica, non tanto le più note tra le Cicladi. 
Preferiamo Levitha, poi sfiorare Kinaros e fare rotta su Amorgos. Con grande gusto quindi, anche se poi pagheremo cara la perdita di terreno, da Patmos mettiamo la prua sul Sud pieno, era da metà luglio che non facevamo questa rotta comoda. Navighiamo bene, un po’ a vela, un po’ a motore e dopo un paio d'ore eccoci arrivati. La descrizione migliore per Levitha la rubo a un giornalista che come incipit a un suo articolo confessa che non andrebbe scritto, non andrebbe pubblicizzata Levitha perché è una cosa bella che ad andarci in troppi si sciupa. 
Come dice lui “Levitha è un’utopia fragile, le cose belle vanno amate e rispettate, chi ci andrà dovrà farlo in punta di piedi”. A Levitha, che durante la II guerra mondiale era un avamposto italiano a difesa del Dodecaneso, abita una sola famiglia originaria di Patmos in una fattoria al centro dell’isola. Bravi imprenditori, hanno sistemato una mezza dozzina di corpi morti nella baia sottostante in modo che gli unici possibili avventori della loro taverna, i naviganti, possano lasciar tranquillamente la barca e salire a cena. 
Ed è un piacere, si mangia bene e la passeggiata, o meglio l’arrampicata sulla montagna retrostante la fattoria, vale la fatica. Levitha, nel bel mezzo del nulla, è una suggestiva isola incontaminata e silenziosa, il grande fiordo a sud, oltre alla baia orientale dotata di corpi morti, ha un bellissimo ancoraggio solitario a Ovest con un’acqua limpidissima di mille sfumature di blu e di verde. Mi ci fermerei a vivere qui? 
Forse è un po’ troppo remoto, ma se avessi qualcosa da fare, perché no?La terra è aspra e selvaggia, La famiglia coltiva un pezzetto di terra per il fabbisogno della taverna ma si capisce che è dura, l’isola è una pietraia arida e brulla e l’acqua probabilmente scarseggia ogni anno di più. Ecco, magari potrei mettermi a coltivare un pezzetto di terra per fare conserve, ma poi a chi le vendo? Quel che è certo è che se il mio mestiere fosse scrivere, qui a Levitha l’ispirazione non manca. E saresti al riparo da distrazioni, visto che non vi è campo telefonico né tantomeno rete internet. Chiedo a Manolis, uno dei giovani levithani, se la taverna sarà ancora attiva a metà ottobre per capire se suggerirlo a Gioia e Aldo che passeranno da qui. 
Lui mi dice che loro ci sono tutto l’anno, se ci sono barche aprono, magari si mangia dentro, in casa, visto che tra un po’ fuori comincia a far freddo. Manolis dalla fattoria guarda la baia, quando vede una barca arrivare, scende per i campi con la sua moto Suzuki di prima della guerra, prende il motoscafetto e passa a ritirare i suoi 7 euro per l’ormeggio e a promuovere la sua taverna. Nel resto del tempo probabilmente va a pescare, si prende cura delle capre e delle pecore, coltiva l’orto. A vederlo, Manolis, sembra uno studente di architettura o un musicologo, non noti in lui segni dell’emarginazione che immagini possa vivere. 
Ma poi pensi che quello che è armonico in lui è la serenità di una scelta di vita, che l’abbia fatta lui stesso o che l’abbiano fatta per lui i genitori, capisci che Manolis qui a Levitha ha trovato l’America.

3 commenti:

  1. Grazie, accetto l'ouzo. "Siamo" nel quadrato,ed il ferro ha agguantato: è il momento di anice e chiacchiere. Certo, è facile, per me, identificarmi in luoghi e anime di un viaggio di alcuni(25) anni fa; ma il testo, mai banale, e le immagini, spesso inquietanti, aiutano la memoria a ritrovare l'essenza dell'Egeo. Vento in poppa.

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  2. 25 anni fa sì che deve essere stato speciale. Senza internet, né GPS, quando le previsioni meteo te le facevi un po' da te, che poi chissà che non fosse più attendibile. Per ora vento in faccia, caro amico, siamo ben ormeggiati con il lusso di corpi morti nel porticciolo di Ios, in attesa che passi.

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  3. E' l'Egeo ad essere speciale e quando scioscia non c'è tecnologia che tenga, ieri come oggi. Il mare, pare, è sempre lo stesso, noi un po' meno. Dopo Ios, verso ovest, dovrebbe ridondare. Evviva i corpi morti.

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