lunedì 5 settembre 2011

Leros e i capitani irresponsabili.


Torniamo in Grecia andando diretti su Leros, la dolce Leros, che nei nostri viaggi precedenti abbiamo sempre ingiustamente snobbato. Il vento, come sempre ultimamente, ci soffia in faccia e decidiamo di evitare la costa ovest e la sosta nel marina di Lakki dove è ormeggiata My Song e dove volevamo passare per conoscere Antonio che da tanti anni vive e naviga a Leros. Next time, ci è venuta un po’ fretta di salire sul trampolino di Fourni per poi buttarci nelle Cicladi. Settembre è arrivato, in realtà quest’anno è arrivato il 31 agosto. 
Perché ogni anno settembre arriva quando gli pare ma quando arriva te ne accorgi, il cielo cambia colore, diventa più azzurro, la mattina ti svegli e fa decisamente freddo, la visibilità è aumentata, i contorni delle terre sul mare sono nitidi, netti. Noi gli abbiamo confuso un po’ le idee a settembre andando in Turchia ma ora che siamo di nuovo in Grecia, settembre si sente eccome. Ci fermiamo a Pandeli, sulla costa orientale di Leros, una bella ansa ben protetta dal meltemi sormontata da alcuni mulini a vento e da un castello che, mi impegno subito con me stessa, faremo a meno di andare a visitare. 
In questa mia convinzione, dettata lo confesso da pura pigrizia, mi è complice P'acá y p'allá ancorata in rada a cui non va proprio per niente di essere lasciata da sola visto il vento che sferza la baia e i fondali che discendono abbastanza rapidamente a 40 metri. La lasciamo solo per un’oretta per fare un giretto sul borgo a mare, andare a vedere barche di pescatori, ristoranti con i tavolini in riva all’acqua e salire qualche metro per guardare la baia un po’ dall’alto. Ma restiamo a portata di vigilanza, si intende, e al tramonto torniamo a bordo. Poco prima di scendere a terra col tender, abbiamo seguito le manovre di una barca a vela venuta ad ancorarsi dietro di noi; per restare a giusta distanza di sicurezza, ha dato ancora su un fondo un po’ più alto, circa 6 metri noi, 15 metri lei, dando il nostro stesso calumo, ovvero 30 metri di catena. Un po’ poco, visto il fondale su cui stava. 
Come di consueto, procediamo alla vivisezione della barca e del suo equipaggio (un po’ come credo facciano in spiaggia quelli sotto gli ombrelloni): non un charter, una barca vecchiotta, classica ma non bella, neanche bruttissima però, insomma una barca da chi ama il mare, magari non la velocità ma da uno che in barca ci sa stare; a bordo “3 vecchietti” dice Giovanni, a me sembra che abbiano solo pochi anni più di lui ma evito di farglielo notare, un uomo e due donne. Scendono a terra anche loro e io subito penso che sia un po’ un’imprudenza, non hanno neanche controllato con la maschera la tenuta dell’ancora. Quando torniamo in barca, loro sono ancora a terra, avranno deciso di cenare a Pandeli.  Dopo cena, ci ritiriamo in sala cinema (la cabina di poppa di sinistra) per vedere l’ultima proiezione della rassegna Hitchcock, “La finestra sul Cortile”. A fine film, esco in coperta e scopro che la barca dei vecchietti si è allontanata parecchio. 
Niente luci di navigazione, niente luce in testa d’albero, palesemente nessuno a bordo. Sono le 23.00 e questi rincoglioniti (in questi casi vecchietti o non vecchietti il passo a rincoglioniti è breve) non sono ancora rientrati. Ci metto un po’ a convincere Giovanni che la loro ancora sta arando, probabilmente non acchiappa più il fondale. A questo punto parte una disquisizione sul da farsi: io sono dell’idea di andare con il tender, salire sulla loro barca e mollargli a mano catena in modo da arrestarne la deriva. Giovanni, più ligio alle regole marinare, dice che non si sale a bordo della barca di un altro senza permesso, a meno che non vi sia un pericolo imminente.
La velocità a cui la barca si allontana e gli scogli che incombono dietro la sua silhouette sono quel che io definirei senza ombra di dubbio un “pericolo imminente”, ma lui sa calcolare meglio i tempi che ci vogliono per entrare in azione. Inoltre, sostiene, inutile andare lì con il tender, da sopra non possiamo fare nulla, non ci saranno le chiavi e mai e poi mai interverrebbe su una barca altrui. Per ora, sembra che il peso della catena e dell’ancora ormai appesa la facciano scarrocciare molto lentamente, se si alza il vento e quell’idiota del capitano non è ancora tornato, dovremo levare la nostra ancora, la raggiungeremo, fisseremo una cima e la traineremo più a riva fino a che l’ancora agguanti di nuovo il fondo. Nel frattempo vigiliamo.
In rada accanto a noi da un catamarano suona la tromba e partono dei richiami a voce alla barca alla deriva. Ecco, il nostro vicino se ne è accorto e si limita a cercare di attirare l’attenzione di chi è a bordo, ma a bordo non c’è nessuno, quindi per quanto si sia fatto quel che in marina si deve fare, non è servito a nulla. Dal catamarano si spengono le luci, il comandante con la coscienza a posto sarà andato a letto. Noi non ci muoviamo dal pozzetto, pronti a entrare in azione. Nel frattempo, in perfetta coerenza con il film appena visto, novelli James Stewart e Grace Kelly, sbirciamo con il binocolo la barca nell’oscurità e facciamo supposizioni sull’equipaggio. (Peccato non ci sia una signora Thorwald da andare a dissotterrare...) Una incuria di questo tipo è caratteristica dei charter non degli armatori, in più sembra una barca curata, seguita, amata. 
I vecchietti, poi, chi saranno? Sono combattuta tra il detestarli e il compatirli per il momento in cui arriveranno e si renderanno conto del rischio che hanno corso. Ma che diavolo gli viene in mente di lasciare la barca così ancorata per 6 ore? Quanto mai dovranno mangiare? Non saranno mica andati a piedi al paese di Agia Marina? Tutte domande che ci tengono compagnia mentre aspettiamo come genitori ansiosi il ritorno dello scellerato equipaggio.  Per fortuna la notte è bella, l’aria fresca ma secca, il cielo stellato, il castello illuminato, non è quindi un’attesa faticosa. Poi, finalmente, eccoli: rientrano a notte fonda con il loro tenderino e….. incredibile, non sembrano neanche notare che la loro barca è scarrocciata di almeno 300 metri, che l’ancora, se anche ha riagguantato terra, è su un fondale più profondo, che stanno sballottati in mezzo alle correnti. Niente, salgono a bordo, accendono la luce in testa d’albero e vanno sottocoperta a dormire. 
Giovanni si mette a ridere, ben felice di non essere intervenuto. Io vorrei semplicemente lanciargli i razzi addosso. La mattina dopo, però, notiamo che si sono riavvicinati durante la notte e hanno riancorato vicino a noi: evidentemente l’ancora ha mollato di nuovo e per fortuna questa volta se ne sono accorti.
Leviamo l’ancora e dirigiamo a nord per fermarci nel tranquillo ancoraggio di Arcangelos, isoletta che con Leros forma un grande lago azzurro. Delle tante baie solo una è praticabile, le altre sono costellate da fish farm. In giornata arrivano altre barche a vela ma il posto resta incantato. A terra, una famiglia greca fa base su un motoscafetto che pare stanzialmente ancorato e aspetta che cali il sole e il caldo per riprendere i lavori della costruzione di quella che sembra una futura taverna. 5 persone, cinque secchi, raccolgono le pietre sulla montagna e costruiscono muretti a secco.  In effetti una taverna a Arcangelos ci starà proprio bene.

4 commenti:

  1. Questa mania di guardare le barche altrui per lustrarsi gli occhi con la propria.
    Sembrate delle mamme al parco.

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  2. e... ti dirò, la nostra barca è anche decisamente più intelligente! :)

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  3. ottima notizia... c'era già una taverna ad arcanghelos ma poi l'hanno chiusa

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