A questo punto del nostro peregrinare, il Peloponneso
Occidentale è praticamente casa. Siamo al 3° passaggio su questa via
continentale che nulla ha da invidiare al percorso insulare. Ci manca, invece, il
Peloponneso Orientale, visitato 20 anni fa da terra ma mai da mare, mai con
P’acá y p’allá. Sarà per il prossimo viaggio, quando nello scendere a favor di
Meltemi non ci faremo incantare dalle sirene delle Cicladi ma andremo giù lungo
la costa diretti a Capo Maleas. Ma ci sarà mai una volta in cui le sirene dell'est
smetteranno di esercitare il loro fascino? Non credo, vedremo. Per ora,
restiamo al nostro viaggio che viverne più d'uno contemporaneamente non è per niente sano.
Quando conosci bene un percorso, le tappe di sosta le hai già in mente: sono i luoghi che, per un motivo o per un altro, ti hanno toccato di più, quelli in cui ti senti a tuo agio, i posti dove ti sembra di tornare dagli amici, dove sai già qual è il fornaio col tuo pane preferito.
Quei porti di cui hai il numero del rifornimento carburante memorizzato sul telefono, quei moli a
cui ti dirigi con sicurezza, senza bisogno di testare il fondale avvicinandoti di
prua, perché già sai che è
sufficiente per il tuo pescaggio. Quelle rade in cui vai direttamente verso la chiazza di sabbia più
abbondante, senza indugiare in perlustrazioni preliminari. I neofiti ti guardano e pensano che sei del luogo. Eppure, ogni volta
riscoprire quei luoghi è una nuova scoperta. La luce è diversa, c’è più o meno gente,
è cambiata l’insegna della taverna, e per quanto cerchi di ricordare dove esattamente eri
ancorato/ormeggiato non ci riesci mai con precisione. Perché a questo punto,
dopo un centinaio di isole greche e quasi 10.000 miglia di mare sotto la
chiglia, i ricordi si sovrappongono, si mescolano, si confondono in una miscela
che a ricrearla in laboratorio potresti diventare ricco. Per fortuna non si
può. Per fortuna ci sono cose che non possono essere digitalizzate, esperienze
che non possono essere virtuali, conoscenze che si fanno con la pelle oltre che
con gli occhi e il cuore.Quando conosci bene un percorso, le tappe di sosta le hai già in mente: sono i luoghi che, per un motivo o per un altro, ti hanno toccato di più, quelli in cui ti senti a tuo agio, i posti dove ti sembra di tornare dagli amici, dove sai già qual è il fornaio col tuo pane preferito.
Il nostro Peloponneso di ritorno è veloce ma intenso. La
prima tappa a Porto Kayo, splendido porto naturale, ex covo dei pirati dove aspettiamo
alla fonda il nostro amico Roberto che è più lento di noi a partire e anche a
navigare…sebbene più comodo. Passiamo una bella serata insieme a bordo di P’acá
y p’allá in una cornice che definire incantata è dire poco.
Ci dividiamo una
buona bottiglia di bianco e una pastasciutta che sa di Italia anche se gli
ingredienti sono rigorosamente greci. E parliamo di isole, in un dialogo che
può essere infinito. Le giornate si accorciano e ceniamo che è già buio mentre,
tutto intorno a noi, le costruzioni sulla montagna, essenziali, ben nascoste e
così rigorosamente rispettose della storia piratesca del luogo, si accendono di
piccole luci.
Abbiamo già fatto, prima del tramonto, la passeggiata lungo il viottolo fino alla chiesa a guardare il mare di fuori, i disegni che il vento lascia sull’acqua blu e profonda, i colori vivi della terra che ricordano l’Irlanda. E a rilevare la posizione di Roberto per stimare il momento di buttare la pasta.
Abbiamo già fatto, prima del tramonto, la passeggiata lungo il viottolo fino alla chiesa a guardare il mare di fuori, i disegni che il vento lascia sull’acqua blu e profonda, i colori vivi della terra che ricordano l’Irlanda. E a rilevare la posizione di Roberto per stimare il momento di buttare la pasta.
Quel che resta addosso di Porto Kayo è il silenzio quasi
spettrale, favorito dalla conformazione della terra alta e rocciosa che si
incunea in un fiordo naturale.
Un silenzio che acquista un’enfasi speciale per i naviganti che passano Capo Matapan, perennemente rafficato, esperienza sferzante di vento che tu vi giunga da nord o da sud. Ammaini le vele, entri nella baia e le raffiche diventano silenziose, presenti ma in sottofondo, sempre protagoniste ma più rispettosamente distanti, quasi si fosse in un flashback.
Un silenzio che acquista un’enfasi speciale per i naviganti che passano Capo Matapan, perennemente rafficato, esperienza sferzante di vento che tu vi giunga da nord o da sud. Ammaini le vele, entri nella baia e le raffiche diventano silenziose, presenti ma in sottofondo, sempre protagoniste ma più rispettosamente distanti, quasi si fosse in un flashback.
Perdiamo Roberto sulla via per Methoni, il nostro gioco
d’anticipo ci è favorevole per superare un vento contrario improvviso a 10
miglia dal traguardo. Il nostro amico invece ripara a Koroni che noi vedremo da
terra invogliati a non perderlo dai suoi racconti entusiasti e dagli inviti di
Ada.
Methoni e il suo castello veneziano con torre ottomana
offrono uno scenario grandioso e solenne, intatto nell’essere in rovina, in
perenne conflitto di razze e di stili.
Ti colpisce la sua imponenza, la bellezza del ponte d’accesso ad archi,
il mix di rovine con la terra che avanza, i fiori viola e gialli che crescono
tra le pietre, selvaggi e prepotenti.
La torre ottagonale si erge direttamente sull’acqua ed è quasi
perfettamente integra.
Sembra guardare il vicino castello con una certa poco
gradevole superiorità, mi sembra di sentirla parlare: “Guarda come ti porti
male gli anni, come ti lasci sopraffare dal tempo, dalla natura, dalle
condizioni meteo. Mentre io qui, in perenne cura di talassoterapia, ho un posto
in prima fila. Rappresento il traguardo per chi viene in visita, mentre tu sei
solo un passaggio”. Ecco, io scelgo il castello. Sarà perché è veneziano, o forse
perché regala momenti di incommensurabile silenzio. Sarà la sua capacità di
convivenza pacifica con la natura o il suo quieto, perenne, saggio saper
coordinare le nuvole nel cielo con una coreografia da teatro
dell’Opera.
Non è necessario schierarsi, Castello e Torre si integrano
alla perfezione, l’uno completa l’altro. Non avrei parteggiato per l’uno, se
solo l’altra non si fosse fatta sorprendere in un momento di antipatica supponenza.
Ma è stato solo un momento e probabilmente solo per me. Tanto basta, però.
A Pylos torniamo per tanti motivi. C’è il nostro amico
farmacista da ritrovare, ci sono Marty e Linda sul loro Pleiades in rotta per
le Baleari dopo un anno e mezzo di Egeo, c’è la voglia di prendere una macchina
per andare un po’ in giro.
Individuiamo subito il Pleiades, ormeggiato alla darsena, ci
avviciniamo e salutiamo Marty e Linda ripromettendoci di bere qualcosa insieme
in giornata. Purtroppo non ci riusciremo e la mattina dopo li vedremo
veleggiare nel golfo di Navarino diretti verso le Ionie. In effetti era strano
il loro stare alla darsena - spesso afflitta da una risacca fastidiosa -
evidentemente erano lì, ai blocchi di partenza, in procinto di partire. Noi
invece raggiungiamo il porto e guadagnamo il nostro solito posto all’inglese
sotto il faro d’ingresso.
Ad aiutarci all’ormeggio, un simpatico greco di mezza
età, poco pratico con le cime ma disponibile e attento. Si propone di esserci
di aiuto in tutto: non c’è allaccio elettrico ma se vogliamo ci fa spostare
dall’altra parte del porto dove, con una lunga prolunga, l’elettricità arriva (forse da casa sua).
Non c’è acqua ma se vogliamo può farla arrivare con l’autobotte così come il
rifornimento carburante. Può darci un passaggio in motorino all’autorità
portuale e, se ci serve la spesa, può andare a farla lui. A noi, però, non serve
nulla. Gli diamo una piccola mancia per l’aiuto ed è felicemente sorpreso.
Questo innesca in lui la voglia di essere utile e continua, così, a partorire proposte
d’aiuto in ogni direzione possibile. Con grande dignità, offre una disponibilità
di valore ben superiore alle mance conquistate. Quest’uomo affronta la crisi in modo
intelligente, senza lamentarsi inutilmente di qualcosa che la lagnanza non può
cambiare.
Il Porto di Pylos è un rifugio confortevole e amico. Non ci sono i soldi
per completare le colonnine dei servizi e da anni ci sono solo scheletri di
cavi elettrici posati inutilmente. Ma alcuni corpi morti ti permettono di
tenere distante la barca dal molo e con ogni vento ti senti tranquillo.
All’Autorità portuale sono, come sempre, gentili e disponibili. Non ti chiedono
soldi per il passaggio e ti offrono cordialità e simpatia. Quando vedono dal
Dekpa che siamo ormai degli habitué, ci dicono in greco qualcosa che equivale
al nostro 100-di-questi-giorni, augurandosi il nostro ritorno.
Roberto ci raggiunge al porto di Pilos e andiamo a cena
insieme nella plateia, da Gregoris, uno dei migliori ristoranti di tutta la
nostra Grecia. Facciamo una cena a base di orektikà (antipasti), prendendo
tanti piatti diversi da dividere tra noi. Una di quelle cose che in 3 riesce
meglio che in 2 e, come dice Roberto, assai meglio che da soli. A tavola arriva
una brocca di Rosé del Peloponneso e il nostro amico farmacista che ce la
offre. Lo troviamo più teso dell’anno scorso, preoccupato dalla situazione del
Paese che è ormai più che grave, visto che le nuove leggi varate oggi
ridisegnano i diritti ai farmaci salvavita per malati cronici e alle terapie
antidolore.
E si capisce che il nuovo disegno non è a favore di un benessere e
di una serenità per chi ha conti in sospeso con la salute, quasi che il dolore
da alleviare fosse qualcosa di superfluo. È a Pylos, come sempre, che
registriamo per la prima volta la misura della crisi. Qui sembra più tangibile,
più reale. Atene sembra incredibilmente vicina, della Merkel si sente quasi la
voce e il suo orribile accento.
Salutiamo Roberto che prende la via più interna e va verso
Katakolon per fare una gita ad Olimpia. Conoscendo la sua interpretazione di
“partenza all’alba”, ci riproponiamo di aiutarlo a mollare gli ormeggi ma
stavolta ci sorprende e alle 7 è davvero già partito. Le nostre strade si
dividono, noi scegliamo di tornar per isole toccando Zante e poi Cefalonia.
Prima della partenza, come ci eravamo ripromessi, prendiamo una macchina a noleggio
e facciamo un po’ di Peloponneso da terra. L’impresa, come ricordavamo da un
viaggio in macchina di 20 anni fa, non è affatto facile: le strade si
inerpicano su tornanti e sono lunghe e lente.
Pylos – Koroni è uno dei pochi tratti che richiede più tempo
su strada che su mare. Ne vale la pena. Koroni è un borgo molto piacevole con
un castello che ospita un convento, alcune abitazioni e un cimitero. È un altro
luogo magico del Peloponneso anche se meno imponente e suggestivo di Methoni.
Più a misura d’uomo, diciamo, e di varia dolce umanità. Bordo mare, ristoranti
e bar orlano un piccolo approdo per pescatori ed una rada sicura. Segnamo
Koroni sul libro delle tappe possibili in Peloponneso.
Subito a nord del Golfo di Navarino, c’è la splendida
spiaggia di Voidokilia, una particolare baia a forma di Omega greco, orlata di
alte dune di sabbia che svelano in alto il Paleokastro (vecchio castello). È
domenica quando ci andiamo - in auto perché la particolare conformazione della
baia rende assai difficile l’ancoraggio in rada – e sulla spiaggia i pochi
turisti del fuori stagione si confondono con gli abitanti di Pylos che vengono
qui a godersi un mare spettacolare nel giorno di festa. La quantità di sabbia,
per noi abituati alle rade di ciottoli ben più frequenti in Grecia, è
impressionante. Dorata, fine, abbondantissima. Risalire le dune è faticoso ma
il panorama conforta della fatica. Dietro la spiaggia, la laguna di Gialova che
è il paradiso del birdwatching.
Sabbia d’oro, spiaggia semicircolare, dune di sabbia,
castello avito, baia a forma di Omega gigante: tutto questo ha fatto diventare
Voidokilia “una delle spiagge più belle del mondo” secondo il Times. Nella
nostra personale classifica del bello, Voidokilia deve cedere il posto a molti
altri luoghi, ma quel che possiamo dirvi è che “una delle spiagge più belle del
mondo” non è stata intaccata e distorta dalla sua fama. Ha resistito all’urto
del successo, memore della solennità di un luogo che è stato storicamente
fondamentale nell’acquisita indipendenza greca dalla Turchia.
Il Peloponneso, ancora una volta, ci rapisce il cuore. Sarà
dura in futuro scegliere altre vie di passaggio. Tornando in macchina verso
Pylos, all’altezza di Methoni, le isolette di Shkiza e Sapientza ci guardano
con rimprovero. Questa volta non siamo passati da lì, dovremo tornare.
Fosse stato per noi, potevano
risparmiarsi il canale di Corinto. A volte, ci si perde volentieri tra le dita della terra che sfiorano il mare.
Grazie, bello come sempre.
RispondiEliminaDi certo Murakami non avrà nulla da eccepire.
Tra l'altro, se ti riferisci a "L'arte di correre", spiace far notare la solita orrida traduzione del titolo originale "What do we talk about when we talk about running", (volutamente simile al libro di Carver "What do we talk about when we talk about love" dato che Murakami è il traduttore di Carver in giapponese)...
Baci di A.pprezzamento (per te, non per i traduttori di Murakami)
Eh sì, caro A. Gli italiani brillano per togliere poesia nei titoli. Più che nei libri, nei film. Il più clamoroso errore per me resta sempre quel "eternal sunshine of the spotless mind" orribilmente tradotto con "se mi lasci ti cancello". Roba da chiedersi che problema avesse il traduttore.
RispondiEliminaAh, lo so... ma nei film è troppo facile, i traduttori dei titoli si sono sempre accaniti sulle pellicole straniere. Vogliamo invece parlare de "Il giovane Holden" che in origine era "The catcher in the rye"?
RispondiEliminaBaci A.ttapirati
Bello poter leggere degli "Occhi della Repubblica" tra una citazione su Murakami o Salinger. Intanto ho scoperto un altro segreto del fotonauta: ombre crepuscolari. Si alza inderogabilmente all'alba ed al tramonto è immancabilmente a terra.
RispondiEliminaSilverio
Intuizione corretta, Silverio. Ogni alba e ogni tramonto, la luce si abbassa e la macchina fotografica diventa protagonista. Escluso nei giorni di nebbia fitta che però in Egeo non se ne vedono molti.... Per la scesa a terra, approfitto per encomiare il fido bomby (il tender che è uno zodiac di 2 metri), mai in sciopero, per portare a terra il fotografo con qualsiasi mare e qualsiasi vento...
RispondiEliminaE poi....?
RispondiElimina.... E poi ci son le Ionie... Grazie mia coscienza, oggi scrivo, promesso!
RispondiEliminaGrazie a te cara Francesca di elagerirci ogni tanto questi sprazzi di luce!
RispondiEliminaEhm leggi *regali
RispondiElimina