Nella nostra traversata da Kythira a Creta, il vento è stato incredibilmente clemente. Tra i 15 e i 20 nodi da Nord Est, ci ha permesso di fare un bel lasco a tutta vela. Nel tragitto, passiamo a Antikithira, ve lo avevo detto che gli “Anti” in Grecia hanno sempre un loro perché, no? Antikithira è bella e dannata, il lato Ovest appare crudelmente inospitale con chi arriva dal mare: fondali profondissimi che non scendono sotto i 50 metri neanche sotto costa, a metà dell’isola un piccolissimo porto naturale tra gli scogli, valido solo per i gommoni e per le barchette in legno dei locali. Non c’è nessuno, d’altra parte non si vede una barca a perdita d’occhio. Riusciamo ad averla vinta a sud dell’isola e subito prima del faro, troviamo un fazzoletto di fondale a 10 metri su sabbia dove riusciamo ad ancorarci per un paio d’ore. Fondali stupendi, acqua limpida, l’alta roccia protegge dal vento, pure troppo. Ma il bello deve ancora venire.
Poco prima del tramonto, raggiungiamo l’isola di Gramvousa e Balos Ormos a lei antistante, ovvero l’estremità a nord ovest dell’isola di Creta. È indiscutibilmente il più bel posto che io abbia visto da mare. Un piccolo tarlo mi rode pensando che probabilmente è anche il più bel posto che vedrò mai da mare. Nulla regge il paragone, non la Sardegna e la Corsica, non le Eolie, non le Pontine, ma neanche Seichelle e Maldive. Forse in Sud Africa o in Mar Rosso si potrà trovare qualcosa che equivalga Gramvousa, chissà.
La prima notte, ci ancoriamo nella cala rivolta a Sud dell’isoletta, proprio accanto al relitto arrugginito di un mercantile che trasportava sacchi di Cemento. Giovanni si fa una nuotata al suo interno, io evito perché ho sempre in mente quella scena de “Lo Squalo” in cui dal relitto appare di colpo la testa senza un occhio della vittima dell’animale. Mi basta vedere un relitto che sento la musica “dan – dan – dan – dan- dan – dan”.
Nei suoi pressi, sott’acqua in 3 metri di fondale, tonnellate di cocci di anfore. Ecco, un piccolo inciso sull’acqua: siamo a un passo dall’Africa, siamo più bassi di Tunisi e Gramvousa ci accoglie con una temperatura dell’acqua che nel corso della giornata oscilla tra i 15 e i 19°. Sembra di fare il bagno nel ghiaccio lasciato sciogliere nel bicchiere, anestetizzante ma bello come solo i bagni veramente freddi possono esserlo, che esci dall’acqua e ti sembra di essere dimagrito di 5 chili.
Lo scenario è lunare, di fronte a noi una vera e propria dolomite che al tramonto si tinge di rosa, sotto di noi acque turchesi e su Gramvousa un antico forte e una anomala distesa fittissima di agavi. In rada con noi un gommone che fa campeggio nautico e l’Hanse del navigatore solitario tedesco che avevamo già incontrato a Elafonissi. A terra, un pescatore, che abita un piccolo rudere dietro la spiaggia ,chiama ininterrottamente il suo cane nero. Il giorno dopo ci spostiamo nell’anti-Gramvousa, ovvero Balos ormos, un dedalo di sabbia inframmezzata ad acqua sormontata dalla dolomite rosa. Nonostante arrivino 2 barconi con un po’ di turisti ed altri ne scendano via terra facendo a piedi 2 km e prima 18 di strada sterrata, non cambia nulla, il luogo resta misticamente stupendo. Qui la natura vince su tutto, nulla sembra poter intaccare questo scenario di incredibile suggestione. Il silenzio è assordante, mai ossimoro fu più indicato, qui senti il rumore del silenzio, chi ci crede forse sente anche la voce di dio.
Scendiamo a terra con il tender e ci mettiamo a camminare tra istmi, laghetti salati interni, canali, e spiagge inframezzate da scogli etti. Risaliamo un po’ la montagna rocciosa. Come sarebbe vivere a Gramvousa? Primitivo, mistico, ascetico. Da mezza costa sulla montagna riesco a contare almeno 15 colori di mare diverso, anche senza occhiali da sole sembra tutto polarizzato, saturo, è un trionfo di colori.
Qualche gruppetto fa campeggio libero dietro le dune, sono silenziosi, non giocano a racchettoni, non strillano a Giggetto di uscire che ha le labbra viola, non sembrano neanche brutti, non portano colori sgargianti. È Gramvousa che rende elegante il tutto o sono le persone più belle che scelgono di venire fin qui? Non lo so, cerco di approfondire mentre Giovanni va su e giù per la montagna a far foto, parlando con una famiglia di italiani. Lei, lui, una figlia di 14 anni, quella di 22 l’hanno lasciata a Ravenna perché ha iniziato uno stage. Lei avrà la mia età, forse un paio d’anni di meno. “Voi siete quelli della barca?” chiedono, d’altra parte siamo l’unica barca, dopo che stamattina il tedesco, salutandoci con un gesto che identifichiamo con un “ci rivediamo più a sud”, è andato via. Lui è un velista, ha un piccolo 21 piedi a Ravenna e come ci accade sempre più spesso, ci ascolta con gli occhi pieni di sogni e a un certo punto dice “Presto lo faremo anche noi, un bel sabbatico in barca in giro per il mediterraneo…” Come sempre, lei che si dichiara un po’ paurosa, frena e indicando la figlia dice “magari prima facciamo grande lei”. Che bella frase “facciamo grande lei”, di solito le mamme dicono “quando lei sarà grande” o “aspettiamo che abbia finito le scuole”, trovo che invece il “facciamo grande lei” sia stupendo, sa di progetto, sa di vittoria.
Sappiamo che dobbiamo continuare, sappiamo che non siamo ancora neanche a metà del viaggio che abbiamo pensato, ma facciamo davvero fatica a lasciarci Gramvousa alle spalle. Cerco di prendere tempo dicendo che tra due giorni è luna piena e che impaginata qui a Gramvousa sarebbe perfetta ma Giovanni non cade nel tranello, impietosamente tira su l’ancora e si va.
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