domenica 30 settembre 2012

Peloponneso on the way back. Si torna sul continente.


A questo punto del nostro peregrinare, il Peloponneso Occidentale è praticamente casa. Siamo al 3° passaggio su questa via continentale che nulla ha da invidiare al percorso insulare. Ci manca, invece, il Peloponneso Orientale, visitato 20 anni fa da terra ma mai da mare, mai con P’acá y p’allá. Sarà per il prossimo viaggio, quando nello scendere a favor di Meltemi non ci faremo incantare dalle sirene delle Cicladi ma andremo giù lungo la costa diretti a Capo Maleas. Ma ci sarà mai una volta in cui le sirene dell'est smetteranno di esercitare il loro fascino? Non credo, vedremo. Per ora, restiamo al nostro viaggio che viverne più d'uno contemporaneamente non è per niente sano. 
Quando conosci bene un percorso, le tappe di sosta le hai già in mente: sono i luoghi che, per un motivo o per un altro, ti hanno toccato di più, quelli in cui ti senti a tuo agio, i posti dove ti sembra di tornare dagli amici, dove sai già qual è il fornaio col tuo pane preferito.
Quei porti di cui hai il numero del rifornimento carburante memorizzato sul telefono, quei moli a cui ti dirigi con sicurezza, senza bisogno di testare il fondale avvicinandoti di prua,  perché già sai che è sufficiente per il tuo pescaggio. Quelle rade in cui vai direttamente verso la chiazza di sabbia più abbondante, senza indugiare in perlustrazioni preliminari. I neofiti ti guardano e pensano che sei del luogo. Eppure, ogni volta riscoprire quei luoghi è una nuova scoperta. La luce è diversa, c’è più o meno gente, è cambiata l’insegna della taverna, e per quanto cerchi di ricordare dove esattamente eri ancorato/ormeggiato non ci riesci mai con precisione. Perché a questo punto, dopo un centinaio di isole greche e quasi 10.000 miglia di mare sotto la chiglia, i ricordi si sovrappongono, si mescolano, si confondono in una miscela che a ricrearla in laboratorio potresti diventare ricco. Per fortuna non si può. Per fortuna ci sono cose che non possono essere digitalizzate, esperienze che non possono essere virtuali, conoscenze che si fanno con la pelle oltre che con gli occhi e il cuore.
Il nostro Peloponneso di ritorno è veloce ma intenso. La prima tappa a Porto Kayo, splendido porto naturale, ex covo dei pirati dove aspettiamo alla fonda il nostro amico Roberto che è più lento di noi a partire e anche a navigare…sebbene più comodo. Passiamo una bella serata insieme a bordo di P’acá y p’allá in una cornice che definire incantata è dire poco. 
Ci dividiamo una buona bottiglia di bianco e una pastasciutta che sa di Italia anche se gli ingredienti sono rigorosamente greci. E parliamo di isole, in un dialogo che può essere infinito. Le giornate si accorciano e ceniamo che è già buio mentre, tutto intorno a noi, le costruzioni sulla montagna, essenziali, ben nascoste e così rigorosamente rispettose della storia piratesca del luogo, si accendono di piccole luci.
Abbiamo già fatto, prima del tramonto, la passeggiata lungo il viottolo fino alla chiesa a guardare il mare di fuori, i disegni che il vento lascia sull’acqua blu e profonda, i colori vivi della terra che ricordano l’Irlanda. E a rilevare la posizione di Roberto per stimare il momento di buttare la pasta. 
Quel che resta addosso di Porto Kayo è il silenzio quasi spettrale, favorito dalla conformazione della terra alta e rocciosa che si incunea in un fiordo naturale. 
Un silenzio che acquista un’enfasi speciale per i naviganti che passano Capo Matapan, perennemente rafficato, esperienza sferzante di vento che tu vi giunga da nord o da sud. Ammaini le vele, entri nella baia e le raffiche diventano silenziose, presenti ma in sottofondo, sempre protagoniste ma più rispettosamente distanti, quasi si fosse in un flashback.
Perdiamo Roberto sulla via per Methoni, il nostro gioco d’anticipo ci è favorevole per superare un vento contrario improvviso a 10 miglia dal traguardo. Il nostro amico invece ripara a Koroni che noi vedremo da terra invogliati a non perderlo dai suoi racconti entusiasti e dagli inviti di Ada.
Methoni e il suo castello veneziano con torre ottomana offrono uno scenario grandioso e solenne, intatto nell’essere in rovina, in perenne conflitto di razze e di stili.  Ti colpisce la sua imponenza, la bellezza del ponte d’accesso ad archi, il mix di rovine con la terra che avanza, i fiori viola e gialli che crescono tra le pietre, selvaggi e prepotenti.  La torre ottagonale si erge direttamente sull’acqua ed è quasi perfettamente integra. 
Sembra guardare il vicino castello con una certa poco gradevole superiorità, mi sembra di sentirla parlare: “Guarda come ti porti male gli anni, come ti lasci sopraffare dal tempo, dalla natura, dalle condizioni meteo. Mentre io qui, in perenne cura di talassoterapia, ho un posto in prima fila. Rappresento il traguardo per chi viene in visita, mentre tu sei solo un passaggio”. Ecco, io scelgo il castello. Sarà perché è veneziano, o forse perché regala momenti di incommensurabile silenzio. Sarà la sua capacità di convivenza pacifica con la natura o il suo quieto, perenne, saggio saper coordinare le nuvole nel cielo con una coreografia da teatro dell’Opera.
Non è necessario schierarsi, Castello e Torre si integrano alla perfezione, l’uno completa l’altro. Non avrei parteggiato per l’uno, se solo l’altra non si fosse fatta sorprendere in un momento di antipatica supponenza. Ma è stato solo un momento e probabilmente solo per me. Tanto basta, però.
A Pylos torniamo per tanti motivi. C’è il nostro amico farmacista da ritrovare, ci sono Marty e Linda sul loro Pleiades in rotta per le Baleari dopo un anno e mezzo di Egeo, c’è la voglia di prendere una macchina per andare un po’ in giro.
Individuiamo subito il Pleiades, ormeggiato alla darsena, ci avviciniamo e salutiamo Marty e Linda ripromettendoci di bere qualcosa insieme in giornata. Purtroppo non ci riusciremo e la mattina dopo li vedremo veleggiare nel golfo di Navarino diretti verso le Ionie. In effetti era strano il loro stare alla darsena - spesso afflitta da una risacca fastidiosa - evidentemente erano lì, ai blocchi di partenza, in procinto di partire. Noi invece raggiungiamo il porto e guadagnamo il nostro solito posto all’inglese sotto il faro d’ingresso. 
Ad aiutarci all’ormeggio, un simpatico greco di mezza età, poco pratico con le cime ma disponibile e attento. Si propone di esserci di aiuto in tutto: non c’è allaccio elettrico ma se vogliamo ci fa spostare dall’altra parte del porto dove, con una lunga prolunga, l’elettricità arriva (forse da casa sua). Non c’è acqua ma se vogliamo può farla arrivare con l’autobotte così come il rifornimento carburante. Può darci un passaggio in motorino all’autorità portuale e, se ci serve la spesa, può andare a farla lui. A noi, però, non serve nulla. Gli diamo una piccola mancia per l’aiuto ed è felicemente sorpreso. Questo innesca in lui la voglia di essere utile e continua, così, a partorire proposte d’aiuto in ogni direzione possibile. Con grande dignità, offre una disponibilità di valore ben superiore alle mance conquistate. Quest’uomo affronta la crisi in modo intelligente, senza lamentarsi inutilmente di qualcosa che la lagnanza non può cambiare. 
Il Porto di Pylos è un rifugio confortevole e amico. Non ci sono i soldi per completare le colonnine dei servizi e da anni ci sono solo scheletri di cavi elettrici posati inutilmente. Ma alcuni corpi morti ti permettono di tenere distante la barca dal molo e con ogni vento ti senti tranquillo. All’Autorità portuale sono, come sempre, gentili e disponibili. Non ti chiedono soldi per il passaggio e ti offrono cordialità e simpatia. Quando vedono dal Dekpa che siamo ormai degli habitué, ci dicono in greco qualcosa che equivale al nostro 100-di-questi-giorni, augurandosi il nostro ritorno.
Roberto ci raggiunge al porto di Pilos e andiamo a cena insieme nella plateia, da Gregoris, uno dei migliori ristoranti di tutta la nostra Grecia. Facciamo una cena a base di orektikà (antipasti), prendendo tanti piatti diversi da dividere tra noi. Una di quelle cose che in 3 riesce meglio che in 2 e, come dice Roberto, assai meglio che da soli. A tavola arriva una brocca di Rosé del Peloponneso e il nostro amico farmacista che ce la offre. Lo troviamo più teso dell’anno scorso, preoccupato dalla situazione del Paese che è ormai più che grave, visto che le nuove leggi varate oggi ridisegnano i diritti ai farmaci salvavita per malati cronici e alle terapie antidolore. 
E si capisce che il nuovo disegno non è a favore di un benessere e di una serenità per chi ha conti in sospeso con la salute, quasi che il dolore da alleviare fosse qualcosa di superfluo. È a Pylos, come sempre, che registriamo per la prima volta la misura della crisi. Qui sembra più tangibile, più reale. Atene sembra incredibilmente vicina, della Merkel si sente quasi la voce e il suo orribile accento.
Salutiamo Roberto che prende la via più interna e va verso Katakolon per fare una gita ad Olimpia. Conoscendo la sua interpretazione di “partenza all’alba”, ci riproponiamo di aiutarlo a mollare gli ormeggi ma stavolta ci sorprende e alle 7 è davvero già partito. Le nostre strade si dividono, noi scegliamo di tornar per isole toccando Zante e poi Cefalonia.
Prima della partenza, come ci eravamo ripromessi, prendiamo una macchina a noleggio e facciamo un po’ di Peloponneso da terra. L’impresa, come ricordavamo da un viaggio in macchina di 20 anni fa, non è affatto facile: le strade si inerpicano su tornanti e sono lunghe e lente.
Pylos – Koroni è uno dei pochi tratti che richiede più tempo su strada che su mare. Ne vale la pena. Koroni è un borgo molto piacevole con un castello che ospita un convento, alcune abitazioni e un cimitero. È un altro luogo magico del Peloponneso anche se meno imponente e suggestivo di Methoni. Più a misura d’uomo, diciamo, e di varia dolce umanità. Bordo mare, ristoranti e bar orlano un piccolo approdo per pescatori ed una rada sicura. Segnamo Koroni sul libro delle tappe possibili in Peloponneso.
Subito a nord del Golfo di Navarino, c’è la splendida spiaggia di Voidokilia, una particolare baia a forma di Omega greco, orlata di alte dune di sabbia che svelano in alto il Paleokastro (vecchio castello). È domenica quando ci andiamo - in auto perché la particolare conformazione della baia rende assai difficile l’ancoraggio in rada – e sulla spiaggia i pochi turisti del fuori stagione si confondono con gli abitanti di Pylos che vengono qui a godersi un mare spettacolare nel giorno di festa. La quantità di sabbia, per noi abituati alle rade di ciottoli ben più frequenti in Grecia, è impressionante. Dorata, fine, abbondantissima. Risalire le dune è faticoso ma il panorama conforta della fatica. Dietro la spiaggia, la laguna di Gialova che è il paradiso del birdwatching. 
Sabbia d’oro, spiaggia semicircolare, dune di sabbia, castello avito, baia a forma di Omega gigante: tutto questo ha fatto diventare Voidokilia “una delle spiagge più belle del mondo” secondo il Times. Nella nostra personale classifica del bello, Voidokilia deve cedere il posto a molti altri luoghi, ma quel che possiamo dirvi è che “una delle spiagge più belle del mondo” non è stata intaccata e distorta dalla sua fama. Ha resistito all’urto del successo, memore della solennità di un luogo che è stato storicamente fondamentale nell’acquisita indipendenza greca dalla Turchia.
Il Peloponneso, ancora una volta, ci rapisce il cuore. Sarà dura in futuro scegliere altre vie di passaggio. Tornando in macchina verso Pylos, all’altezza di Methoni, le isolette di Shkiza e Sapientza ci guardano con rimprovero. Questa volta non siamo passati da lì, dovremo tornare.
Fosse stato per noi,  potevano risparmiarsi il canale di Corinto. A volte, ci si perde volentieri  tra le dita della terra che sfiorano il mare.

venerdì 28 settembre 2012

Kythira. Nell'isola dell'amore, troviamo un nuovo compagno di viaggio.


No, non si tratta di un sostituto di Delfi, né di un altro esemplare marino  in pvc o carne e ossa, da ospitare a bordo.
Qui parliamo di un vero e proprio compagno di viaggio, qualcuno che con la sua barca “Denecia” arriva un pomeriggio di vento leggero nel porto di Kapsali. Il nostro consueto aiuto all’ormeggio (plurale maiestatis, visto che io ero sottocoperta intenta a scrivere) acquisisce valore rispetto al solito: il capitano del Moody 44, appena giunto, è un navigatore solitario. Indossa bandiera inglese, noi francese. Giovanni e Roberto passano qualche minuto a conversare in un inglese improvvisato finché non arriva il momento felice del “ma sei italiano?!”... Scendo anche io a salutare il nuovo arrivato e Roberto subito ci chiede “che fate stasera?” “Niente”, rispondo. E lui “Bene, facciamo niente insieme?”. Ha qui inizio un gradevole gioco di appuntamenti, di saluti e di re-incontri sulla lunga via del ritorno in patria.
Roberto è il primo che incontriamo, sulla nostra lunga rotta, che fa quello che facciamo noi. La barca lui se la porta dietro. Ogni anno parte da Fiumicino, bighellona per l’Egeo e dintorni e in autunno torna a casa, tra un temporale e l’altro, con gli occhi pieni di malinconia che, mentre vanno via dalla Grecia, pensano già al prossimo ritorno.
Ci si capisce subito, quindi. Ora, qui a Kythira, l’Egeo è già dietro le spalle, davanti agli occhi c’è ancora un lungo tratto di Grecia ma la strada è, inevitabilmente, quella di casa. Confrontiamo le nostre rotte e i nostri inconsapevoli incroci, le nostre esperienze e il nostro diverso vivere questo angolo di mondo. Lui privilegia i porti, noi le rade. L’essere solitario lo porta, più ancora di noi, a cercare il contatto umano, lo scambio, la convivenza. È un solitario ma non ama la solitudine, del suo navigare ama la libertà più che il perdersi nel remoto. 
La barca a vela è la miglior cura per l'antisocialità. Pure noi, anche se siamo in due, abbiamo voglia di incontri per mare, molto più di quanto avvenga a terra. È un effetto positivo dello spazio a disposizione ma non è solo quello. Il resto lo si deve allo spirito ellenico, mai invadente, sempre curioso e disponibile. Quel modo di essere e di porsi nei confronti del viaggiatore che, ve l’ho detto tante volte, fa sentire a casa.
Sì, la barca Roberto, come noi, se la porta dietro. E lui non potrebbe fare altrimenti, visto che in barca da un paio di anni ci vive. Musicista e direttore d’orchestra ha scelto di limitare la sua attività alla docenza in Conservatorio e alla composizione. Per se stesso, più che per affari. Questo, all’atto pratico, vuol dire che passa i 7 mesi invernali con la sua “casa” saldamente ormeggiata in patria e dedica metà dell’anno a un girovagare che fa bene all’anima.
Solitario ma non del tutto. A bordo con lui un violoncello e un pianoforte, questa non l’avevamo ancora mai vista…
Gli invidio le certezze di un ritorno che ha un senso, in confronto al mio che ha la fisionomia dell’ignoto. Vorrei – e forse è grave che non ci sia ancora riuscita – trovare il modo di dare un senso alla mia doppia mezza vita. Sento che il mio è ancora un progetto a metà che rischia di sembrare – e di essere – unicamente un elogio all’indolenza. Diverso è per Giovanni che, free lance da sempre, ha motivi professionali per cui tornare. Io no, nessuno mi aspetta professionalmente parlando, il mio deciso gesto di uscire dal mercato è a questo punto probabilmente riuscito. Ogni volta il rientro ha la fatica della ricerca, aggravata ogni anno di più da una crisi che ha investito tutti i settori e che non accenna a cambiare direzione. Ogni volta, al rientro, mi dico che ci vorrebbe un’idea. Ma è un’idea nascosta da qualche parte che ancora non sono stata in grado di individuare. La colpa, forse, è del fatto che le idee le ho sempre cercate col cuore, mai col cervello. Ma il cuore si allena e prima o poi scoverà quell’idea.
Kithira è l’isola che ha visto nascere Afrodite. Ma questo, se siete stati lettori attenti, ve l’ho già raccontato. Il nostro ritorno in quest’isola bella e diversa, collocata all’incrocio dei tre mari Ionio, Egeo e Mar di Creta, ha come principale motivazione qualcosa di poco sacro e molto profano: la marmellata d’arance di Stavros. Chi ha in mente un lungo viaggio in Grecia, si ricordi di non partire senza mettere in cambusa abbondanti razioni di liquerizia (introvabile qui) e marmellata. Quest’ultima in realtà c’è, nei supermercati delle isole più grandi con un po’ di fortuna riesci a trovare qualche marca italiana o inglese, ma se cercate una marmellata artigianale locale rischiate di rimanere molto delusi. La loro versione di questo prodotto ha una duplice veste che non può soddisfare i gusti degli amanti del genere: o ti piacciono le conserve di frutti in sciroppo di Chios, distribuiti ovunque, o l’unica alternativa che hai è una sorta di purèe di frutta piuttosto insapore e dalla consistenza non edificante. 
A questo punto del girovagare in questi mari, mi sento di dire che la carenza di buona marmellata è una regola in Grecia. Come tutte le regole però, anche qui si presenta l’eccezione. L’orange marmelade di Stavros è una delle dimostrazioni dell’esistenza di dio. Un dio dolce al punto giusto, con retrogusto asprigno, dalla consistenza semiliquida ma compatta, con bucce d’arancia ben definite. Nel negozietto di Stavros, sulla strada che da Kapsali porta alla Chora, trovi una vecchina seduta su una sedia, probabilmente la moglie di Stavros. Non sa una parola in lingua straniera e ti parla a gesti, anzi non ti parla per nulla. D’altra parte il negozio parla da sé. È un mix di libreria, dolcetti fatti in casa e conserve. Con la nostra spesa di circa 60 euro per due zainetti pieni di barattoli di marmellata, miele e olive siamo sicuramente il miglior affare di Stavros di oggi, forse del mese. La vecchina sorride e si vede che non lo fa spesso.
Kythira è un trionfo di timo, la strada principale si inerpica per l’isola e collega i piccoli paesi, sonnolenti e veri, di Livadi, Potamos, Karbounades, Milopotamos. Strade secondarie portano un po’ ovunque e gli scenari che si aprono soprattutto sulla costa ovest sono sempre bellissimi. L’abbiamo già vista in lungo e in largo e quest’anno ci limitiamo a un veloce giro in motorino. Su alla Chora è l’ultimo giorno della mostra fotografica “winter time in Kythira”. Poche belle fotografie dell’isola in periodi in cui il cielo e il mare la fanno da padroni. Accese discussioni, lotte per la supremazia, a volte complici sodalizi a danno degli abitanti e a dominio della terra. Il mare e il cielo invernali regalano a Kythira la selvaggia veste dell’inospitalità e le ricordano il suo ruolo di remoto. 
Immancabile, anche se tra le cose già fatte, è il ritorno al castello. Da lì, il panorama su Kapsali è meraviglioso e, se sai guardare bene con gli occhi del cuore, all’orizzonte scorgi Gramvousa la penisola a Nord Ovest di Creta, un paradiso in terra e mare a poco più di 40 miglia da qui. Basta poco per pensare di deviare la rotta e tornare lì, riprendere il viaggio e la strada dell’est. Ma la ragione della stagione che avanza ha la meglio. Ogni tanto il cuore lascia il posto al buon senso. Raramente ma accade.

domenica 23 settembre 2012

Milos. Conferme, scoperte e la saggezza di Milthos.

Chissà se ci andremo mai alla Chora di Sifnos. Perché quando sei lì, a sud dell’isola, e all’orizzonte scorgi Polyegos, Kimolos e Milos, non è facile girare la punta e andare verso nord. L’istinto, l’estetica, la direzione naturale del bello, tutto ti attira verso sud. Fermi in rada nella chiusissima baia di Vathi dopo un bel tramonto ed una notte rafficata, ci svegliamo con le idee già abbastanza chiare. Venti deboli, mare piatto, ultimi giorni d’estate, quel magico interregno tra la fine del regime estivo e l’irrompere delle perturbazioni autunnali. Poi, a farci rompere ogni indugio, si affaccia fuori servizio il meltemi che quando invecchia a fine stagione diventa più bonario, come un nonno meno severo di quando era padre. 
“Ehi, marinai, io sto andando in meritato congedo ma presto verranno a sostituirmi i miei cugini del sud. E quelli sì che sono cattivi. Vedete un po’ voi che volete fa’…”
Ok. Andiamo a Milos. Approfittiamo della quiete dopo (e prima) la tempesta.
L’arcipelago delle 3 bellezze (Milos, Kimolos e Polyegos) è per noi una semplice riscoperta. Ma devo dirvi che se il nuovo stupisce, il già noto commuove. La limpidezza dell’acqua di Polyegos, il tramonto che esalta il contrasto bianco e rosso delle rocce, Fyriplaka e la sua dolomite bianca, gialla e rossa, le formazioni rocciose modellate dal mare e dal vento di Kleftiko, la sabbia d’oro di Ag. Ioannis sul versante ovest. Sono effetti cromatici cui il tempo non rende giustizia. 
Perché sono toni e colori inconsueti che la memoria tende a banalizzare per riportarli ad una gamma più quotidiana. Ritrovarli, quindi, è rinnovare un sano stupore. Bell’alibi per tornare sui luoghi già visti eh? Ci ho messo un po’ a costruirmelo ma è una tattica eccellente. E funziona anche per comprarsi un nuovo barattolo di Nutella….
Per tacitare l’esploratore che è in noi, approfittando della quiete, andiamo a visitare la perfida Antimilos, di solito inospitale e minacciosa, oggi soldato inerte.
Giovanni ha una missione: Ritrovare i resti di due aeroplani caduti a pochi metri dalla costa e ben visibili da Google Maps. Perfettamente identici ed entrambi miracolosamente integri, giacciono a una decina di metri dalla costa est dell’isola, subito a sud della punta NordEst su un fondale di circa 15 metri. Non trovandoli in una prima nuotata, mi convince a trascinarlo con il tender (tipo esca per squali) su un campo un po’ più ampio. Ma nulla, degli aerei su cui la fantasia ha già inventato storie di natura bellica, non vi è alcuna traccia.
Scoprirò poi che Google Maps non rilevava due relitti ma semplicemente un aeroplanino in volo e la sua ombra sottostante. Un paio di vite sono state salvate in poche ore. Il nostro tender ride fino alle lacrime.
Il bisogno del nuovo (se no che vi raccontavo…) ci regala anche due appuntamenti culturali: il museo dei minatori e le catacombe. Del primo mi colpisce soprattutto il nostalgico filmato con le testimonianze dei vecchi cavatori e delle donne che pulivano le pietre. Si recavano nelle miniere e restavano lì per diverse settimane, lavorando con un caldo africano e respirando polvere. Condizioni durissime eppure dai loro racconti si percepisce la bellezza di quei tempi, le storie d’amore che nascevano nelle cave, i canti delle donne mentre con lo scalpello toglievano la pomice esterna dalle pietre.
Andando alle catacombe, vediamo il giardino dove fu rinvenuta la statua della Venere di Milos, non ci fosse stato scritto, non ci avrei mai pensato. Un pezzo di radura incolta affacciata sul mare. Solo una piccola parte delle catacombe è stata aperta e una signora gentile, che si premura di scusarsi per il suo pessimo inglese e di comunicarti che non è una guida diplomata, ci accompagna alla scoperta. Il suo inglese era ottimo ed era anche una guida eccellente. I greci sono anche modesti.
Sfruttando il motorino a noleggio, andiamo a cena a Plaka la piccola chora affacciata sul golfo di Adamas che, pur non essendo spettacolare come quella di altre Cicladi, ha un suo fascino che la rende imperdibile.
Ma torniamo a mare che siam velisti. Il porto di Milos, Adamàs, ha una bella novità: un nuovo pontile turistico attrezzato con corpi morti che aumenta di almeno 30 posti la possibilità di ormeggio. La catenaria è ottima e pesante, peccato che sia troppo arretrata, i corpi morti sono corti e questi nuovi posti vanno bene solo fino a 33 – 35 piedi, barche più lunghe devono comunque usare l’ancora.
Ritroviamo Milthos, l’anziano ormeggiatore con la sua barba bianca e gli occhi fiammeggianti. Ecco, Caronte me lo immagino con la faccia di Milthos, più o meno. Lo scorso anno lo avevamo visto molto arrabbiato perché alcune barche erano andate via all’alba senza pagare l’ormeggio. A noi che invece lo avevamo avvertito della partenza ci fece un prezzo un po’ alto, forse per compensare le perdite, forse per punire il genere dei naviganti, facendo di tutt’erba un fascio. Quando arriviamo ci riconosce, forse ricorda e secondo me vuole riparare. È tanto presente e gentile che temo che i prezzi siano ancora saliti, invece quando andiamo via la ricevuta è quella standard di 13 euro (inclusa acqua e corrente). 
Abbiamo così la conferma di aver pagato anche per altri l’anno scorso. Ma va bene così.
Ecco, su questo vorrei fare un inciso. In Grecia, la nautica è vissuta come uno strumento turistico, come un bene per il Paese, per l’economia delle piccole isole. Il tuo stazionamento in porto è visto come un’opportunità per darti da mangiare, farti visitare luoghi, farti rifornire la cambusa e i serbatoi. In altre parole un modo per farti spendere i tuoi soldi lì. È loro interesse quindi che tu non abbia fretta di andartene e che abbia facilità nello scendere a terra. Invece quindi di farti pagare per un pezzo d’acqua come se fossi in un albergo a 4 stelle, loro ti mettono a pagamento solo i servizi e a volte un piccolo obolo per l’ormeggio.
Piccolo. Tra i 7 e i 15 euro al giorno che poi al massimo te ne fanno pagare 2 e i giorni successivi non paghi più nulla. Credo che sappiano, loro, che in fondo dormi nel tuo letto, dentro la tua barca, usi il tuo bagno e che nessuno viene a cambiarti le lenzuola la mattina dopo. Istintivamente, o per tradizione,  sanno che non ha niente a che vedere con una stanza d’albergo. Sanno anche che, così, tu ti fermi volentieri, vai a cena fuori, fai la spesa, prendi in affitto un motorino, ti siedi al bar. E i soldi che spendi, contribuiscono in modo democratico al benessere dell’isola e delle sue attività. Ma soprattutto sanno che tornerai. Alla faccia della Merkel.
Nella maggior parte dei casi, poi, l’ormeggio in porto lo paghi solo se decidi di andarlo a pagare. Altrimenti fa nulla. Vai all’autorità portuale con i tuoi documenti, ti fai mettere il timbro sul Dekpa, passi un buon quarto d’ora lì a guardar lavorare il “Limeniko” tra scartoffie e fotocopie e, 5 volte su 10, ti chiedono quel piccolo obolo dietro presentazione di ricevuta. 
Le altre 5 ti dicono che non si paga nulla, sono lì solo per servirti, oppure che si pagherebbe ma visto che stai un giorno solo/visto che è brutto tempo/visto che non c’è l’acqua/visto che non ho il blocchetto delle ricevute/etc non si paga nulla lo stesso. Ecco, non incontriamo quasi mai nessuno all’autorità portuale. Perché noi europei extra grecia siamo talmente abituati a essere controllati e multati se non paghiamo che se non c’è controllo non paghiamo e basta. Quasi fosse un diritto acquisito. Per questo da noi non funzionerebbe mai il distributore dei giornali americani aperto e con il piattino per i soldi. 
Ho forti dubbi che anche in Chiesa i fedeli paghino realmente l’obolo per i ceri… ma in quel caso direi che va bene, la Chiesa non rischia certo le sanzioni dell’Europa che angosciano i sonni della Grecia.
Ammetto di andare all’autorità portuale soprattutto per il fascino che su di me esercita quel luogo di burocrazia old style, dove quasi sempre incontro uomini di mare disponibili e gentili. Ma anche per una sorta di dovere morale e per la voglia che la Grecia resti questo, un Paese che si fida di te. E poi in definitiva ci andiamo perché il prezzo è giusto e quando un prezzo è giusto lo paghi volentieri.
Milthos, nella sua veste 2012 del “voglio farmi perdonare da te” mi offre un caffè al bar e mentre telefona per me alla signora della Laundry, parliamo della situazione attuale. I Greci non parlano mai con te della crisi, solo se glielo chiedi. Senza troppa enfasi e senza alcun piagnisteo, Milthos mi dice che quest’anno l’affluenza delle barche in transito è diminuita di un buon 50%, le attività di charter giornaliero hanno subìto un calo dell’80%, i ristoranti pure se la son vista brutta. 
Ma è sereno Milthos, ne ha viste tante da 40 anni che è qui e da 60 che vive. Secondo lui tutto si risolve. L’Europa finirà perché sarà la Germania ad uscirne. Vivremo tutti un periodo di assestamento un po’ difficile tornando alla nostra moneta ma poi ce la faremo. “Abbiamo tutti bisogno di meno cose di quelle che abbiamo avuto finora, solo che ancora non lo sappiamo. Quando ce ne accorgeremo sarà una gran festa”. La sua pacata saggezza mi fa sentire di essere nel Paese giusto. Ancora una volta.

venerdì 14 settembre 2012

Naoussa. La piccola Montmartre dell'Egeo.


Avevamo detto che ci saremmo ripassati e così abbiamo fatto. A Naxos no, tutto non si può fare, ma Naoussa dalle descrizioni valeva bene una seconda tappa a Paros.
Antico borgo di pescatori, trasformato in piacevole località turistica, Naoussa è davvero pittoresca. Sdraiata sul mare con le sue viuzze in calce bianca, casette bordo mare riconvertite in ristoranti e tavolini colorati che arrivano fino all’acqua. Il marina ha i corpi morti per l’ormeggio, non potrebbe essere altrimenti visto che si tratta di un anfratto particolarmente angusto.
Non posso definirlo un porto ideale perché sotto regime di Meltemi entra una bella risacca che affligge particolarmente il molo a nord, l’unico con fondali adatti alla nostra profonda deriva. Lo annusiamo nella giornata di 20 nodi e P’acá y p’allá scuote l’albero con decisione nel vedere le altre barche che ballonzolano con i parabordi stritolati e le crocette che si sfiorano. Le diamo retta e ce ne andiamo all’àncora nella protettissima baia di Ag. Ioannes a nord del golfo di Naoussa.
Al di là delle condizioni, è comunque un posto dove star ancorati almeno un giorno. A terra, una chiesa, un bar e un cantiere navale, perfetta sinergia di sacro, profano e laborioso. Ma soprattutto, una serie di facili e ben segnati sentieri che attraversano in lungo e in largo la piccola penisola di Dhetis e portano al faro da cui si gode una bellissima vista sull’Egeo a nord e sulla vicina Naxos. Sulla punta estrema, dalla roccia calcarea si protendono propaggini di marmo bianco battute dalle onde del mare in burrasca. 
Nel caso specifico dei naviganti, questo è un ottimo punto di osservazione per misurare lo stato d’animo del Meltemi e fare programmi.
È lì che, nel nostro dialogo ormai quotidiano, il signor vento mi comunica che si prenderà un paio di giorni di ferie per fare un piccolo check up. "Sai com'è, gli anni ormai si fanno sentire, dovrei smettere di fumare... meglio che mi faccia vedere da un medico, di anni di lavoro davanti ne ho ancora parecchi...", dice. Bene, caro, la salute prima di tutto. Soprattutto la nostra. Via libera quindi al porticciolo di Naoussa che da specchio d’acqua turbolento si è trasformato in oasi tranquilla e sicura. 
No, Marina, chiamiamolo Marina, è più giusto. Costa un po’ di più dei consueti punti di ormeggio egei e paghi 20 euro per ogni giorno d’ormeggio non una volta ogni tanto, un po’ più spesso o meno spesso, dipende da quanto sei simpatico. Corrente elettrica e acqua sono inclusi e, come spesso avviene qui in Grecia, c’è l’umana bella sorpresa. L’addetto al marina di Naoussa, uno solo, è di poche parole ma gran lavoratore. Corre all’entrata del porto appena vede entrare una barca e la dirige al posto giusto. Dà una mano per l’ormeggio ed è sempre lì, con il suo bicchiere di caffè frappé in mano. 
Gran lavoratore, disponibile e competente. Se gli chiedi un’informazione non si limita a dartela, ti risolve il problema. Alla parola Petrogas (l’equivalente greco del Camping Gas), inforca la sua bici, viene in barca, preleva la tua bombola vuota e torna 10 minuti dopo con un’altra piena. Non ricarica neanche sul prezzo. Al secondo giorno che sei lì, ti saluta sorridendo un po’ di più, sei diventato di casa. 
Verso sera, un esagerato 55 piedi di lusso accende le luci di bordo: luci sulla poppa, subacquee e, mai visto prima e speriamo neanche in seguito, un serpente a led luminoso per tutta la lunghezza dell’albero. Il mio eroe portuale, strizza l’occhio e commenta sottovoce “It’s Christmas time”. Già lo meritava, ma questo è il momento in cui lo incorono “portuale europeo 2012”.
Naoussa è un bellissimo passeggiare nelle viuzze imbiancate a calce che diventano passaggi ad arco e si stringono in vicoletti larghi 40 cm che sfociano poi sul lungomare, ogni tanto asciutto, ogni tanto bagnato tanto è a filo con l’acqua.
La taverna da Glavkos è il ristorante greco più raffinato in cui siamo mai stati. Un gradino sopra le tradizionali taverne, ha cucina semplice ma curata e gli ingredienti sono di primissima qualità. La sera, Naoussa è un trionfo di lucine e musica greca. Vivace ma non caotica, elegante e accogliente.
Visto che siamo atterrati di nuovo in un’isola grande, prendiamo una macchina per fare un giro. 
La sonnacchiosa cittadina di Lefkes all’interno dell’isola ha una grande cattedrale ombreggiata dai pini e non dagli ulivi come la descrive la Lonely Planet. Mi immagino il redattore davanti al suo capo… “Boh, c’erano degli alberi, una bella ombra”… “sì ma che alberi erano? Bisogna che diventi preciso se vuoi fare sto mestiere! Mica ti mandiamo in giro per ballare il sirtaki e bere ouzo!”…. “Che le devo dire, capo? Erano verdi…c’avevano il tronco, erano tanti e tutti uguali”…. “Vabbé scrivi ulivi, lì i pochi alberi che ci sono son sempre ulivi… ma se arriva una contestazione, ti declasso a correttore di bozze!"
Ma sì, non glielo diciamo al direttore della Lonely Planet, lasciamo che un altro approssimativo continui a scrivere le guide turistiche. E chissà che sulle colline toscane non faccia il miracolo di far crescere delle belle mangrovie.
A Lefkes, il bicchiere è mezzo pieno. Anche l'asterisco messo accanto alla lista dei dolci di una pasticceria ha un significato diverso dal consueto: non è il solito ammonimento che in calce ti avverte che si tratta di cibo surgelato. No qui il rimando dice "fatto dalla mamma". Ed ecco che anche gli asterischi trovano gloria nel capovolgimento di ruolo.
A Piso Livadhi, avrebbe dovuto aver luogo oggi un campionato di kite surf, ma ci sono 6 nodi di vento… 
Ragazzi in tenuta da surfisti bighellonano con aria afflitta e  pinte di birra Mithos nella reception di un resort sul mare. Ecco a chi doveva fare un dispetto il meltemi. Ecco perché ogni tanto si riposa… buono a sapersi: sarà bene programmare soste in baie aperte al vento quando c’è un campionato velico!
Torniamo a rivedere la cittadina di Aliki sul versante Est da terra dopo che due mesi fa l’avevamo utilizzata come sosta da mare. Torno al negozietto di souvenir dove avevo comprato i miei Ray Ban falsi da 10 euro che ho perso in mare due giorni fa ma non trovo lo stesso modello. 
Lo troverò a Paroikia, cittadina principale di Paros e porto d’arrivo dei traghetti. Ci felicitiamo della scelta fatta privilegiando Naoussa, Paroikia è più caotica e meno suggestiva e il porto non offre un gran ridosso.
Non riusciamo purtroppo a visitare Koukounaries, rovine di una acropoli micenea subito fuori Naoussa: il sentiero non è ben segnato ed è particolarmente difficile, è quasi sera quando ci arriviamo e una nube minacciosa inizia a coprire il cielo promettendo rovesci. L’abbaiare deciso di un cane alternato al suo ringhio affamato ci convince ad abbandonare l’idea di proseguire. Sarà un ottimo motivo per tornare a Naoussa.

domenica 9 settembre 2012

Rinia. Cenerentola batte tutti.

Tre sorelle: Mykonos, Delos e Rinia. Tre sorelle a braccetto in mezzo all’Egeo. E non potrebbero essere più diverse. Nell’anima, intendo. Perché, geologicamente parlando, la vicinanza le rende simili nel corpo. Mykonos, Delos e Rinia. La rumorosa, la saggia, la selvaggia. La Disco anni 70, Mozart e Brian Eno. Il gusto Puffo, la crema e la cioccolata all’arancia. Tom Cruise, Gregory Peck e Johnny Depp. Ah già son isole, son femmine: Gina Lollobrigida, Grace Kelly e Jane Birkin. L’educazione fisica, la religione, l’arte. La mousse au chocolàt, il mont blànc, la créme brulée. Berlusconi, Monti e Obama. Piazza di Spagna, Colle Oppio e l’Aventino. Si potrebbe andare avanti per ore, vi risparmio.
Forse non tutti sanno che, nella mitologia greca, vi sono spesso diverse versioni in contrasto tra loro. Questo, d’altra parte, è il bello di essere leggenda: tutto può essere vero senza alcun obbligo di verosomiglianza. Una di queste leggende racconta che la nascita dei gemelli Artemide e Apollo avvenne in differita e su due isole diverse. Ovvero, Leto partorì prima Artemide a Rinia, luogo non sufficientemente al sicuro dai superpoteri della perfida Era. Subito dopo, con l’aiuto della stessa piccola Artemide, traghettò nell’isola vicina. Per inciso… A quanto pare, i neonati di allora, soprattutto se divini, si rendevano da subito utili, altro che quelli di oggi che devi aspettare almeno 18 anni…Madri, pensateci, qualcosa di sbagliato nell’educazione moderna deve pur esserci. 
Voi direte, perché non c’è andata subito nell’isola accanto, invece di fare un cambio campo proprio in corso di travaglio? Semplicemente perché si trattava dell’isola che non c’era: una roccia galleggiante fatta emergere appositamente da una cordata di dei buoni, per offrire riparo alla partoriente. Il papà Zeus, assistette alla nascita di Apollo dall’alto del Monte Kynthos e fu uno dei primi casi al mondo di presenza del padre in sala parto. Come venne alla luce il piccino, Poseidone ancorò al fondo l’isola che da “adelos” (invisibile) divenne “delos” (manifesta).  Da sempre,  come sappiamo, Delos fu terra sacra e doveva essere incontaminata. Che fecero gli antichi? Destinarono la vicina Rinia a discarica di corpi dopo la data di scadenza. Vale a dire: Rinia è il cimitero di Delos. 
Nel nostro piccolo, tutto possiamo dire di Rinia meno che somigli al Verano. Rinia è un paradiso di quiete dalle acque turchesi e dalle coste frastagliate proprio al centro dell’Egeo. Morfologicamente, è l’isola ideale per i naviganti. Sembra opera architettonica di un antico navigatore. Chissà… magari possiamo aggiungere leggenda a leggenda e immaginare un dio velista che creò dal nulla quest’isola perfetta. Rinia è come una piccola Astipalea messa in verticale,  un’isola a forma di farfalla costellata di baie che diventano ridossi eccellenti per ognuno dei venti. Ha due grandi cale a est e a ovest divise da un sottilissimo istmo, un grande golfo a nord e uno più stretto e profondo a sud. Bisognerebbe brevettarla e riprodurla in serie. 
Sarei disposta a pagare un’altra tassa nautica annuale per la creazione di una Rinia italiana tra Stromboli e Ponza. Magari anche 2 tra Giannutri e le Bocche di Bonifacio. Peccato solo che in Italia diventerebbero Parco Marino e sarebbero subito flagellate di stupidi e poco ecologici regolamenti.
Torniamo alla nostra Rinia, la vera, unica e originale.
Dopo il caos appena respirato di Mykonos e il fluire colorato da uscita della metropolitana di Delos, ci aspettavamo che quest’isola, posizionata 3 miglia a ovest della “discoteca dell’Egeo” fosse presa d’assalto da barche a vela, motoscafetti a noleggio giornaliero, megayacht con pista d’elicottero incorporato. Nulla di tutto ciò: a Rinia è il deserto. Non ce lo spieghiamo ma ne siamo enormemente felici. Acqua turchese, trasparente e limpida, spiagge grandi di sabbia dorata, ancoraggi facili e abbondanti ed è praticamente tutta per noi. Stavolta, forse, dobbiamo dire grazie al bastardo. Un benigno Meltemi che, poco dopo il nostro approdo a Rinia, chiude i cancelli, si mette a suonare la grancassa a 35 nodi e per 3 giorni ci regala un’isola tutta per noi e un altro paio di fortunati. E che isola!
Nella cala Abelia a Ovest siamo ancorati al centro di una piscina naturale immensa dove un fondale di 3 metri si estende per mezzo miglio quadrato. Diventa la mia piscina personale per 3 giorni. Forse, dico forse, immolare Delfi al grande dittatore egeo non è stata una cattiva idea. Al quarto giorno di Meltemi, quando il nostro amico comincia a sentire l’affanno da iperventilazione e scende sotto i 30 nodi, ci spostiamo nella cala sud, dove c’è un po’ più di traffico (si fa per dire) e un paio di barche a vela ci raggiungono per un bagno in giornata. Poi, la sera, vanno via: l’astinenza da discomusic funziona meglio di un regolamento da Parco Marino.
A terra, in tutta l’isola, una mezza dozzina di microchiesette, qualche casa di pescatori (o forse di cacciatori perché al tramonto si sente qualche sparo), centinaia di pecore e probabilmente milioni di ossa degli antichi. Certo, in termini economici, Rinia non contribuisce granché alle entrate della Grecia, ma si sa, il bello della famiglia è che ci sono le formiche e le cicale. Mentre le altre due inseguono il successo, la sorella selvaggia riposa sorniona. Cenerentola si è fatta furba.