martedì 24 maggio 2011

Maratea o Rio de Janeiro?

Di una cosa sono certa: siamo arrivati ieri al porto di Maratea, gioiellino ben curato della Basilicata. Ma stamattina, forse, ci siamo svegliati a Rio de Janeiro. In cima alla montagna infatti, c’è un Cristo Redentore che abbraccia il mondo. Un po’ inquietante, visto che, per come siamo ormeggiati, il Cristo incombe su di me mentre faccio la doccia nel nostro fantastico bagno di prua. Non c’è più dubbio, il mondo si sta capovolgendo: la sinistra trionfa al nord mentre al sud piove, piove come di solito usa fare nelle pianure lombarde. Pazienza, ci fermeremo a Maratea anche stanotte, dove un posto in porto costa 35 euro, oggi però a Maratea soprana ci andiamo in autobus che ieri i 6 km di cammino in salita si sono fatti sentire.

Nei giorni scorsi, siamo passati veloci da Procida con sosta in porto e miracoloso acquisto di una ventola del motore prontamente sostituita da Giovanni, poi Capri, Nerano, Castellabate dove hanno girato Benvenuti al sud, solo che lì c’era il sole e per noi invece sembrava Gallarate sul mare. È una discesa lenta, ma poetica, viaggiante. Il mare ti circonda quasi sempre e il suono più familiare è già diventato (soprattutto da quando la vecchia ventola del motore ha guadagnato il cassonetto di Procida) il rumore del mare che scorre sullo scafo. Ancorati a Sud di Marina di Castellabate, abbiamo sperimentato il cinema pomeridiano con la proiezione di Duplicity, nulla di che. Però, la location era perfetta, abbiamo allestito per il cinema la cabina di poppa a sinistra, nulla da invidiare alle migliori sale. Siamo partiti da una settimana e gli unici contatti con il mondo di prima sono le telefonate con papà che lamenta una nostra lentezza nel viaggio, quasi pensasse che prima ci allontaniamo prima torniamo. No, no, torneremo con la stagione delle piogge… non questa, la prossima. E poi Facebook, utilissima sintesi di ciò che accade in patria e, ogni tanto, ovvero oggi per la prima volta, una copia di Repubblica, che tanto passano i giorni ma non cambia niente, sempre del delitto di Avetrana si parla. Dai messaggi che ricevo dagli amici, una parola trionfa su tutte: “invidia”. Adesso, anche se penso che a fine anno sarò io a invidiare l’Italia che lavora per ragioni meramente pratiche, capisco che questa nostra scelta sia nei sogni comuni di tutti, credo anche che, se fossimo un Paese civile, il downshifting dovrebbe essere obbligatorio per legge e finanziato dalle società imprenditoriali. Già da anni, nutro forti sospetti sui “work-aholic people”, soprattutto perché la maggior parte degli adepti ha una sorta di orgoglioso atteggiamento nel dichiararsi parte della categoria. “Nel mio futuro vedo lavoro, lavoro e solo lavoro”, “lavoro 16 ore al giorno, 7 giorni alla settimana”, o addirittura “non ho smesso di lavorare neanche col pancione, ho staccato solo per andare a partorire e dopo due giorni ero di nuovo in ufficio”, ecco dichiarazioni sentimental-maniacali di cui uomini, ma soprattutto tante donne di oggi, vanno fieri di poter declamare. Sono arrivata alla convinzione che considerare il lavoro il fine ultimo della propria vita, sia accettabile, forse anche encomiabile, fino a 30 anni, dopo diventa banalmente solo un non voler accettare di invecchiare e di non essere indispensabile. Certo, facile pensarla così, non avendo dei figli da introdurre nel mondo e accompagnare fino all’indipendenza economica, può darsi. Il punto è che, sempre secondo me, chi lavora troppo, spesso lavora male e crea malessere del lavoro per gli altri. Quante persone conosciamo, che talmente immerse nel proprio lavoro, non vivono, non guardano, non ascoltano, non pensano. Il grave è che invitando i più giovani a lavorare nello stesso modo, li spingono a non guardare, non ascoltare, non pensare. La maggior parte delle persone che ho conosciuto nel mondo della pubblicità si vanta di non guardare la televisione, il ché è assolutamente paradossale ed è dimostrato quotidianamente dal miglior pubblicitario che opera sul mercato italiano da oltre un ventennio: Silvio Berlusconi, come politico è un disastro ma come pubblicitario vorrei tanto averlo avuto come maestro anche perché probabilmente mi sarei accorta prima dei pericoli sociali di quel mestiere.

Ma, bando alle divagazioni, anche perché qui, tanto per non dare un’idea sbagliata, si lavora eccome. Il tema di oggi è di natura idraulica: come disincrostare lo scarico del bagno di poppa, più che altro, serve trovare lo strumento giusto e per questo dovremo raggiungere la stazione di Maratea, quindi serve un autobus che ti ci porti e fuori stagione l’autobus qui passa quando e se lo riitiene opportuno. Poi c’è da scegliere cosa preparare per pranzo, oggi sarei per un riso basmati condito con foglie di una strana mistura tailandese acquistata da Castroni, ma è un azzardo, Giovanni auspica formaggi e affettati, meno esotico ma più sicuro. Nulla vieta di percorrere entrambe le strade. Non sappiamo come torneremo da questa avventura, se più saggi o più inconsapevoli, se più liberi o più annoiati, se più sani o più alienati di prima, dopo pochi giorni però sento di poter dire con certezza che non torneremo più magri di quando siamo partiti.

6 commenti:

  1. Ti leggo mentre dalla sala riunioni accanto arrivano le voci dei personaggi che descrivi. e' una colonna sonora perfetta, ci sono proprio tutti, donne comprese.
    presuntuosamente mi escludo? sì, almeno di questo sono certa anche se non ti nascondo che ti leggo mentre mangio una lasagna riscaldata in un box di plastica perchè...perchè ho troppo lavoro! Hi hi!

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  2. sì, ti escludo anche io, sicuramente. Sei solo temporaneamente lì, ma sai tenere la mente (e il cuore) altrove. Un bacio

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  3. no, mi dssocio: io non vi invidio, semmai vi ammiro. Perché la bellezza che riuscite ad assaporare (estetica, spirituale, filosofica) ve la conquistate ogni minuto con la fatica che precede l'apparizione: Colombo, Vespucci e De Gama devono aver vissuto emozioni simili alle vostre. Solo che loro, forse, non potevano comprare Repubblica o gustare la lentezza di un supermercato di paese. Poco importa se hanno scoperto nuovi mondi: a voi è dato continuare a scoprire voi stessi, tra onde marine che vi allontanano dalla terraferma e onde elettromagnetiche che alla terra vi tengono uniti. E vi scoprirete a tal punto che neppure la più nascosta ruga delle vostre pelli potrà sfuggire alla coloritura irradiata dai molti soli del vostro andare.
    Voi soli, sotto i soli.
    O animi nobili, o corpi mobili.
    Quasi quasi vi invidio...
    Roberto, ritirato dal lavoro che non ha ancora fatto il primo bagno da ritirato dal lavoro

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  4. il mio amico Rob, il grande poeta.... Non è accettabile però che tu ancora non abbia fatto il bagno considerato che sei a pochi metri dal mare!!!

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  5. Anche io mi dissocio. Non posso provare invidia per la vostra scelta che, con tutta la volontà di questo mondo, non avrei potuto portare alla luce. Il mio "mal di mare" è tale che probabilmente anche lo spostamento iniziale ad Ansedonia mi avrebbe fatto deistere ancora prima di partire! Quello su cui provo un sentimento differente, che classificherei con "inconsapevole pazzia", è il coraggio della scelta che, come tu stessa evidenzi, potrebbe portare delle conseguenze imprevedibili sulla futura esperienza di produttrice di ricchezza. In più sarei sicuro che la banca che mi ha erogato il mutuo non ne sarebbe proprio contenta, anche se con questo non escludo il colpo di scena finale.

    Ma conoscendoti sono sicuro che questa pausa si traformerà in valore aggiunto, quello che hai sempre portato con te.

    Leggendo queste tue frustrazioni e l'analisi, spietata ma assolutamente condivisibile della situazione lavorative soprattutto delle donne, non posso che ripensare a 9-10 anni fa, quando a stento ci concedevi una mezza giornata di ferie (e ancora più a stento te ne concedevi una per te). All'epoca mi chiedevo "ma che senso ha" una frase stupida ma racchiudeva un dissenso profondo. Dopo 1 anno di lavoro era passato e lavorare 12 ore era diventata la normalità, quasi non pesava. Se non sulle amizie che ho bruciato in modo irrecuperabile e che rimpiango, con il senso di frustrazione di chi sa che non si può tornare indietro.

    Oggi, leggendoti, faccio fatica a riconoscerti. Ma, se me lo consenti, mi piaci di più. Piacere di conoscerti, Francesca.

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  6. Andrea caro, quanto hai ragione! E proprio pensando a te e a qualcun altro che devo aver scritto quel "...lavorare tanto è encomiabile fino ai 30 anni", quasi una sorta di excusatio non petita. Chi mi ha conosciuta in questi ultimi anni mi ha sentito raccontare più volte di quei poveretti che avevano avuto la sfortuna di incontrarmi prima dei 40 anni visto che gioiosamente pronosticavo loro ogni sera una bel paio di ore di straordinari o quando proprio eravamo molto fortunati un bel week end dietro a una presentazione. Ricordo come fosse ieri un giorno che tu entrasti nella mia stanza, chiaramente come capofila degli altri due, dicendomi con determinazione ma anche con un vero e umano rispetto "domenica è proprio necessario lavorare, non basta sabato? ci sarebbe la partita..." Ci rimasi malissimo, ma come, pensai, preferiscono andare alla partita piuttosto che fare questa fantastica, meravigliosa presentazione???? Ma allo stesso tempo mi si accese una lampadina e fu un bene che si accese. Non rimpiango quell'epoca, lavorare con quella gioia e quella passione quasi maniacale ha un suo senso, è inebriante, basta che non duri troppo se no ti fa perdere il senso delle cose e il contatto con la realtà. E appunto poi lavori male e fai vivere male il lavoro agli altri. Ed è una cosa da giovani, lì è bello perché quasi sempre è puro, non è per ambizione, è per divertimento. O più probabilmente per l'ingenuità con cui pensi di poter cambiare il mondo e in qualche modo ti senti in dovere di farlo. Grazie al cielo, nel mio caso anche alle ferrovie, poi, magari un po' in ritardo, si cresce. Un abbraccio, se non ricordo male quella partita la Roma la vinse!

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