A questo punto, cari amici, dovreste tutti essere tornati
alle vostre attività tradizionali: uffici e riunioni di progress, città non
ancora affollate ma che promettono di esserlo presto, supermercati per spese gigantesche,
palestre per rinnovo dell'abbonamento annuale e dei buoni propositi, cartolerie per
acquisto materiale scolastico, piccoli e innocui malesseri da sindrome da
rientro. Non vi nascondo che è in questo momento che mi ispirate di più la scrittura.
È assai più stimolante scrivere per chi soffre che per chi si sta divertendo.
Non accusatemi di cinismo, è pura e semplice solidarietà. Il poter
rappresentare per voi quei dieci minuti di distacco dalla stressante
competizione metropolitana, danno un senso al girare per mare in quei mesi in
cui il sole è più basso e l’acqua è più fredda.
Noi quindi, anche per dovere nei vostri confronti,
continuiamo a vagabondare in questo mare. Le isole greche sono tutte diverse,
ognuna ha una sua personalità, un suo carattere. Alcune si somigliano tra loro
anche se sono molto distanti, altre sono differenti come fossero in emisferi
diversi pur distando solo qualche miglio. Ci sono isole che ti abbracciano,
isole che vengono a prenderti per mano quando sei ancora in mezzo al mare e ti
trascinano a riva, isole che tentano di respingerti o che ti accolgono con
diffidenza, che sembrano dirti “lascia perdere, continua a navigare, che ti
fermi a fare?”.
E poi ci sono isole che ti parlano schiettamente, in cui capisci che con te o senza di te
vanno bene avanti lo stesso. Psara è una di queste: indipendente, adulta,
lontana per scelta da tutto il resto. Non è greca, è semplicemente
psariana. Situata a 10 miglia a
Ovest della punta nord di Chios, a Psara devi volerci andare, non è un’isola di
passaggio. E non ci va praticamente nessuno. I pochi che arrivano non sono
visti come turisti, nulla è pensato in ottica turistica. Ecco, credo sia la
meta più bella del nostro viaggio di quest’anno. Persino più di Sirna. E
simbolicamente è il nostro giro di boa. Da qui, inizia la discesa per il
ritorno a casa.
Psara ha una superficie di 44 km2, è piccola ma valorosa, la
sua storia è travagliata e sofferta. Abitata a periodi alterni fin dal 3000 AC,
Psara ha avuto un ruolo importantissimo nella guerra di indipendenza greca. Uno dei più grandi eroi ellenici, l’ammiraglio Konstantine Kanaris,
è nativo di Psara.
Uomo che si è fatto da sé, Konstantine, giovanissimo si imbarcò
per mare (non sulle navi da crociera e non come cantante…) e imparata l’arte
marinara prese la guida della rivoluzione di Psara, che insieme a Hydra e
Spetze fu tra le prime a ribellarsi all’impero ottomano. Si narra che, mentre si
lanciava contro le imbarcazioni turche con le sue navi imbottite di esplosivo,
il nostro eroe si avvertisse puntualmente “Konstantine, stai per morire”. Certo,
non un ottimista ma direi che la cosa gli ha portato fortuna, visto che è morto
poi a 84 anni dopo 6 nomine a Primo Ministro del Paese. Si narra anche che non
si vantasse di essere stato unto dal Signore. Gli Psariani furono talmente
motivati e determinati nella rivolta che i turchi dovettero ricorrere all’aiuto
degli egiziani per sterminare l’intera popolazione dell’isoletta in un vero e
proprio olocausto il 21 giugno 1824.
Andiamo a Psara con rotta Nord Ovest graziati da un giorno
di vento debole uno di quelli in cui il Meltemi va a fare il check up annuale e
(esiste un dio) pure a lui, evidentemente, fanno fare un po’ di sala d’attesa.
Che me lo vedo, là in fila a sbuffare guardando il suo numeretto che non arriva
mai e pensando a quanti marinai stanno navigando nella banalità di un mare
sereno e senza raffiche assassine. So che avrebbe schiumato di rabbia, il bastardo, se mi avesse visto che in navigazione con
tutta la randa alzata ho avuto pure modo di cucire gli strappi sul lazy bag: un
lavoro di un’oretta buona in un mare placido che sembrava il Tirreno di luglio.
Stai a fa’ la fila Meltemi e nun ce scoccià, che ogni tanto puoi pure lasciare
il campo a venti più socievoli, senza che questo significhi abdicare.
Arrivati a
Psara scegliamo per la notte una rada della costa ovest, la bellissima Ftelio. Ma
di sera una bella onda lunga ci preannuncia il ritorno in forze del simpatico bastardo
(manco un piccolo enfisema gli hanno trovato…) e ci convince a levare l’àncora e girare umilmente la punta
sud per guadagnare un più riposante ridosso nelle vicinanze del porto. La luna
piena illumina il nostro breve tragitto quando, doppiata la punto di Ak
Trifylli, veniamo accecati da un faro potentissimo che illumina a giorno un
tratto della rupe a sud del porto. Il primo pensiero va alla Guardia di Finanza
italiana, che nella nostra memoria è l’unica a essere dotata di cotanto spreco
di energia per mare.
Ma non è così, il faro non illumina noi ma la montagna
retrostante. Escludendo la possibilità che Bruce Springsteen stia facendo un
concerto sull’isola, studiamo e scopriamo che questo faro viene acceso ogni
notte in memoria delle donne e dei bambini di Psara che il 21 giugno si
gettarono in mare da questa rupe, cercando la morte pur di sfuggire all’esercito
turco-egiziano. Indipendenti e determinati. Liberi prima che la storia li
definisse tali.
La costa di Psara è ricca di spiagge bellissime, la mia
preferita è Fladhia, sulla costa est, accessibile solo con calma di vento,
ricca di sassi incredibili, concrezioni di rocce diverse assemblate insieme dal
tempo e dal mare, alcuni chili delle quali vengono stivati gioiosamente a
bordo. Bellissima anche Limnos e Limnonaria sulla costa sud. In rada oltre a
noi solo un pescatore che viene a riposarsi per qualche ora prima di ritirare
le sue reti. Psara mi ricorda Gavdos, così distanti tra loro, la prima nel
punto più a nord del nostro peregrinare, la seconda in quello più meridionale.
Entrambe remote, piccole ma indipendenti da tutto.
Ormeggiamo in porto all’inglese, subito dietro a un Fisher
34 del Norfolk con due sorridenti signori a bordo che sembrano essere qui da
tempo e volerci restare. P’acá y p’allá è discretamente grande per questo
piccolo porticciolo e l’arrivo di una barca non è così frequente. Chi passa ti
prende le cime e ti aiuta a ormeggiare ma poi se ne va per i fatti suoi, non
più di tanto curioso di te e di cosa sei venuto a fare. Chi puliva il pesce
continua a farlo, gli anziani seduti nell’angolo in ombra ti salutano come ti
conoscessero, la vita continua senza che tu ne abbia determinato alcun
cambiamento. E meno male.
Quando arriva il traghetto da Chios, ogni giorno al
tramonto per ripartire all’alba, a Psara è una festa, decine di macchine vanno veloci
verso il molo ma nessuna sale a bordo e nessun turista scende a terra. Si va a
prendere le merci, chi qualche cassa d’acqua, chi un tubo di scarico, chi un
pacco di libri, chi materiale di costruzione. Il ferry boat Psara Glory è un esempio
ancora in vita degli improbabili traghetti anni 70: più alto che largo,
abbondantemente arrugginito, sembra più sicuro raggiungere Chios a bordo di
Bomby che là sopra. Quando il mare aumenta e il traghetto non arriva, pazienza,
non cambia nulla, a Psara si sopravvive bene lo stesso.
Mai vista un’isola con
tanti orti, coltivazioni, abbondanti e rigogliose piantagioni di basilico con
cui una signora ha fatto una sorta di giardino all’italiana. Ogni pezzetto di
terra è dedicato a qualcosa che cresce e che si possa mangiare. E noi,
completiamo la spesa per le viuzze in calce bianca, raccogliendo mandorle,
ciuffi di basilico e menta, pere, uva. La signora anziana del forno vuole
imparare l’italiano, mi prende la mano e, toccando le mie dita come si fa con i
bambini, conta per un po’ poi si ferma e chiede come si dice in italiano “Ena,
dio, tria, tessera, pende, eksì. Eksì? Italika?”. Quando arriviamo al
“decatessera=quattordici”, scuote la testa e ride. Sembra dire, parlate strano
voi italiani. Mi accarezza il viso, mi dà le mie tyropite (schiacce al
formaggio) e fa un lungo discorso in greco convinta che io possa capirlo.
Mi
colpisce il fatto che Psara ha probabilmente più cassonetti dell’immondizia che
abitanti, più rilevante forse il numero di chiese, circa 65 per un totale
abitanti che non supera i 400. La più imponenente è la chiesta della
Metamorfosi del Salvatore, attualmente in fase di restauro (l’attualmente in
Grecia attraversa di solito intere ere…). All’estremo nord dell’isola, c’è il
Monastero della vergine Maria, dove sembra che nei giorni limpidi ci sia una
vista che spazia da Skyros al monte Athos.
Anche il monastero ha una storia
ribelle, si è salvato dalla distruzione dell’esercito turco egiziano del 1824
grazie alla temerarietà dei monaci che attaccarono il nemico con le api che
allevavano, convincendolo in questa maniera pungente a desistere dall’intento.
Ora le api a Psara si occupano del più congeniale compito di fare il miele dal
timo di cui l’isola è ricca.
Non ci andiamo al monastero, ufficialmente per non lasciare
P’acá y p’allá sola mentre percorriamo a piedi una strada di 12 km,
sinceramente per non percorrere quei 12 km + 12 km che con il meltemi che ti
schiaffeggia e il sole che brucia possono sembrare molti di più.
In linea con il suo essere una grande piccola isola, Psara
ha la sua Antipsara, isoletta disabitata un paio di miglia a ovest con un paio
di immancabili chiesette e due bellissime spiagge sul lato sud. Ma se hai la
memoria breve e non ti ricordi quanto sia stato veloce arrivarci, pensi di
essere in Irlanda. La terra è rossa, la sabbia d'oro, la roccia scura, l’acqua cangiante tra il
blu e lo smeraldo. Macchia bassa di timo e altra vegetazione spontanea
dall’aroma speziato che ti porti dietro per qualche giorno.
Il cielo è terso
come se fosse appena stato lavato. Il vento disegna cerchi sull’acqua che diventa seta. I falchi della regina volano alti nel cielo e scendono giù in
picchiata. Uno scenario incontaminato, selvaggio, con un silenzio perfetto e
una quiete sovrumana, un luogo dove l’uomo non ha nessun potere. Antipsara è il
paradiso o, se non lo è, il paradiso dovrebbe somigliargli, dovrebbe avere
questa forza, questa rabbia controllata, questa immensa autorevolezza. Anche se
dubito che un Paradiso possa chiamarsi “Anti-Qualcosa”, un po’ troppo
rivoluzionario, mi sa.
Ripenso alla somiglianza di Psara con Gavdos, al loro essere
gemelle così diverse e così simili, o al modo analogo che hanno di accogliere
il visitatore. Ti sorrido, ti parlo, ma non ho bisogno di te, so che sei di
passaggio e che dovrai ripartire. Immagino una linea virtuale che congiunga
Gavdos a Psara e poi a Kastellorizo, un triangolo di storia e di suggestioni
fortissime. Forse un itinerario che merita un viaggio ad hoc, alla faccia del
meltemi.
Per ora, è però il Meltemi che detta legge sulle nostre
scelte. Dopo 3 giorni di rabbioso monologo, annuncia un lieve calo e dobbiamo
ripartire. Ci perdiamo il matrimonio di domenica sull’isola a cui siamo stati
invitati e che prometteva di essere un’occasione di sentirsi psariani anche per
noi. Quando lasci Psara, ti guardi in modo differente alle spalle, perché sai
che sarà difficile tornarci, è un’isola di arrivo, la seconda volta che ci vai,
secondo me non la lasci più.
Della parte letteraria, definiamola cosi', ho già detto e non sono il solo: si legge bene e volentieri, anche senza revisione di bozze; si aspetta, con curiosità, la puntata a venire che appare sempre troppo rarefatta. Le immagini, tutte molto belle, riescono anche ad essere originali e parlando di Mediterraneo, non è di poco conto. Riescono a trasmettere la sobria e severa eleganza dei luoghi e del loro spirito. Ma qualcosa, a mio giudizio, manca e sono certo, volutamente. Per ponderato calcolo. Ma forse avete ragione.
RispondiEliminaSilverio
questo indovinello, Silverio, mi terrà sveglia più di questo Forza 8 costante...
RispondiEliminaForse Silverio vuol dire che, in fondo in fondo, in qualche angoletto del vostro inconscio, siete gelosi di questa splendida esperienza e stentate a condividerne con noi tutto il sapore. Un po' come quei bambini che scappano a mangiare il gelato dietro l'angolo per paura che qualcuno chieda loro un sia pur piccolo assaggio.
RispondiEliminaNon so se ho indovinato, ma sinceramente a me questo blog assolato e ventoso basta per sognare un po'e invidiarvi tanto. Quest'anno ho trascorso solo una settimana di mare, davvero poco. Come si fa?
Baci A.nonimi ma non troppo.
Questo post vince l'oscar dell'estate
RispondiEliminaCaro A, non saprei. Credo che dietro al Quesito di Silverio si celi di più, ormai inizio a comprendere la sua prosa che mi fa fare molte domande. Ma so che quando vorrà, ce lo dirà. Forse al momento pensa che ci possa arrivare da sola. Illuso... Gelosi di questa esperienza? Direi di no, perché non a tutti piacerebbe quello che piace a noi, anzi. Diciamo che siamo lieti di essere tra quelli che passano sottovento a Mykonos e proseguono per Rinia, senza passare per il porto. Psara è una meta che vale le miglia che fai solo se quello che trovi è quello che cerchi. Perché altro lì non trovi. Ecco, se sono diventata criptica, è colpa dell'amico Silverio. ;-)
RispondiEliminaUn'Irlanda con timo, basilico e pere.
RispondiEliminaEcco se avessi certezza che con l'isola celtica condivide anche la penuria di sole forse un pensierino ce lo farei.
Ahité, Coco', il sole qui splende senza nubi che ne oscurino la forza per almeno 10 mesi l'anno. Ma se vieni, mi presto ad accompagnarti con l'ombrellino. Trés chic, n'est pàs?
RispondiEliminaMi e' piaciuto molto quello che dite a proposito delle isole e del loro carattere cosi 'diverso l'uno dall'altra e amando Gavdos e Kastellorizo....penso che Psara sara'la terza punta di diamante da visitare prossimamente.
RispondiEliminaComplimenti per un diario cosi'piacevole e per le foto splendide...a rileggeri presto!
Kalo' taxidi....
Grazie Pantarei, Kalo' taxidi anche a te. Psara (e antipsara) non ti deluderanno, ne sono sicura. Quando torni verso il centro dell'Egeo fai rotta su Rinia, anziché Mikonos. Ma questo probabilmente lo sai già. Buon vento!
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