sabato 3 settembre 2011

Ritorno in Turchia – Yes, please


Diciamoci la verità, non avessimo dovuto farlo per forza non lo avremmo fatto.
Tornare in Turchia, intendo. Da Kos, avremmo navigato un po’ con Gioia e Aldo fino a Leros e poi su lungo il Dodecaneso per aspettare la fine del meltemi a Fourni o a Samos. Ma ci tocca. In teoria, avremmo dovuto lasciare ufficialmente la Turchia quando lasciata Marmaris ci siamo diretti verso Simi, questo in termini burocratici voleva dire fare il check out e consegnare il transit log, una sorta di documento di bordo che devi presentare alle autorità turche. Poi però, se avessimo voluto tornare in Turchia avremmo dovuto rifare la pratica di ingresso che voleva dire altre 100 e passa euro e tempo da perdere. 
Quindi, visto che noi di programmi ne facciamo pochi e ne rispettiamo ancora meno, siamo stati in Grecia clandestinamente limitandoci ad ammainare la bandiera turca e issare quella ellenica. A questo punto la pendenza turca è un problema di cui tener conto. O lo facciamo ora o dobbiamo essere sicuri di farlo a Kusadasi, ma questo ci impone di arrivare a Samos e noi non ne siamo così sicuri. Voi direte, e chissene importa, si potrebbe anche evitare questo check out, tanto ormai i turchi quando ti prendono? Pare sia da evitare, pare che i Turchi arrivino ovunque, chissà forse il detto “Mamma li turchi” nacque da un navigatore che aveva dimenticato di riconsegnare il transit log. 
Ma sì, qui vicino c’è Bodrum, l’antica Alicarnasso, e vale la pena darle un’occhiata. Con un bel venticello al traverso navighiamo veloci verso il Golfo di Bodrum che scopriamo essere più bello di quanto immaginavamo. Proviamo inutilmente a trovare posto nel marina per un paio di giorni, nel frattempo gironzoliamo nelle cale interne del Golfo, insieme, di nuovo a una miriade di barche a vela e di caicchi. L’acqua è più limpida che a Fetiye, il golfo è rafficato dal vento ma ha delle belle anse protette, soprattutto a Kargicic Buku e a ridosso di Orak Adasi, un’isoletta dalle acque cristalline e relativamente tranquilla.
Dopo un paio di tentativi falliti di trovare posto al marina, decidiamo di abbandonare l’idea di visitare Bodrum e dirigerci su Turgutreis, un porto d’entrata poche miglia più a NE che Giorgio e Silvia, gli zii del mio amico Giorgio da anni navigatori di questi mari, mi avevano caldamente consigliato.  E avevano ragione. Turgutreis è un marina moderno e  tranquillo, proprio di fronte all’isola di Kos, dove le pratiche burocratiche sono semplificate dal fatto che tutti gli uffici di competenza sono nello stesso fabbricato. Risparmiamo quindi decidendo di non avvalerci di una Ship Agency e di fare da soli questo semplice iter. 
Anche questa è un’esperienza: i turhi sono una popolazione molto diversa dai greci, meno simpatici, meno disponibili, di poche parole che dicono per lo più abbaiando. Riusciamo a districarci velocemente tra i vari funzionari passando prima dall’Harbour Master, poi dalla Polizia, poi dalla Dogana e per finire di nuovo dall’Harbour Master che è quello che praticamente ci dà la benedizione e l’addio finale. Nella vita ci sono domande a cui non troverai mai una risposta, una di queste per me resterà sempre irrisolta: come mai il funzionario di polizia si spazzola i denti con un pettine per capelli, non sono io che sono strana, impossibile non chiederselo quando lo vedi uscire dal bagno con un tubetto di dentifricio e il pettine. Ma tant’è, tra un timbro e un bofonchio del funzionario di turno, riusciamo a cavarcela in pochi minuti.
Resta tutto il tempo di visitare Turgutreis, una simpatica località di villeggiatura circondata da milioni di tonnellate di cemento organizzato in villaggi turistici spropositati che ricoprono interamente i fianchi delle colline. In altre parole, uno scempio. Però il sabato mattina c’è un bellissimo mercato ortofrutticolo, pieno di colori, sapori, odori. Acquistiamo mandorle fresche, fichi, more e origano. Tutto intorno a noi, risuona il costante appello dei turchi ai turisti: “Yes, pliiiiiiiiiis” che è un po’ come il romano “Diga, dotto’” di quando cercano di venderti qualcosa. 
Lo “yes, pliiiiis” con la i trascinata in avanti ti accomagna lungo la tua passeggiata, venga da un negoziante di spezie, da un commesso di bancarella, da un ristoratore. Diventa una cantilena melodica molto piacevole. A Turgutreis, il muezzin è ridotto a uno spot pubblicitario, la preghiera in filodiffusione non dura più di 30 secondi e ha una frequenza decisamente incostante. Noi non capiamo il turco, forse è davvero solo un messaggio pubblicitario, chissà.
Visto che le pratiche burocratiche sono risolte, decidiamo di andare a visitare Bodrum, che dista solo 20 chilometri, da turisti di terra, ovvero con l’autobus locale. Trovare la stazione dei bus non è stato facilissimo ma una volta arrivati, scopriamo il meraviglioso mondo del trasporto locale, centinaia di piccoli bus con cartelli indicanti i diversi paesi della Turchia (più probabilmente della zona, la Caria). Partono ogni 10 minuti e sono formichine che corrono efficienti sulla strada. Il biglietto si fa a bordo dove un cartello riporta tutte le tariffe per le varie fermate. Penso a un Turco (ma anche a un americano, un francese, un moscovita o che so io) che arriva a Roma e cerca di orientarsi con i nostri autobus numerati e le indicazioni su dove comprare i biglietti.
Bodrum, ne vale la pena, sì, almeno per vedere il castello, un bell’esempio di cura di un monumento e della sua fruibilità da parte del visitatore. Un doppio percorso, quello breve e quello lungo, piccole esposizioni alternate a passeggiate esterne con vista sul porto, insomma un posto bello, piacevole, anche quando fa un caldo torrido. Abbiamo perso un qualche giorno a venire in Turchia, ma non sono stati giorni buttati, ora però, perfettamente e legittimamente autorizzati dalle autorità turche, siamo felici di riprendere la navigazione e di tornare nelle nostre elleniche acque. Unico rimpianto: metter via la bandiera turca, decisamente la più bella del mondo!

5 commenti:

  1. Io amo la Turchia anche se non la conosco se non per 45 ore trascorse a Insatanbul per lavoro. Me ne sono innamorata leggendo Jason Goodwin, i suoi gialli risolti da un fascinoso lala della fine dell'impero. Quando puoi sfogliali e perdeti nelle sue descrizioni del mercato.

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  2. ma... scusa... non si usa più la parola "porto", oppure è che oggi fa moooolto trendy usare il termine "marina"?...

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  3. ottima dritta coco', non conoscevo. Ho già guardato ma versioni EPUB dei suoi gialli non ne ho trovate (sono ormai una E-Book Reader dipendente). Aspetterò di tornare in patria per prendere i cartacei

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  4. Anonimo, domanda da montanaro la tua ;).
    La differenza c'è eccome, sia in patria che ovunque ed è quella tra pubblico e privato. Qui in Grecia il porto, pubblico, non costa o costa una cifra simbolica per l'uso di acqua e servizi però ti devi ormeggiare con la tua ancora il che rende l'ormeggio precario e da tenere d'occhio. Nei marina, che sono privati, invece paghi (1/4 o 1/5 di quanto paghi in Italia, comunque) ma l'ormeggio è più sicuro, su corpi morti (che non sono gente ammazzata, ma cime ben fissate al fondale).
    Nei porti resti sempre nei pressi della barca o ti allontani per poco tempo e solo se sei sicuro del vento e dei movimenti dei tuoi vicini di ormeggio, nei marina invece puoi lasciare la barca andare a svernare da qualche altra parte e tornarci l'anno successivo.

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  5. Illuminante spiegazione. "Ormeggio su corpi morti" sarà il mio nuovo mantra, pensa allo stupore che potrebbe destare tanta marinara perizia da parte mia.

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