mercoledì 6 luglio 2011

Elafonissi, il tonno e la notte insonne


Lasciare Porto Kajio e la sua tranquillità così lontana dal rumore delle estati è alquanto difficile. Per Giovanni l’elaborazione del lutto è più lieve complice la tanto attesa cattura con successivo scotennamento del primo tonno che sarà “taken and eaten” e non “taken and released”: il raffio acquistato a Kalamata, una sorta di uncino con manico lungo, si rivela un preziosissimo alleato, il povero tonno che, quando ha visto la nostra poppa ha pensato “ah nessun problema, questi sono quelli che non ce la fanno a tirarmi su” (le voci corrono per mare più che nei corridoi degli uffici…), è stato colpito a tradimento da una raffiata che lo ha tirato sulla plancetta di poppa. 
Subito dopo una coltellata in testa da Giovanni, cui i pirati di Porto Kajio devono aver ispirato una nuova spietatezza, per dirla delicatamente, ha messo fine alle sue sofferenze. Fin qui mi sono comportata da brava assistente, ho messo in folle la barca, recuperato e passato raffio e coltello, fatto indossare guanti al pescatore, applaudito l’impresa nonostante una malcelata solidarietà con il povero animale che non sappiamo nemmeno se lascia orfani o se avesse un’assicurazione sulla vita. Dal momento del trapasso però, mi rifiuto di assistere al vilipendio di cadavere e mi ritiro a prua della barca, pensando ad altro. Ritrovo il tonno ridotto a due filetti di un paio di chili l’uno posizionati igienicamente in un contenitore da frigo. Amen.
Le barche che passano di qua, pochissime, si dividono: alcune doppiano Capo Malea, ancor più cattivo di Capo Matapan, per risalire il Peloponneso sul lato est o andare alle Cicladi, altre, tra cui noi, oggi unici esemplari, prendono la rotta del Sud scegliendo di dirigere verso Kythera e Creta. Punto di incontro per entrambe è lo stop a Elafonissi, isoletta separata dal Peloponneso da uno stretto canale con poco fondale. 
Elafonissi, il cui nome significa “isola dei cervi” ma sembra non se ne sia mai visto uno, il ché non è poi così strano vista la latitudine, ha un grande golfo a sud diviso in due spiagge contrapposte con un istmo tra loro. È questa una delle altre immagini simbolo della Grecia, quella che campeggia sulle pagine pubblicitarie e sui depliant turistici. Per chi naviga, Ormos Sarakiniko è, più che altro, un rifugio sicuro dai venti dominanti. Due spiagge di sabbia chiara e un mare turchese, bello sicuramente, certo un po’ esagerata la somiglianza con le isole polinesiane descritta in “Magico Egeo”. 
A me piace molto questo scenario, mi ricorda Erbaju in Corsica. Solo che, una volta calato il vento dopo il tramonto, resta una bella e altrettanto scomoda onda da ovest che terrà svegli noi e il nostro unico compagno di nottata, una barca più piccola con bandiera tedesca. Mai avere in barca stive mezze vuote o armadi non stipati alla perfezione. Nelle notti in cui si rolla, sentirai grandi trambusti che ti sembrano crolli nelle attrezzature e che sono invece solo bottiglie d’acqua che rotolano o pentole che si spostano, o bottigliette di shampoo che ballano il valzer con i bagnoschiuma dentro gli armadietti. Ti alzi per puntellare il tutto e quando torni a letto, ecco che le tazzine da caffè decidono di mettersi a chiacchierare tra loro. 
E sono notti che non vedi l’ora che finiscano.

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