giovedì 30 giugno 2011

Methoni e Sapientza. Non sarebbe un bel nome per un'agenzia di pubblicità?

Pensandoci bene, la differenza tra continente e isole si sente. Quando sei su un’isola hai un’impressione di precarietà, di temporaneità del tutto, sei come fermo a una boa in attesa di ripartire o in attesa che l’isola e il mare ti caccino via. Anche chi ci vive su un’isola è diverso, guarda verso il mare, perché è da lì che arrivano le novità, perché è oltre lì che si sogna di andare. Chi sta sul continente invece, guarda a terra, in un borgo di mare, guarda sopra la collina,  quando guarda il mare è per capire che tempo farà, o per immaginare continenti lontani. Per noi che navighiamo la differenza tra isola e continente è che in un’isola lasci un punto pensando sempre che magari più tardi ci torni, perché ti sposti intorno a lei con il vento e chissà magari fai il periplo. Scorrendo il continente invece, sai che la terra lascia il posto ad altra terra da vedere, hai la sensazione di andare in discesa e tendi a guardare indietro ogni tanto per salutare la costa che ti è passata a fianco. 
Se dovessi scegliere, preferirei essere un’isola, ma è interessante trovare motivi per rivalutare la terraferma. È molto bello il Peloponneso, lo avevamo già visto da terra, ma da mare è, come sempre, un’altra cosa. Selvaggio, selvatico, aspro ma anche ricco di borghi sul mare così facili e accoglienti per chi ci naviga intorno. 
Methoni, sul primo dito del Peloponneso, è un luogo magico. Un piccolo agglomerato intorno a una spiaggia composto per lo più di trattorie che gravitano intorno alla maestosa fortezza veneziana eretta tra il 13° e il 15° secolo e arricchita successivamente di una torre ottagonale turca perfettamente integrata. Quattro passi più su, il paese, poche case e qualche negozio lungo un’unica strada. La fortezza al tramonto di una giornata come quella di oggi è un’esperienza mistica. 
Sono passate le 8 e il sole è basso sull’orizzonte, tra le mura della fortezza, l’obelisco, una piccola chiesetta e sterminati campi di erbe dai fiori azzurri e viola. Dalla torre di Methoni, guardi l’isola di Sapientza, dove siamo stati in giornata, ancorati nella rada di nord-est. Acqua color smeraldo, terra rossa, scogli grigi, raffiche di vento che scendevano dalla montagna e increspavano la superficie del mare. Nessuno per mare. Neanche una barca da pesca, né a vela, nessuno. Eppure è a un miglio da terra, a portata di mano. Saranno tutti a Skhiza, l’altra isola che vediamo di fronte? 
Macché, sembrano isole dimenticate oltre che disabitate. Sappiamo che sono territorio di caccia (Sapientza) e di esercitazioni militari (Shkiza), infatti per tutto il giorno sentiamo, senza vederli il rombo di bombardieri ad elica, sembra la colonna sonora di un film sulla seconda guerra mondiale. Ogni volta che passano, ti aspetti di sentire il fischio delle sirene e il sibilo delle munizioni perché è così che noi della nostra generazione abbiamo conosciuto questa atmosfera, attraverso la letteratura filmica. Ti guardi intorno e ti immagini il contesto in bianco e nero. Poi ti ricordi chi sei, dove sei e ti butti nell’acqua smeraldo. E capisci di essere molto ma molto fortunato.

2 commenti:

  1. Methoni, Koroni, Mistra ... tutto sempre grazie al buon Guillaume de Villehardouin. Che posti meravigliosi. Però anche le olive di Kalamata (quelle vere) non sono niente male.

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  2. Con una sala riunioni così, mi candido subito a prossimo direttore creativo...:)
    Baci meltemici
    A.

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