martedì 31 maggio 2011

Tropea. Un piacevole pit stop.

 
Non abbiamo figli, ma penso di provare oggi la stessa sensazione di una madre o di un padre che aspettano che nella sala operatoria un chirurgo finisca di asportare l’appendice o le tonsille della sua creatura. Nel nostro caso si tratta di una banalissima guarnizione della coppa dell’olio. Operazione estremamente semplice che diventa opera da contorsionisti e da esperti di fisica, vista la necessità di esecuzione in meno di un metro cubo di spazio. L’equipe meccanica è all’opera, io li osservo con sospetto e pronta ad aggredirli alla prima defaillance, a tendergli tranelli per saggiare la loro competenza, a controllargli il tasso etilico per essere sicura che abbiano le mani ferme. Giovanni mi spedisce saggiamente a Tropea prima che io possa provocare un incidente diplomatico, contando sul fatto che i circa 100 scalini fiacchino la mia aggressività di quando mi toccano P'acá y p'allá.
Eccomi quindi a passeggiare in paese, in cerca di cipolle, liquerizia, origano e pasta di mandorle. E una copia di Repubblica tanto per gioire della sconfitta del nemico. Da ieri noto una strana e amabile attitudine in questo luogo: nonostante la stagione non brilli certo di presenze turistiche, nonostante la crisi economica ben evidente, nei negozi non cercano per forza di venderti qualcosa, anzi a volte fai fatica a comprare un loro prodotto. Ieri ho tentato vanamente, nel momento di maggior sconforto sull’operazione spurgo prima di essere premiata dalla grande eruzione, di farmi vendere un prodotto all’acido muriatico dalla signora Adelina dell’emporio. Abituati ai furbi venditori che sarebbero pronti a garantirti il successo dell’olio di ricino per sgorgare i tubi se avessero solo quello a disposizione, resti un po’ interdetta dal fatto che Adelina ti dica che nessuno dei prodotti che ha va bene, che devi andare dal ferramenta, lui c’ha quello buono. Poi però si coinvolge letteralmente nel problema e chiama sua madre, che smette la siesta per venire al negozio e dirti di persona che quel prodotto là che ha lei in negozio non è buono, che l’ha usato lei in cucina e le ha fuso tutte le guarnizioni. Mi viene il dubbio, con la diffidenza che ci siamo ormai abituati ad avere, che il prodotto in questione sia miracoloso e non me lo voglia vendere per non rimanerne sprovvista. Macché, ce ne è uno scaffale pieno… Ovvio, vista la pubblicità che ne fanno… Poi la madre di Adelina chiama il marito, per chiedergli se secondo lui è il caso di usare un prodotto o solo strumenti meccanici. E il marito, che non fa l’idraulico e non vende svuotatubi meccanici, suggerisce questa seconda ipotesi. Commossa da un tale disinteressato parere e da una partecipazione così sentita da parte di estranei al nostro problema,  acquisto un viakal, tanto per comprargli qualcosa ma Adelina, mentre fa per consegnarmela tira la mano indietro e dice “Non la userà mica per lo scarico eh?” Garantisco che ne farò solo l’uso consigliato e vado via.
Oggi invece è un’anziana signora del negozietto di prodotti locali a darmi un ulteriore esempio di questa attitudine tutta locale a mettersi dalla parte del cliente pur facendo il venditore. Le chiedo due cipolle e lei me le regala. Le chiedo l’origano in confezione già pronta (€ 2,50) e lei mi suggerisce caldamente l’acquisto del mazzetto che costa meno della metà. Quando scelgo la liquerizia, mi fa presente che quella pura, da me indicata,  costa di più dell’altra. Quando prendo la confezione di pasta di mandorla chiede a me di leggere il prezzo perché lei è senza occhiali e al mio citarle “6 euro”, mi risponde “Sicura? Mi sembra tanto…” Insomma, bella gente. Non vuole vendere a tutti i costi, però vuole tanto parlare un po’. Il problema è che non ci si capisce tanto bene. Ai primi approcci con un locale pensavo fosse asmatico, poi ho capito che il dialetto calabrese è un insieme di aspirazioni e ansimazioni con qualche consonante in mezzo. La difficoltà sembra risiedere proprio nel passaggio da una consonante a una vocale dove si inseriscono questi effetti da debito di ossigeno.  Dopo un po’ ci prendi la mano e diventa tutto molto musicale, ma nei primi momenti pensi che il tuo interlocutore sia affetto da enfisema polmonare allo stadio finale.  Intanto le operazioni su P'acá y p'allá vanno avanti e il meccanico contorsionista continua a rovistare nelle sue budella. Si chiama Nico e viene dalla Bulgaria dove mantiene una moglie, due figli, una nuora e 4 nipoti. Lo sento che parla con il motore e con la coppa dell’olio e mi rilasso, forse se ci parla, ha capito che non è un oggetto ma un essere umano. Non so come mai, ma anche l’ansia per la tua creatura è una cosa che mette appetito (devo ancora trovare qualcosa che ci toglie l’appetito…). A Tropea, abbiamo mangiato molto bene sia da “Baffone” che da “Cecé” dove, sembra poca cosa ma un piatto di verdure grigliate assume sapori e equilibri perfetti mai trovati prima in un piatto così apparentemente semplice.

1 commento: