Dopo aver percorso la costa orientale di Kythira, raggiungiamo il porto di Kapsali sulla costa Sud, ben riparata dal vento dominante. Ci arriviamo davanti sospinti da un bel grecale forte, (la versione est del meltemi) a tutta vela e con velocità ragguardevoli. Visto che è pomeriggio presto, decidiamo di proseguire per buttare un occhio sul versante ovest che sappiamo essere povero di ridossi e di ancoraggi ma oggi dovrebbe avere un mare calmissimo.
Il vento aumenta notevolmente, aiutato dalla conformazione della costa e le raffiche diventano rabbiose. Facciamo a tempo ad ammainare le vele e proseguiamo con motore al minimo. Ne fa le spese però il nostro mitico tender, al guinzaglio sulla poppa che viene scaraventato da una raffica in aria e da lì contro il fuoribordo che è fissato a poppa della barca. Il poverino, dopo questa centrifuga si abbatte in acqua, e con uno sbuffo inizia ad afflosciarsi. “È solo un piccolo taglio”, cerchiamo di consolarlo, issandolo a bordo e promettendogli una riparazione curata non appena arrivati in porto. Ma lui sembra rimproverarci per la nostra distrazione e tutti i torti non ce li ha….
Giriamo velocemente la prua verso Kapsali e arriviamo al porto trovando un molo interamente vuoto fatta eccezione per un Oceanis 400 ormeggiato all’inglese. Sul molo un ufficio doganale chiuso e una grande scritta WELLCOME – KALOS AGATHE sembra dirci “noi qui si lavora poco, cavatevela da soli e non rompete i coglioni”. Con una certa maestria, Giovanni accosta e io salto a terra con una cima da passare nella bitta, poi di nuovo a bordo per fissarla a prua, poi corro a poppa a prendere la seconda cima, passarla nella bitta e ridarla a Giovanni. Entrambi nel frattempo corriamo lungo il bordo per controllare i parabordi. Finito di ormeggiare, arriva l’omino del porto in motorino - “Dov’eri benedetto figliolo quando c’era bisogno di una mano?” – il quale ci invita in ufficio a regolare il nostro ingresso. Anche qui, dobbiamo notare che i locali prendono a cuore ogni tuo problema e cercano in tutti i modi di risolverlo. Anche qui sembrano agitarsi e darsi molto da fare per te, il che è come sempre commovente. Il tipo in questione cerca per noi l’autobotte per il rifornimento e ci procura il servizio entro mezz’ora. L’iter per accreditarci in porto è lo stesso di sempre, foglio da compilare con i nostri dati, nessuno chiede di controllare i documenti di identità, quello che vogliono sempre sapere è “last port” and “next port”.
Sul last nessun problema, la memoria regge abbastanza anche se ogni volta dobbiamo pensarci, un po’ come quando il ginecologo chiede la data dell’ultima mestruazione, non so voi, ma io mai che mi sia ricordata di scriverla, così ogni volta sto lì due ore a cercare di ricostruire insieme al medico per poi dedurre insieme una data da scrivere sulla cartella che difficilmente è quella giusta. Sul “next port” ora abbiamo imparato che bisogna barare, il nostro sincero “we actually don’t know” getta nello sconforto le autorità portuali, quasi come gli stessimo dicendo che non sappiamo quanti giorni ci restano da vivere. Entrano nel panico e insistono nel domandartelo, per loro è impossibile che tu non abbia le idee chiare e un programma altrettanto preciso riguardo il tuo futuro. Ora abbiamo imparato e diciamo un porto ragionevolmente vicino e una data (vogliono sapere anche quella) ragionevolmente prossima. Poi, non importa se ci vai realmente, né quando ci vai, per mare si sa ogni imprevisto è credibile. La preoccupazione del nostro amico portuale è che appena cali il vento tutte le barche si riormeggino di poppa gettando l’ancora, sembra abbia ordini di lasciare sempre liberi 10 metri finali di molo e passa la giornata a correre dal suo ufficio sul retro del paese al molo per riorganizzare le barche in modo da tenersi quei 10 metri.
Ora, il ragionamento è giustissimo, viste le normali condizioni di burrasca, avere una parte di banchina destinata alla sola emergenza è corretto e sano. Quel che mi chiedo è se non sarebbe più semplice segnalare direttamente quei 10 metri di molo con una bella scritta “Emergency only”, così il povero portuale si risparmia queste corse ansiose e ansiogene al pontile. Facciamo amicizia con i nostri vicini di molo, due ateniesi cui Giovanni regala un filetto di tonno con grande soddisfazione loro e anche mia.
In serata vediamo arrivare una barchetta a vela (27 piedi) con padre, madre e figlio a bordo dall’aria abbastanza provata: si sono trovati sul lato ovest dell’isola poco dopo di noi con raffiche a 35 nodi e hanno strappato il fiocco e rotto il paterazzo, in più con il solo motore non riuscivano ad andare avanti.
Lui, farmacista di Pylos che ha studiato a Bologna e parla benissimo italiano, ci confessa di essere stato sul punto di chiamare i soccorsi. Altro amico sul molo, il marinaio di un motoscafo Ferretti, che ci illustra tutti i porti e i rifugi della costa meridionale di Creta. Non ha l’aria del marinaio da motoscafi e infatti ci racconta che per 30 anni ha lavorato sulle barche a vela, facendo lo skipper per i charter, lavorava da febbraio a novembre senza sosta, sulla rotta Atene Rodi e ritorno e a inizio stagione portando le barche nuove da Marsiglia. Ora che è più anziano, si diverte meno ma esce in mare non più di 30 giorni l’anno e per il resto del tempo lavora dal lunedì al venerdì in porto per la manutenzione della barca. Mentre parla con noi, gli leggiamo negli occhi la nostalgia del mare, quello vero.
Durante la notte arriva il trimarano XXTreme, tipo quello con cui Giovanni Soldini fece il giro del mondo. A bordo 2 ragazzi russi, sono partiti in 4 ma due si sono infortunati, uno in Spagna e uno in Italia e adesso viaggiano in equipaggio iper-ridotto aspettando che almeno uno dei due riesca a raggiungerli. Il capitano ha l’aria un po’ abbattuta e spersa e soprattutto sembra molto stanco, una barca così è davvero difficile da portare, sempre in tensione, 20 nodi di crociera, a motore non puoi far nulla e non naviga con vento di bolina.
Non li invidio proprio… Per di più sono parecchio ingombranti saranno circa 20 metri di lunghezza per altrettanti di larghezza e il portuale gli dice che possono fermarsi solo qualche ora poi dovranno andar via.
La mattina presto, rientrano i pescatori che si dividono il molo con noi barche in transito e iniziano a pulire le loro reti. All’inizio sembrano rudi, rispondono bruscamente al saluto ma se ti fermi più di 24 ore arrivano a sorriderti.
Kapsali è un piccolo gioiello incastonato nel sud dell’isola. 2 km di strada più su c’è il castello con una delle Choras più belle della Grecia, costruita a somiglianza di quelle cicladiche più che di quelle ioniche di cui pur senza grande coerenza di vicinanza, Kythira fa parte. Nella grande piazza in alto, ibiscus e bouganville regalano ombra.
Lungo la spiaggia giù a Kapsali, si susseguono bar e taverne, molti con l’internet free access. È un porto non porto, un luogo comune a barche e bagnanti di acqua limpida e pulita. La regina della baia è una tartaruga Caretta Caretta, che staziona qui, adottata dai pescatori cui si avvicina nella fase di pulizia delle reti. Ci viene incontro mentre nuotiamo e ci si mette a fianco, voltando ogni tanto la testa a guardarci. Giovanni agguanta il carapace con l’idea di farsi dare un passaggio ma lei se lo scrolla di dosso e riguadagna il suo metro di distanza, quasi a dirgli “ragazzì, stai al tuo posto che qui ognuno cammina con le sue gambe eh?”.
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