mercoledì 15 giugno 2011

Paxos. Caspita, è già estate!


Da due cose capisco che è già estate: la prima è che mi incazzo con l’idiota che si ancora troppo vicino nel golfo di Lakka e la seconda è che la nostra barca mi sembra più lunga.  La prima delle due cose è spiegabile con il fatto che per gli inglesi, francesi, tedeschi, belgi, norvegesi, etc l’estate non è necessariamente agosto, come per gli italiani. Paxos ci appare quindi discretamente affollata, ma solo nel porticciolo di Lakka, una enorme piscina di acqua turchese protetta da tutti i venti e antistante un villaggio di pescatori oggi per lo più convertiti alle attività turistiche. La seconda invece è che col sole a picco il teak diventa bollente e camminare da poppa a prua verso mezzogiorno è un’impresa un po’ da carboni ardenti. Ma si può fare, sempre meglio che lavorare (meglio che lo scriva altrimenti parenti e amici che magari mentre scrivo sono in riunioni noiosissime potrebbero mandarci maledizioni che per mare suonano preoccupanti.) Paxos è bellissima, che altro dire, la costa occidentale orlata da rocce che terminano in grotte sul mare grandi come bifamiliari e inframmezzata da piccole spiagge di ciottoli bianchissimi. 
Se devo sceglierne una, scelgo la Baia di Erimitis con la franata di roccia bianca alle spalle e  la macchia verde scuro tutto intorno. Ma ce ne sono tante e ovunque è acqua turchese. Tolto all’ormeggio serale a Lakka dove siamo una ventina di barche, nelle cale  non c’è assolutamente nessuno. La temperatura dell’acqua è tra i 19 e i 20 gradi, l’entrata è un po’ meditata forse, ma quando sei in acqua non usciresti più. Intanto dall’Italia giungono notizie confortanti: sono lieta di sapere che, pur senza la nostra doverosa partecipazione, il referendum ha ampiamente raggiunto il quorum, altrettanto felice di assistere, anche se da vicino doveva essere una esperienza ben più entusiasmante,  ad una inesorabile debàcle dell’attuale governo. Quel che però mi preoccupa, è la minaccia di Berlusconi, pronunciata mesi fa, di prendere il mare non appena gli italiani non lo avessero più voluto al governo. Ecco… per cortesia, tenetevelo, ancora per un po’. In fondo mese più, mese meno, che differenza c’è. Forza Silvio, resta almeno fino a fine anno. Scherzo, scherzo… vada pure, tanto la barca ce l’ha ai Caraibi.  
Mentre scrivo, siamo ormeggiati a Porto Gaios, il paese principale dell’isola. Il canale che conduce al porticciolo è stretto e di fondali abbastanza bassi, diciamo più che altro che la nostra barca magari non è quasi mai la più grande dei porti ma quasi sempre è quella che ha la deriva più lunga. 
Francesca - Paxos 1973
Prima di ormeggiarci dobbiamo quindi sondare con attenzione il fondo, ci aiutano a perfezionare l’ormeggio il vicino di destra, un greco, e quello di sinistra, un francese. La nostra barca è nettamente più bella delle loro (tié). Ero già stata a Gaios poco meno di 40 anni fa, con mamma, papà, due fratelli, una carovana di amici e un gommone arancione Callegari con un Evinrude 20 cavalli. Non ricordo molto, a parte – e quello ben vividamente – un incontro con uno squalo che i parenti presenti all’episodio continuano a considerare una mia fantasia e che invece, secondo me è ancora qui ad aspettarmi. Non ricordo granché perché ero davvero piccina, ma il paese non mi sembra molto cambiato, solo che il canale tra il moletto e l’isola di fronte era nella mia memoria molto ma molto più ampio. È assurdo pensare che tu cresci ma le cose intorno a te no, quindi inevitabilmente ti ritrovi a rivederle molto più piccole rispetto a quello che ti aspetti. Non oso pensare alla “ciabatta” di Nino (una sorta di pizzella di pasta cresciuta) che prendevo allo stabilimento dei Due Pini e all’epoca per riuscire a mangiarla dovevo tenerne la base all’altezza dell’ombelico. Oggi sarei sicuramente delusa dalle sue dimensioni.
Da questo pensiero, ne nasce un altro: se uno fosse alto 20 cm, gli basterebbe una barca di un metro, due metri per star comodi, un’opportunità davvero unica, tutto sarebbe estremamente più semplice e più confortevole, oltre che più economico. Espongo questo pensiero a Giovanni che saggiamente mi fa notare che una barca di due metri con mare formato, diciamo un’onda di 3 metri, non è un granché. Ecco le cose non crescono con te e non si riducono nemmeno insieme a te.
Ciò che continuerà a sembrarmi sproporzionato e che durante l’infanzia mi avrebbe sicuramente molto preoccupata è la dimensione delle insalate greche, ormai abbiamo imparato a chiederne una sola porzione da dividere in due, ma ti sembra sempre di affogare in un mare di feta, cetrioli, peperoni e pomodori con le olive come boe a cui aggrapparti. Quella della Taverna Vasilis, un po’ dietro al porticciolo, più nascosta con i tavolini che occupano un quadrivio di strade, è ottima. Dite quel che vi pare, ma in Grecia, secondo me, si mangia un gran bene.

1 commento:

  1. Andrew ed io ricordiamo con molta nostalgia le porzioi dei ristoranti di Athene

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