domenica 3 luglio 2011

Kalamata. Il bucato e il solleticante incontro con i dr. Fish


Kalamata, in fondo al Golfo di Messinia, è famosa per le olive omonime che ci fanno ripetere in continuazione “Come so’ ste olive? So greche” da buona ossessiva citazione da film di Verdone anni 80. Kalamata andrebbe saltata, per chi come noi, ha l’ambizioso programma di girare le isole greche e di arrivare a Creta il prima possibile (anche se il termine prima possibile sta, giorno dopo giorno, assumendo un significato molto diverso dall’ASAP lavorativo, per quanto non troppo dissimile dal concetto di “prima possibile” applicato nel mondo ferroviario). Eh sì, dovremmo tagliare il golfo di Messinia e di Lakonika, sfiorando le dita del Peloponneso dove i venti soffiano forti e spingono giù velocemente verso Kythira. 
Ma noi abbiamo appuntamento con la ventola del motore e Kalamata è l’ultimo porto dove abbiamo possibilità di trovarla. Facciamo 15 chilometri a piedi per cercarla, spingendoci fino ad una consolare con autotreni che impazzano a chiederci che diavolo stiamo facendo lì. Alla fine ripartiremo con ben 3 ventole del motore, l’attuale riparata che sappiamo non durerà, una nuova troppo grande per il nostro tubo, che Giovanni si ostina a chiamare “tube” in improbabili dissertazioni con i Kalamatesi perplessi, e una Atwood 3000, finalmente quella giusta, di cui Panaiotis, shipchandler locale, è visibilmente felice di liberarsi. Me lo vedo che torna a casa dalla moglie e le dice “Katerina, non ci crederai mai… oggi ho venduto l’Atwood 3000, erano 10 anni che stava sullo scaffale!!!”. 


Solo alla partenza da Kalamata, poche miglia fuori dal porto avremo l’illuminazione che forse il problema della ventola, può dipendere dalle batterie nuove molto efficienti, forse ci vuole una resistenza per assorbire un po’ di energia prima che arrivi alla ventola. E mo’ dove la troviamo una resistenza? Vabbé ci penseremo poi, tanto il vento c’è e il motore sta acceso poco e per ora l’Atwood funziona benissimo. Che fare a Kalamata oltre a cercare una ventola per il motore? E oltre a sedersi a tavola a pranzo e a cena nelle taverne sul porto? Con la consapevolezza che il Marina di Kalamata è forse l’ultimo porto degno di questo nome sulla nostra rotta prima della Turchia, decidiamo di dedicarci a quella che per i lungo-naviganti è una delle attività più ambite: il bucato! Sul bucato i diportisti si emozionano e stringono amicizia. Scambiamo due parole in inglese con una signora, che poi scopriremo essere italiana, sulla qualità dell’asciugatrice, la signora mi chiede se funziona bene e io le rispondo con un “oh, it’s wonderful” tendendole un asciugamano caldo e asciutto, lei è talmente felice che quasi si commuove, manca poco che ci abbracciamo.  
 Il marina ha una laundry a gettone, e che gettone… € 4.50 a lavatrice e 3.50 per l’asciugatrice. Ne facciamo 2 per un totale di 16 euro assolutamente ben spesi. Fare il bucato e stare in un marina innesta come reazione a catena quella di pulire a fondo la barca, Giovanni si dedica alla coperta e io all’interno. Dopo questa esperienza, sono favorevole all’introduzione di una norma di legge che preveda la depilazione totale obbligatoria e definitiva per tutti gli esseri umani. Forse se a casa mi fossi mai dedicata alle pulizie, avrei vissuto questa giornata in maniera meno traumatica. Rivolgo un muto ringraziamento alla mamma e a Joy per tutti i miei capelli che hanno raccolto dagli angoli negli ultimi 40 anni. Comunque ora la barca splende come non mai, ci sentiamo come se fossimo appena partiti. Però, la ricerca della ventola, la lavatrice, le pulizie…. Aho? Mica si può sempre lavorare qui? Che altro fare a Kalamata, ci chiediamo seduti a un bar e sfruttando la rete wi-fi? Ci viene in aiuto Trip Advisor, citando come unica recensione la Velvet Feet Fish Experience, si tratta di un particolare trattamento di riflessologia plantare che prevede un pediluvio in un acquario pieno di piccoli pesciolini privi di denti che si buttano sui tuoi piedi per mangiarsi le cellule morte e rilasciarti una bavetta con il potere emoliente e pare persino curativo. Irrinunciabile. 
Ci regaliamo questa esperienza e una mezz'ora di risate dovute un po’ alla situazione specifica,  ma soprattutto al solletico che una cinquantina di Garra Rufa, questo il nome dei pesciolini, provocano alle nostre estremità. Il Garra Rufa è originario delle acque di un lago turco e il suo particolare pregio fu scoperto grazie ad un bambino, con problemi di pelle, che guarì giocando nelle acque del lago. La cosa mi incuriosisce e approfondisco, esiste anche la possibilità di aprire in franchising un centro Velvet Fish, o se lo si vuole fare in autonomia, a Frascati vendono il kit di avvio attività, composto da 100 Garra Rufa e l’attrezzatura per allestire il primo pediluvio. Quasi quasi ci faccio un pensierino…. Credo che il Velvet Feet Fish Experience sia un prodotto vendibile nella città dello stress, e poi... male che va, si fa una fritturina.

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